Cresce in modo esponenziale il Coronavirus nel mondo. Con 1480 vittime nella sola giornata di venerdì 4 aprile, gli Usa hanno ora il triste primato del maggior numero di decessi in un giorno dall’inizio della pandemia, superando il record italiano dei 969 morti del 27 marzo. Gli Stati Uniti hanno oltre 250 mila casi positivi, più del doppio dell’Italia, e oltre 7.000 decessi, 3.000 dei quali nella sola area di New York. Quello che Donald Trump definiva fino a poche settimane fa “virus cinese”, con tono quasi sprezzante, sta facendo pagare un prezzo altissimo al Paese nord-americano. Abbiamo intervistato Francesco Costa, vicedirettore de Il Post ed esperto di politica americana, per capire qual è la situazione negli USA dal punto di vista sociale, politico ed economico.
Come si sta affrontando negli Stati Uniti l’epidemia di corona virus. Dopo la prima fase di minimizzazione del problema, le reazioni dei governanti e della popolazione stessa hanno cambiato approccio?
Come accade in Italia e come accade in altri paesi, tutti danno per scontato che questi siano dei valori sottostimati: non si riescono, in questa situazione, a testare abbastanza persone, trovandosi nella situazione in cui dei decessi non riescono ad essere attribuiti con certezza all’epidemia. Il modo con cui gli Stati Uniti stanno affrontando l’epidemia ricorda lo stesso percorso fatto da diversi altri paesi occidentali. C’è stata una prima fase di negazione in cui si pensava che questo fenomeno fosse contenuto; una seconda fase di minimizzazione in cui da personalità autorevoli, ma anche dal Presidente Trump, sono arrivati dei messaggi volti a rassicurare la popolazione dicendo che si trattasse di una normale influenza senza quindi aumentare le preoccupazioni; c’è stata una terza fase, che è quella che stanno attraversando, in cui si inizia a fare i conti con la realtà, e quindi con un contagio molto rapido e molto largo, al punto da mettere in grossa difficoltà il sistema sanitario. Nelle città dove oggi si registrano più contagi, per esempio New York, si prevede che nell’arco di questa settimana si raggiunga il cosiddetto picco e quindi gli ospedali vadano in enorme difficoltà e collassino. Il sistema sanitario americano ha grandi risorse private, per cui sta cercando di estendere il numero di posti in ospedale e il numero di persone di cui potersi occupare e prendere cura, ma evidentemente è molto difficile perché il contagio è molto vasto e i messaggi contraddittori che sono arrivati dalle autorità hanno fatto sì che tanti americani continuino a comportarsi, soprattutto nelle zone meno popolate, come se questo problema non li riguardasse. C’è stata una grande separazione nel modo in cui, soprattutto all’inizio, – e sono scelte di cui oggi si vedono le conseguenze-, i governatori del partito democratico hanno affrontato questa situazione con più rapidità e più preoccupazione, mentre quelli del partito repubblicano, naturalmente non tutti ma una buona parte, sono stati lenti nell’introdurre norme di comportamento e nell’invitare i propri cittadini a vivere in modo diverso la propria vita, anche a causa delle minimizzazioni che arrivavano dalla Casa Bianca. Questo si deve anche a una caratteristica culturale degli Stati Uniti, e degli americani soprattutto, che non vivono con grande serenità le intrusioni del governo nella propria vita e le restrizioni della propria libertà. Quindi quello che vedremo è non solo una situazione che in certi stati diventerà molto complessa o già lo è, come a New York ad esempio, ma in altri in Stati più rurali o conservatori e in Stati che oggi non vedono la minaccia come effettivamente incombente sulle loro vite, l’epidemia potrebbe far male non solo nella settimana che stiamo passando, che è quella che viene descritta come la peggiore probabilmente, secondo gli scenari, ma anche più avanti, perché gli interventi sono stati molti più tardivi.
Nella gestione politica della pandemia c’è stato uno scollamento tra le scelte di Trump e le decisioni dei singoli Stati federali? Quanto ha pesato in termini di efficienza ed efficacia?
