Nicoletta Dentico, esperta di salute globale, spiega che i segnali di avvertimento erano stati ignorati. “Mai un virus aveva bloccato gli ingranaggi del mondo come sta facendo COVID-19”. Passato lo tsunami bisognerà ripensare le politiche sanitarie e l’Italia dovrà riorientare la sua spesa pubblica.*
“Questa pandemia è il terzo evento, dall’inizio del millennio, a ribaltare la storia”. Lo sostiene Nicoletta Dentico, responsabile del programma Salute Globale della SID (Society for the International Development), esperta di salute globale. Gli eventi a cui fa riferimento Dentico sono gli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti del settembre 2001 e la crisi finanziaria del 2008, che a ben vedere non furono poi del tutto imprevedibili.
Anche questa pandemia si poteva prevedere?
“Io penso che questa sia stata la pandemia più largamente annunciata della storia. I segnali c’erano almeno da 5 anni. Bill Gates aveva già disegnato scenari di questo tipo nel 2015. Nel 2017, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) aveva diagnosticato questo orizzonte come una questione di tempo e non come una ipotesi di scuola. Nel settembre del 2019 un rapporto del Global Preparedness Monitoring Board, formato da esperti della Banca Mondiale e dell’OMS, scriveva testualmente: la minaccia di una pandemia globale è reale. Un patogeno in rapido movimento ha il potenziale di uccidere decine di milioni di persone, devastare le economie e destabilizzare la sicurezza nazionale.”
Nonostante queste previsioni nessuno si è attrezzato?
“No, nessuno ha predisposto un piano di emergenza per questa evenienza. Viviamo nel tempo della società della conoscenza, e si produce in effetti molta conoscenza: si fanno costruzioni di scenari, si offrono prospettive e raccomandazioni, ma poi tutto questo rimane nei cassetti dei ministeri e nelle biblioteche istituzionali dei vari governi, come se il lavoro di ricerca fosse mera produzione letteraria. Ma non è così.”.
Perciò i governi sono andati nel panico?
“Sì. Mai un virus aveva bloccato l’ingranaggio del mondo come sta facendo COVID-19. Il mondo occidentale si vanta di avere ricette di progresso e sviluppo su tutto e per tutti, ma oggi sembra del tutto sguarnito e diviso su come affrontare questa pandemia. Dall’inizio della pandemia registriamo scarsa collaborazione tra i paesi, che si muovono individualmente con politiche confuse e recalcitranti, come abbiamo visto in Gran Bretagna, Francia, e Stati Uniti. Si è guardato con una certa distanza alla Cina, e lo stesso è accaduto per lo scoppio dell’epidemia italiana. Eppure esiste un trattato internazionale sotto l’egida dell’OMS, l’International Health Regulations approvato nel 2005 dopo la lezione della SARS, che vincola gli stati alla cooperazione nel caso di emergenze sanitarie. Dal 25 gennaio scorso il Direttore generale dell’ OMS, Tedros Adhanom Ghebreyeus, continua a lanciare appelli alla collaborazione tra gli stati, ma con scarso risultato. I governi o nascondono i numeri o non collaborano tra di loro o sono – ancora oggi, purtroppo – in uno stato di negazione. Questa per il virus è la tempesta perfetta”.
Stiamo assistendo al trionfo del sovranismo sanitario?
“La prima vittima del COVID-19 è il multilateralismo costruito all’indomani della seconda guerra mondiale e che dava già segni di sofferenza. Però quando fra il 2002 e il 2003 si diffuse la SARS ci fu ancora una buona collaborazione fra gli stati, c’era ancora un senso comune che i governi dovessero cooperare. Così in poco tempo furono trovati gli strumenti diagnostici e le terapie per combattere il virus. Oggi questo scenario di cooperazione fatica ad affermarsi. E intanto il virus si sta facendo strada anche nei paesi a basso reddito del sud globale, dove la ricetta del distanziamento sociale è una soluzione inapplicabile per la maggioranza delle popolazioni. Cosa farà la comunità internazionale per impedire che la pandemia dilaghi, e possa magari riemergere con successivi focolai nel mondo? ”.
