Traduzione a cura di Kristel Klein del Gruppo Tematico Economia&Decrescita MDF (*)
N.B.: L’articolo originale è stato pubblicato il 19 marzo 2020 dal team editoriale di degrowth.info – il portale ufficiale del movimento internazionale della decrescita.
La decrescita propugna un rallentamento generale e una significativa riduzione delle emissioni, non certo una pandemia e il disagio sociale.
Il nuovo coronavirus – che ha provocato la propagazione della malattia respiratoria denominata dall’OMS COVID-19 (NdT) – ha causato sconvolgimento in tutto il mondo, la morte delle persone più vulnerabili, la chiusura delle frontiere, il crollo del mercato finanziario, coprifuochi e il controllo degli assembramenti di persone, oltre a molti altri effetti devastanti.
Nonostante sia stata osservata una riduzione dell’inquinamento e delle emissioni, il repentino, inaspettato e caotico ridimensionamento dell’attività sociale ed economica non è affatto decrescita. Al contrario, è un esempio del perché la decrescita è necessaria, in quanto dimostra l’insostenibilità e la fragilità del nostro attuale stile di vita. Inoltre, la reazione alla COVID-19 è la prova che decrescere è possibile; la società (e lo stato) ha infatti manifestato grande abilità a cambiare drasticamente il modus operandi di fronte a una grave crisi.
In questo articolo esamineremo questi tre aspetti in maniera più dettagliata, spiegando perché la crisi originata dalla COVID-19 non è decrescita, in che modo prova che la decrescita è necessaria e perché dimostra che la trasformazione sociale verso un futuro decrescente è possibile.
Questa crisi non è decrescita
Il fatto che il coronavirus – così come l’innesco di una recessione economica – abbia portato a una riduzione della produzione, dei trasporti, delle emissioni e non solo, non significa che la situazione possa definirsi decrescita. In primo luogo, un processo di decrescita deve essere intenzionale e democratico.
Secondo, la decrescita richiede un impegno a lungo termine in termini di ridimensionamento della produzione e del consumo e di riorganizzazione della società in una forma diversa e più equa.
Terzo, finora la COVID-19 ha colpito in modo sproporzionato la parte più vulnerabile della società; non soltanto i più anziani e giovani, ma anche i lavoratori che non possono contare su un lavoro a distanza retribuito e si vedono quindi costretti a scegliere tra il rischio di contagiarsi al lavoro o rimanere a casa in attesa delle bollette che non potranno pagare. Negli Stati Uniti, il costo elevato delle cure sanitarie e la generale mancanza di copertura provocheranno probabilmente una maggiore diffusione del virus tra le persone non assicurate e a basso reddito. A livello globale, un esempio di gruppi più vulnerabili sono i rifugiati bloccati in strutture inadeguate, come quella dell’isola greca di Lesbo, dove la tragedia potrebbe scoppiare da un momento all’altro. Qualcosa ci dice che i ricchi non stanno avendo problemi a procurarsi disinfettanti per le mani e carta igienica, e non stanno nemmeno morendo negli ospedali per mancanza di cure.
In sintesi, la trasformazione verso la decrescita sarebbe intenzionale e portata avanti in modo proattivo, senza perdere mai di vista la giustizia e l’uguaglianza. La situazione attuale non soddisfa nessuno di questi requisiti.
COVID-19: il segnale che la decrescita è necessaria
La crisi che stiamo vivendo mette in risalto l’insostenibilità del paradigma attuale. Se un’influenza può causare un tale sconvolgimento nell’intero sistema sociale ed economico, allora dovremmo forse considerare maniere differenti e migliori di organizzare le nostre società. Il nostro attuale sistema politico-economico è incapace di affrontare la crisi in un modo che sia equo e umano. Ad esempio, il recente comunicato del G7 sulla crisi definisce “l’economia” come una priorità pari, se non superiore, al benessere sociale:
“Lavoreremo per neutralizzare i rischi sanitari ed economici causati dalla pandemia di COVID-19 e getteremo le basi per un’energica ripresa della prosperità e della crescita economica solida e sostenibile.”