Un po’ per l’iniziale inazione della Casa Bianca che, come dicevo, a partire dal Presidente Trump ha sottovalutato molto questa crisi quando in altri paesi occidentali, come in Europa e in Italia, era già evidente tutta la sua pericolosità. E un po’ per come è strutturato il paese – gli Stati Uniti d’America sono un paese federale e quindi sono previste grandissime autonomie per i singoli stati – la reazione e la gestione politica di questa emergenza sono state molto frammentarie. Ci sono Stati che sono intervenuti relativamente presto, altri che tuttora sottovalutano questo problema, e se vogliamo osservarlo anche da un punto di vista politico queste divisioni hanno preso un taglio interessante. Si osserva dai sondaggi, ma anche dalle reazioni dei singoli governatori, che le persone più vicine al partito democratico, le persone di centro sinistra, diciamo, sono molto più preoccupate e hanno cambiato o stanno cambiando il loro stile di vita, mentre le persone del partito repubblicano o in generale con idee conservatrici lo sono molto meno. E anche nei comportamenti dei governatori si vede questo tipo di differenza. È interessante innanzitutto perché è ovviamente un riflesso delle scelte di comunicazione della Casa Bianca che fino a pochi giorni fa aveva dimostrato di non prendere molto sul serio questa epidemia e oggi si è limitata a trasmettere delle indicazioni non vincolanti agli stati. Delle indicazioni che quindi alcuni governatori hanno ricevuto e altri hanno ricevuto meno. Sapendo che questa malattia prende di mira soprattutto le persone più anziane con i sintomi più gravi e potenzialmente letali, è interessante il fatto che proprio negli stati governati dai repubblicani, dunque negli stati più rurali, negli stati dove ci sono più persone con idee conservatrici e che quindi oggi stanno sottovalutando questa epidemia, ci sono più anziani. Inoltre sei tra gli stati con un più basso tasso di assicurazioni sanitarie, quindi di persone senza assicurazione, e negli Stati Uniti le cure diventano costosissime, sono sei stati governati dai repubblicani. Uno dei problemi con cui faranno i conti nei prossimi mesi è un’epidemia che avrà fatto più male ad un pezzo di popolazione che si è affidato di più alle parole del Presidente Trump e ai messaggi minimizzatori della prima fase dell’epidemia e quindi ne finirà per subire le conseguenze più gravi.
Lunedì scorso la Federal Reserve (FED) ha ampliato il suo programma di acquisto di titoli. La banca centrale statunitense acquisterà titoli a oltranza. In contropartita di questi acquisti, immetterà sul mercato un’enorme quantità di moneta per cercare di contrastare la crisi di liquidità scatenata dalla pandemia di coronavirus. Sono state superate le misure adottate per combattere la crisi del 2008?
Fino a questo momento la Federal Reserve, la banca centrale americana, ha abbassato molto i tassi di interesse, che erano già bassi. Ma soprattutto il congresso degli Stati Uniti ha approvato uno stanziamento da due mila miliardi di dollari, e cioè il 10% del PIL di tutti gli Stati Uniti, per contenere e provare a limitare i danni all’economia provocati dal corona virus e dalle restrizioni necessarie per combattere e contenere questa epidemia. È una cifra veramente enorme, è più del doppio di quanto fu stanziato da Barack Obama nella prima legge approvata dopo il suo insediamento per far riprendere l’economia dopo la crisi nel 2009. Ma c’è un’importante differenza: quella era una legge di stimolo, cioè era volta a far ripartire l’economia dopo la crisi; questa è una legge che stanzia due mila miliardi di dollari soltanto nel tentativo di limitare i danni. Tutti, dalla Casa Bianca al Congresso, dai repubblicani ai democratici, a questo punto danno per scontato che serviranno molti più soldi. Pensate che soltanto nella prima settimana dopo l’introduzione delle prime restrizioni e anche dopo la decisione spontanea di molti americani di cambiare stile di vita, di chiudere il proprio negozio, di non andare a cena fuori e di non viaggiare, il numero di americani che ha chiesto il sussidio di disoccupazione è salito a tre milioni. È il numero più alto che si sia mai verificato nel ‘900 in una sola settimana, ed è cinque o sei volte più ampio dei numeri delle persone che chiedevano il sussidio di disoccupazione nelle settimane peggiori della crisi del 2008-2009. È chiaro che questa è una crisi molto diversa: non è una crisi strutturale, ma è dovuta ad una calamità naturale se vogliamo, per quanto si può discutere delle cause che l’hanno originata e delle decisioni che l’hanno aggravata. Ma negli Stati Uniti ci si aspetta una recessione molto profonda e molto duratura, visto che l’orizzonte verso il quale guardiamo e che potrà permettere all’economia di ripartire non dipende da stabilimenti che producono meglio, da idee imprenditoriali che funzionano di più o da interventi governativi volti a dare alle persone un sostegno economico per rimettere in moto i consumi. Si parla di un’epidemia che, finché non sarà risolta in qualche modo, fermerà i consumi. Quello che il governo federale e la Federal Reserve vogliono fare è immettere abbastanza liquidità da permettere alle persone di poter congelare in qualche modo il loro stile di vita, di non perdere il potere d’acquisto, la casa, la macchina, di permettersi di pagare le università ai figli, e via dicendo, così da poter scongelare l’economia alla fine dell’epidemia e ripartire. Che questo sia possibile e fattibile e che i provvedimenti presi siano abbastanza da poter raggiungere l’obiettivo è naturalmente tutto da vedere.
