Nelle ultime settimane più di 250mila persone che erano emigrate all’estero sono tornate in Romania dopo aver perso il lavoro. Ma dal paese c’è anche chi parte per andare a lavorare in altre nazioni d’Europa. Come le duemila persone che il 9 aprile hanno affollato l’aeroporto di Cluj-Napoca dirette in Germania, dove le aspettava un impiego nell’agricoltura.
In Germania l’industria agroalimentare impiega circa 300mila lavoratori stagionali ogni anno, e da dieci anni la maggior parte di queste persone viene dai villaggi romeni, dove questo tipo di lavoro è una delle principali fonti di sostentamento. Ma l’epidemia di nuovo coronavirus, e le politiche messe in atto dai governi di quasi tutti i paesi per limitare i contagi, hanno lasciato il settore agroalimentare tedesco e di altri paesi a corto di manodopera. A marzo il governo romeno ha dichiarato lo stato d’emergenza e ha introdotto misure di distanziamento sociale severe, che comprendono multe per chi circola senza un permesso del proprio datore di lavoro o del medico e coprifuoco alle dieci di sera.
Queste misure hanno funzionato, visto che al momento la Romania conta circa ottomila contagi e 392 morti. La situazione è cambiata quando Berlino ha chiesto al governo di Bucarest di prevedere delle eccezioni per consentire ad almeno una parte degli stagionali romeni di tornare a lavorare in Germania. Le autorità romene hanno accettato, anche perché lo stato difficilmente potrebbe farsi carico di quei lavoratori, che hanno sempre avuto poca visibilità nel paese.
La notizia degli spostamenti degli stagionali romeni ha sollevato polemiche sul mancato rispetto delle norme sanitarie e sull’opportunità di spostarsi in una fase così delicata. “Per molti la paura della povertà è più urgente di qualsiasi altra considerazione”, ha scritto la rivista Ziare. “È questa paura che ha riempito i voli partiti da Cluj e da tante altre città romene”.
In Romania alcuni commentatori sostengono che il governo dovrebbe incoraggiare e incentivare i romeni a restare nel paese e a lavorare nell’industria agroalimentare nazionale. Secondo la rivista ungherese Magyar Hang, l’emergenza coronavirus dovrebbe portare a ripensare il settore agroalimentare: “Dovremmo passare da una produzione su larga scala a un’altra centrata sulle piccole imprese agricole. A quel punto i prodotti – e i lavoratori – non dovrebbero più viaggiare in altri paesi”.