Quando passerà questo tsunami come dovremo ripensare le politiche sanitarie?
Il virus è innocente. Questa sua origine e diffusione planetaria ha a che fare con decenni di politiche economiche che hanno puntato alla massimizzazione dei profitti e non alla produzione di beni comuni. I sistemi sanitari pubblici e universalisti, come abbiamo visto in Europa a partire dagli anni ’50, sono beni comuni essenziali per nutrire lo sviluppo sociale ed economico delle società. Quando si parla di salute pubblica, non ci si riferisce solo alla sanità. Si parla di qualità di uno strumento che misura il patto sociale e il tessuto democratico di una nazione, si parla di diritti e di economia, si parla di sicurezza individuale e collettiva rispetto agli eventi avversi della vita, che sempre ci sono. Una volta sconfitto COVID-19, sarà indispensabile lavorare a un nuovo patto globale per la salute pubblica. Basta con la salute come business per far soldi, basta con la privatizzazione e finanziarizzazione della sanità, basta con i modelli assicurativi che oggi vengono disseminati nel mondo, in nome dello sviluppo sostenibile, anche nel sud del mondo.
Come si dovrà intervenire?
“Ci vorranno politiche che puntino alla prevenzione, investimenti importanti nel personale sanitario, azioni diffuse a carattere socio-sanitario, perché il modello ospedaliero da solo non funziona, lo vediamo dolorosamente in Lombardia, lo vedranno negli Stati Uniti. I paesi creditori e le istituzioni finanziarie internazionali sono chiamate a ripensare le dinamiche del debito. Anche se del debito non si parla più tanto, dopo la mobilitazione del Giubileo 2000, a livello internazionale c’è una crisi del debito immensa, lo dice anche la Banca Mondiale. Non è possibile che i paesi “in via di sviluppo” debbano continuare a versare denaro al servizio di un debito impagabile, invece di investire soldi per fare sistemi sanitari degni di questo nome. Bisogna ripensare tutto. In un mondo così segnato dalla disuguaglianza, i governi devono smetterla di affidare la partita della salute globale alla filantropia non troppo disinteressata di Bill Gates e all’equivoca generosità volontaria dell’1 per cento dei ricchi del pianeta”.
E in particolare come dovrà attrezzarsi l’Italia?
“Almeno sulla carta, l’Italia ha un sistema sanitario che il mondo ci invidia. Un sistema sul quale si sono accaniti con violenza i governi di tutti i colori, per infiltrarlo politicamente e affossarlo finanziariamente. E’ stata lo strumento di welfare più rivoluzionario ed efficace che si sia affermato in Europa,lo affermano gli studi internazionali di settore. Adesso dobbiamo riprendercelo in mano. Non dovrà mai più accadere che il personale sanitario sia sottoposto a un immane sacrificio umano per dare senso al diritto costituzionale della salute, per salvare vite, per contenere il contagio. Il prezzo che medici e infermieri stanno pagando non è degno di un paese civile. Quindi dovremo riorientare fortemente la spesa pubblica: basta soldi dedicati alla produzione di armi, basta incentivi alle energie fossili. Nel New Deal verde per l’economia sostenibile la salute delle persone è centrale. Le tasse degli italiani dovranno essere destinate a sostenere la salute, la ricerca scientifica, la messa in opera di politiche di prevenzione, e politiche sociali che non rechino danni all’ambiente e alle persone. Bisogna riportare la salute a una gestione centralizzata e ridefinire le regole del rapporto con i privati. La “white economy” delle assicurazioni sanitarie private che svuotano le tasche degli italiani deve essere prosciugata. I modelli assicurativi non proteggono dalle epidemie. Insomma, sarà necessario invertire la rotta e lavorare anche a livello europeo. Infatti l’Europa, per tragico che possa apparire, non ha una politica sanitaria comune” .
*articolo pubblicato su Famiglia Cristiana il 31.03.2020