di Antonio De Lellis
Se nulla sarà come prima, sarà merito di chi avrà creduto ad una conversione sociale, ambientale ed economica.
Nella lettera ai movimenti popolari Papa Francesco incoraggia i fratelli e le sorelle che ogni giorno, con la metodologia, la cultura, la poesia e l’impegno si prendono cura dei quartieri, delle città, delle comunità. È una lettera importante che parla “del dopo” e di cosa può essere.
Viene chiamata promozione umana integrale della persona.
Arriva inaspettatamente e dopo l’appello ad una Europa che guarda alla tremenda crisi sanitaria, sociale, economica ed ambientale con l’egoismo dei primi della classe ed affronta la drammatica situazione senza l’impegno formidabile richiesto ed urgente. E invece dovrebbe pensare al suo ruolo fondamentale per l’intero mondo, attuando quella solidarietà innovativa senza la quale nessuno potrà salvarci.
Per quanti frequentano poco le Sacre Scritture, Dio non è alternativo a nulla se non alla ricchezza terrena idolatrata che anima le scelte economiche e la sete di profitto. I pochi che vivono nella sazietà sono ciechi e insensibili rispetto alla moltitudine che non ha terra (cibo, acqua, vita), non ha lavoro con un reddito certo, che non ha la casa dove vivere evitando di essere randagi e invisibili.
Questa volta il papa non vuole insegnare, ammonire o dettare una dottrina, ma accompagnare e sostenere coloro che hanno cura dei fratelli e delle sorelle, che sentono come proprio il dolore dell’altro.
Il discorso è un chiaro riferimento ad intra, perché all’interno del mondo religioso e della chiesa non vi sia la presunzione di valere di più di chi attua il Vangelo nella sua essenza e sostanza, ma anche ad extra perché i governanti e i dominatori del mondo sappiano che senza la cura del vivente non c’è politica, democrazia, economia, ma solo forme di sopraffazione.
I movimenti già attuano e vivono sperando in una società che ha bisogno di un cambiamento, di un ripensamento, di una rigenerazione. A loro e a noi Francesco riconosce il ruolo di costruttori indispensabili di questo cambiamento ormai improrogabile. Soprattutto perché autori di tante lotte e costruzioni dal basso di comunità resistenti e solidali, si dispone di una voce autorevole per testimoniare che questo è possibile. Perché c’è la conoscenza delle crisi e delle privazioni… che con pudore, dignità, impegno, sforzo e solidarietà si riesce a trasformare in promessa di vita per le famiglie e le comunità.
La conoscenza diretta della solidarietà che si fa pratica quotidiana dà ai movimenti l’autorevolezza per dire che il cambiamento è possibile e rispondere a tutti coloro che dicono che non c’è alternativa.
Ora più che mai, sono le persone, le comunità e i popoli che devono essere al centro, uniti per guarire, per curare e per condividere. Quanto è difficile rimanere a casa per chi vive in una piccola abitazione precaria o per chi addirittura un tetto non ce l’ha. Quanto è difficile per i migranti, per le persone private della libertà o per coloro che si stanno liberando di una dipendenza.
Sullo sfondo la crisi sociale ed economica che investirà tutti direttamente o indirettamente, ben più ampia di quella sanitaria seppur tragica e devastante per il dolore e le perdite che genera.
Ora più che mai, sono le persone, le comunità e i popoli che devono essere al centro, uniti per guarire, per curare e per condividere.
Occorre creare soluzioni dignitose per i problemi più scottanti degli esclusi. Questa è la strada seguita dai movimenti popolari e dalle realtà sociali. Ed è anche quella da seguire per tutti.
È una indicazione che Francesco prende a prestito dai movimenti popolari, ma che pone dinanzi al mondo valorizzandolo e rendendolo autorevole, quel metodo da molti considerato frutto di dilettanti allo sbaraglio.
Le proposte si fanno concrete anche per chi deve prendere le decisioni importanti: abolire gli armamenti senza i quali nessuna guerra è affare; abolire il debito dei paesi in difficoltà; dare un reddito universale. É una prospettiva giubilare, invocata, auspicata e praticabile.
Sono tre soluzioni che drammaticamente ci pongono dinanzi alle nostre tremende contraddizioni.
Si può combattere e uccidere quando già il virus miete molte vite senza arrestare la sua carneficina?
Si può pagare un debito quando le risorse per ripagarlo servono per salvare vite umane e, per di più, hanno eroso le già ridotte resistenze dei presidi sanitari?
Come può vivere la gente se a causa di una pandemia, spesso accelerata dal nostro modo di produrre e inquinare, non può muoversi e non può lavorare?
La differenza rispetto alle altre condizioni che abbiamo vissuto sta nel fatto che queste misure di profondo cambiamento erano necessarie anche prima, ma solo pochi se ne accorgevano e molti colpevolmente le ignoravano.
Il dopo è il superamento del capitalismo in ogni sua forma, originaria e trasformativa, ma questo significa mettere in pratica a livello mondiale il superamento dello Stato e del mercato, per come li conosciamo oggi, che sono i cosiddetti paradigmi tecnocratici in quanto non sono sufficienti per affrontare questa crisi o gli altri grandi problemi dell’umanità.
Qui si prefigura il superamento di tutto quello che abbiamo dato per immodificabile. Il sistema capitalistico e i suoi due poli: lo stato e il mercato.
Anche la terza gamba di un no profit impegnato e presente da solo non basta se non accetta al suo interno di mettere in discussione il sistema nel quale pretende di operare. Se aiutare gli altri a promuovere la loro vita, in tutte le sue forme, è lodevole perché funzionale al perpetuarsi del sistema di ingiustizie, allora nulla potrà essere considerato solidale senza la spinta al sovvertimento dell’esistente, alla rigenerazione, tipica di una conversione.
Per fare questo non occorre un’avanguardia vanitosa e supponente, ma una retroguardia operosa e lungimirante. Chi più serve può indicare la strada, forse senza neanche analisi estenuanti, ma con la concreta operosità che in quelle analisi trova solo una premessa indispensabile.
É questo è il limite di tante nostre realtà e la differenza sostanziale con gli autentici movimenti popolari, che forse potremmo essere, a patto che si cambi, dentro e in profondità, lottando insieme e con umiltà contro le ingiustizie, senza che queste ci vincano.
Un’occasione e una opportunità tutt’altro che da sprecare quella di riprendere seriamente il cammino dei movimenti popolari arenatosi in defatiganti sgomitate e organizzazioni affannose e limitanti e che invece necessita di una cultura della complementarietà perché “le quantità si contendono lo spazio, le qualità si completano a vicenda”.