Qual è la situazione a New York? La dimensione metropolitana è quella che sta subendo maggiormente la pandemia?
Nello stato di New York, quindi non solo nella città ma in tutto lo stato, oggi la situazione è particolarmente grave. Un po’ perché è drammaticamente alto numero di contagi e di persone morte, un po’ appare più grave anche perché lo stato di New York è lo stato americano che sta riuscendo a fare molti più test degli altri e che quindi è in grado di avere una dimensione quantomeno realistica, anche se naturalmente non esatta, della diffusione dell’epidemia all’interno dei suoi confini. Ma per capire di cosa parliamo tenete conto che il numero telefonico delle emergenze nella città di New York aveva ricevuto il numero massimo di telefonate l’11 settembre del 2001 nella sua storia recente. Questo è un record che la settimana scorsa è stato battuto martedì, poi di nuovo mercoledì e poi di nuovo giovedì. Ci sono già moltissimi casi e moltissimi morti. È una diffusione dell’epidemia che lascia pensare che le prossime settimane saranno durissime. Quello che si sta facendo è innanzitutto svuotare gli ospedali da tutti i malati non COVID19 grazie a una nave ospedale dell’esercito che è arrivata nei giorni scorsi a New York e grazie ad un ospedale da campo che è stato allestito a Central Park, uno dei luoghi simbolicamente anche più importanti della città, e anche in un grande centro congressi, il Javits Center. Lì saranno trasferiti i pazienti non COVID, così da lasciare gli ospedali e quindi le strutture più pronte, preparate e con le migliori attrezzature, ai pazienti COVID che sono arrivati e che stanno arrivando. In questo senso la riposta del governatore Andrew Cuomo è stata molto elogiata dai media, dagli osservatori e anche dai professionisti sanitari, ma è evidente che l’intero bilancio poi si potrà fare solo una volta che lo stato e la città di New York avranno superato la curva. Quello che è interessante osservare è che da quelle parti l’epidemia ha preso una diffusione diversa da quella che abbiamo visto per esempio in Italia, dove, dato abbastanza interessante, la diffusione del contagio ha avuto una dimensione più vasta in provincia che nelle grandi città. Le città più grandi in cui il contagio si è diffuso in maniera pesante sono Bergamo e Brescia, che rimangono intorno ai 100 mila abitanti; fin qui per fortuna le grandi città italiane hanno tenuto: parliamo di Roma, Milano, Napoli, Palermo. Invece negli Stati Uniti e soprattutto nello stato di New York abbiamo visto un’epidemia che si è diffusa con maggiore velocità proprio nella dimensione metropolitana e quindi provocando delle alterazioni allo stile di vita delle persone, al di là naturalmente dei casi dei contagiati e dei morti, molto più drammatiche. Poiché l’America è un paese vuoto per una sua grandissima parte, in cui si è abituati a vivere a grande distanza gli uni dagli altri – pensate che ci sono più abitanti nella sola città di New York che in 40 degli altri 50 stati –, per gli americani di provincia questa è un’emergenza molto lontana. È invece molto più vicina per le persone della città di New York e delle città in generale.