È quindi necessario un sistema politico-economico alternativo. Un sistema che sia più resiliente, giusto e che anteponga apertamente il benessere umano (e non-umano) alla crescita economica. Di seguito analizzeremo alcune delle cause della malattia COVID-19 e i meccanismi strutturali che hanno aggravato la situazione, per poi valutare un possibile diverso scenario in una società della decrescita.
L’origine della COVID-19 è stata individuata in un “mercato di animali vivi”, dove oltre 100 tipi di animali, selvatici e non, sono tenuti ammassati e vengono macellati davanti ai clienti. Come nel caso di molte pandemie precedenti, il nuovo coronavirus ha infettato la popolazione umana attraverso l’uccisione e il consumo di animali. Ne deduciamo, quindi, che in una società in cui gli animali vengono trattati con maggiore cura e non come merci da sfruttare e consumare, il rischio di pandemie come la COVID-19 sarebbe minore. A tal proposito, alcuni sostenitori della decrescita si sono pronunciati a favore della liberazione degli animali. Ci sono molte ragioni per credere che proprio il sistema agroalimentare industriale globale del capitalismo sia il responsabile di creare condizioni tali che favoriscano l’insorgenza di virus e la loro potenziale diffusione.
L’insorgenza (e la diffusione) di virus come quello che provoca la malattia COVID-19 è inoltre notevolmente amplificata da un’elevata densità abitativa. A partire dalla rivoluzione agraria, le città hanno visto una crescita in dimensioni e abitanti che continua incontrollata fino ai giorni nostri. Città più grandi e affollate sono una conseguenza dell’abbandono delle campagne in crisi, provocato dalla mancanza di opportunità lavorative, da politiche economiche e dei trasporti che prediligono il centro alla periferia e da una cultura ossessionata dallo stile di vita e dalle opportunità delle grandi città. Al contrario, una trasformazione verso la decrescita metterebbe l’accento sull’importanza di un’attività economica incentrata sulla comunità, ridefinirebbe la priorità del lavoro essenziale come la coltivazione del cibo, rivaluterebbe il contatto con la natura e dimostrerebbe le possibilità di una vita multiculturale, varia e socialmente ricca fuori dalle grandi città.
La ricaduta economica in seguito all’interruzione delle catene di distribuzione globali – in particolar modo l’improvvisa chiusura delle fabbriche in Cina – evidenzia ciò che la Brookings Institution (un centro di ricerca conservatore) definisce come “vulnerabilità nascoste”. Analogamente, la Harvard Business Review reclama catene di distribuzione più resilienti e la rivista Foreign Policy afferma che aziende come Apple sono state “colte alla sprovvista per le difficoltà di approvvigionamento.” È come se gli esperti di business si stessero improvvisamente rendendo conto dell’insensatezza di un sistema economico in cui un iPhone richiede pezzi fabbricati in dozzine di paesi, “la nuvola” è sporca e divora un’enorme quantità di energia per alimentare la trasmissione dei nostri dati, e in cui quelle graziose scatole bianche racchiudono una montagna di lavoro (da sfruttamento) umano. La decrescita propone di rilocalizzare una significativa parte della produzione basandosi sul bioregionalismo, accorciando le catene di distribuzione e incrementando la resilienza attraverso la trasparenza e il decentramento.
In ultima analisi, è pur vero che gli insediamenti umani sono stati colpiti da epidemie letali da molto prima dell’esistenza del capitalismo come lo conosciamo oggi. Tuttavia, la nostra società globale capitalista, basata su un’estrema mobilità e interconnessione, ha aggravato la diffusione del coronavirus attraverso frequenti viaggi a lunga distanza, enormi navi da crociera e voli a corto raggio (ad esempio dal Belgio all’Italia per trascorrere delle vacanze sugli sci). E il coronavirus ha costretto la nostra ipermobilità a fermarsi. Ora che siamo obbligati a restare fermi dove siamo, è forse un buon momento per riflettere sul perché, nella società attuale, sentiamo costantemente il bisogno di essere sempre in movimento, che si tratti di passare da un’attività all’altra o da un continente all’altro per una fuga di 5 giorni.
