Ruggero Arenella
Comedonchisciotte.org
Durante l’alluvione di Genova del 2011 facevo l’assistente operatore per la TV. La sera del 4 Novembre, di ritorno da un’altra troupe, partimmo subito per Genova, dove avremmo lavorato per il TG1. Andiamo direttamente all’areoporto a prendere la giornalista arrivata da Roma. Tra le prime vittime dell’alluvione quel mattino ci furono una bambina con sua madre. E l’unico pensiero assillante dell’inviata, spinta insistentemente al telefono dalla caporedattrice che la chiamava ogni 10 minuti, era di andare a prendere la testimonianza a caldo, in ospedale, del padre e marito delle vittime. Ero inorridito. Speravo con tutto il cuore che non ce l’avremmo fatta. Che non avessero scoperto in tempo quale fosse l’ospedale, che saremmo arrivati tardi e non ci avrebbero fatto entrare. Per fortuna andò così.
La morbosità del guardare, e compatire il dolore altrui è fonte di grande audience per il mainstream. Negli utlimi giorni non mi è più capitato di guardare un TG o un altro programma in TV, ma non ricordo di aver visto alcun servizio che riportasse le testimonianze dei famigliari delle vittime del Covid-19. Non so se voi che leggete siate spettatori di Pomeriggio 5 o La Vita In Diretta, ma vi posso assicurare che con 800 morti al giorno quei programmi dovrebbero continuare 24 ore senza sosta, senza sigla di chiusura per settimane. Se La vita in Diretta e Pomeriggio 5 non fanno tonnellate di quei servizi, è perchè se li facessero, il 99% delle testimonianze sarebbe: “era malato/a, ricoverato da tempo in ospedale..”. Non c’è la ‘notizia’. Il servizio non si fa. Però devo ammettere che ultimamente mi arrivano sempre più notizie di morti per coronavirus riportati dai media, in cui le vittime erano giovani o non avevano malattie (come tralaltro è sempre successo anche per le polmoniti ‘normali’). Probabilmente questi casi continuano a rimanere sotto l’1%, però il numero complessivo aumenta, e arrivano anche le notizie dei casi dall’estero. La gente deve vedere il dolore degli altri per avere paura, e ogni occasione è buona. Un cinismo che appartiene solo al Potere.
Qualche settimana fa, verso la metà di Gennaio, allo scoppio della crisi Coronavirus a Wuhan, mi trovavo davanti alla televisione, a casa dei miei nonni. Passava un servizio del TG1 di Giovanna Botteri, l’inviata dagli USA di Rai 3, da anni il megafono per l’Italia della stampa americana asservita agli interessi del Partito Democratico (l’originale Made in U.S.A.), anche quando quegli interessi sono quelli di rovesciare un governo straniero bombardando e uccidendo civili. Memore dei filmati dei Caschi Bianchi siriani che Botteri mandava e commentava agli italiani con toni drammatici, lanciando appelli contro la barbarie del dittatore Assad che “stava sterminando il suo popolo” (stessa frase usata per Gheddafi…), analizzai quel servizio con occhio critico. Praticamente c’erano una mamma, gracile, mingherlina, con sua figlia di 6 anni malata di leucemia, davanti a un posto di blocco, che implorava i due poliziotti (o militari) cinesi di farla passare per poter raggiungere il loro ospedale. Mi ricordo che non c’erano molti altri soggetti nelle inquadrature a parte quei 4, mamma, figlia e due poliziotti. La prima inquadratura era con camera a spalla, al di quà del posto di blocco, dalla parte della mamma e della figlia. Ci sono alcuni stacchi: una larga che riprende tutto, poi la mamma che implora i poliziotti, la mamma da sola, la mamma con la bambina, e la bambina da sola seduta sul marciapiede in disparte. Poi all’improvviso arriva uno stacco di una camera fissa, su cavalletto, da dietro i due poliziotti, cioè al di là del posto di blocco, che riprende dall’alto verso il basso la madre piangente e disperata, fra le sagome dei due poliziotti, con le loro spalle di quinta.
Chi l’ha fatta quella ripresa? Un media occidentale dovrebbe avere il permesso di stare dietro a un posto di blocco dell’esercito cinese, non so se funziona così. E se così fosse ha anche avuto tutto il tempo di piazzare il cavalletto dietro la linea del blocco, e centrare perfettamente la madre mentre sta esattamente in mezzo ai due militari, con la sua ‘espressione migliore’ di quella scena, dove si vede tutta la sua triste impotenza, e la sua disperazione per le sorti della sua giovane figlia malata.
Non conosco abbastanza il cinema cinese. Ma neanche la mia più fervente parte complottista riesce a farmi vedere la Cina coinvolta in queste operazioni di manipolazione mediatica, tipiche dell’occidente. Però il Planet Lockdown è iniziato da li.