Sebbene i motivi per “rallentare” siano diversi per la COVID-19 (ridurre la propagazione dell’infezione) e per la decrescita (ad esempio ridurre le emissioni globali del settore dei trasporti), entrambi i casi inducono a una riflessione analoga: potremmo essere felici di trascorrere molto più tempo a casa con la nostra famiglia e gli amici, all’interno delle nostre comunità e muovendoci più lentamente e consapevolmente.
COVID-19: il segnale che la decrescita è possibile
Piani di emergenza, provvedimenti economici, limitazione di determinati comportamenti sociali, elevato spirito di cooperazione comunitaria e rallentamento della vita (naturalmente non per tutti, ma per molti), sono tutte misure prese in reazione alla COVID-19 e che dimostrano la necessità di rivalutare il nostro modo di vivere. Misure simili sono state etichettate come “politicamente impossibili” e “irrealizzabili” nel contesto climatico e di altre crisi sociali, eppure oggi sono una realtà in Cina, in tutta Europa e nel resto del mondo.
La crisi del coronavirus, come tutte le crisi, evidenzia che quando la società decide che la crisi giustifica l’abbandono dei precedenti criteri di normalità, l’azione trasformativa (e il cambiamento) è possibile. I segnali sono già visibili: ad esempio in Germania e Regno Unito si sono divulgate raccolte firme online per l’implementazione di un reddito di base universale che protegga coloro che rischiano di perdere il posto di lavoro e cadere in condizione di povertà a causa del coronavirus.
Si prevede che il cambiamento climatico provocherà circa 250.000 decessi in più all’anno tra il 2030 e il 2050; 38.000 per l’esposizione alle alte temperature nelle persone anziane, 48.000 per diarrea, 60.000 per malaria e 95.000 per denutrizione infantile. Eppure, la società non ha intrapreso azioni efficaci in modo così tempestivo. La realtà aberrante è che parte della ragione per cui i paesi ricchi non intervengono sta probabilmente nel fatto che, come evidenzia lo stesso rapporto appena citato, “il carico di malattia associato al cambiamento climatico nel futuro continuerà a gravare principalmente sui bambini nei paesi in via di sviluppo”.
Per questo è importante che la crisi climatica venga riconosciuta esattamente come tale: una catastrofe in atto che richiede urgentemente una drastica risposta sistemica. La decrescita propone una strada da seguire.
Dall’analisi all’azione
Seppur l’attuale rallentamento dell’attività economica possa presentare alcune analogie con la decrescita, quella che stiamo vivendo non è assolutamente la trasformazione sociale per la quale stiamo lottando. Piuttosto, questa crisi dimostra il fallimento dell’attuale sistema politico-economico e la sua incapacità di gestire una tale crisi con umanità ed equità. La decrescita propone un’alternativa più resiliente, giusta e sostenibile all’organizzazione della società.
L’aspetto più confortante è che l’attuale crisi dimostra che una trasformazione verso la decrescita, a tutti i livelli della società, è possibile. Gli stati stanno elaborando piani di emergenza, deliberando provvedimenti e affrontando sfide, le comunità stanno creando reti di sostegno reciproco e le persone stanno modificando radicalmente il proprio stile di vita.
D’altra parte, ci troviamo di fronte a un chiaro precedente storico per i governi di destra, populisti e neoliberisti che sfruttano le crisi come quella attuale per riproporre le loro politiche. Nel 2008-2009 promulgarono politiche di austerità per i più e salvarono i settori finanziario e assicurativo (ora si stanno preparando per salvare le compagnie aeree).
In un prossimo articolo rifletteremo sul modo in cui il movimento per la decrescita (e altri movimenti sociali ed ecologici) può contrastare questa tendenza a sfruttare le crisi con finalità dannose e valuteremo quali sono le strategie opportune da adottare durante la crisi di questa epidemia globale.
Inviamo la nostra solidarietà a tutti coloro che stanno vivendo un momento difficile.
Il team editoriale di degrowth.info
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Gruppo Tematico Decrescita ed Economia MDF
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