Dylan, atto secondo: guerra al potere oscuro del Covid-19

«Ho un cuore rivelatore, come il signor Poe. Ho scheletri nei muri delle persone che conosci». Attenti: è Bob Dylan, che parla. A tre settimane da “Murder Most Foul”, che mette in relazione l’omicidio di John Kennedy con la minaccia del coronavirus (evocata nelle righe che accompagnano il brano, sul sito ufficiale del cantautore), il Premio Nobel 2016 per la Letteratura torna a farsi vivo, con la struggente “I Contain Multitudes”: altro giro, altro regalo. In soli 21 giorni, dopo otto anni di quasi-silenzio se non per bootleg sontuosi e cover di lusso, tra cui quelle dei brani di Frank Sinatra, il grande artista di Duluth scodella – gratis, sul web – una seconda strenna. E per lanciarla stavolta sceglie Twitter, il canale social preferito dal Donald Trump che ha appena dichiarato guerra all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un network opaco, che la Casa Bianca sospetta – per usare un eufemismo – di non aver vigilato sull’origine del male oscuro che sta devastando il pianeta. Una conferma esplosiva viene dal francese Luc Montagnier, altro Nobel (per la Medicina, avendo scoperto il virus che dà origine all’Aids): il Covid-19, dice, è sicuramente “scappato” da un laboratorio come quello di Wuhan, ben noto all’Oms. Il virus è stato “progettato”, ingegnerizzato: non è di origine naturale. L’hanno fabbricato proprio bene, dice Montagnier. Chi? Qualcuno che lavorava a un possibile vaccino anti-Hiv.

In attesa che la comunità scientifica decodifichi la “bomba” lanciata dal luminare francese (secondo cui sarà la natura stessa, col tempo, a “disarmare” il Covid, rendendo completamente inutile qualsiasi vaccino), è Bob Dylan a occupare il centro della scena. Per sganciare la sua, di bomba, ha atteso la mezzanotte di venerdì 17 aprile. Sembra un rimando diretto a “Murder Most Foul”, in cui descrive Kennedy come “the king on the harp”, evocando il biblico Davide – sovrano predestinato, unico a “conoscere l’ora della mezzanotte” per l’apparire, appunto, di una presenza angelica intenta a suonare l’arpa. Un topos tipicamente rosacrociano, caro all’elusiva tradizione inziatica di cui faceva parte Freddie Mercury, dei Queen (gruppo citato nel brano). Valori guida: fede, speranza e carità – traducibili nello stesso tricolore italiano, e nelle “virtù teologali” cristiane. «Scendo all’incrocio dove morirono fede, speranza e carità», recita Dylan, pensando a Kennedy come a un David assassinato. Per inciso: il presidente della New Frontier era anche strettamente connesso alla tradizione templare, rivela Luca Monti, che spiega che un antenato di Kennedy (Gherarduccio dei Gherardini) ereditò da Dante Alighieri la guida segreta dell’Ordine del Tempio, dopo la morte sul rogo dell’ultimo gran maestro ufficiale, Jacques de Molay.

Non solo: Kennedy faceva parte anche dell’antica comunità eleusina. Lo sostiene Nicola Bizzi, “eleusino” lui stesso, autore di una suggestiva ricostruzione (”Da Eleusi a Firenze”, Aurora Boreale) sul ruolo della leggendaria comunità misterica pre-cristiana nell’ispirazione culturale del Rinascimento italiano. “Da Eleusi a Washington” è invece il titolo del “sequel”, che Bizzi sta per dare alle stampe, nelle prossime settimane, per rivelare “le origini occulte e misteriche degli Stati Uniti d’America e il ruolo fondamentale di alcune famiglie iniziatiche eleusine nella scoperta e nella costruzione del nuovo mondo”. Kennedy, esoterismo, Dylan. C’è un nesso? Eccome: lo si potrà leggere nei prossimi mesi, nero su bianco, direttamente tra le pagine di “Globalizzazione e massoneria”, atto secondo del fragoroso “coming out” avviato da Gioele Magaldi con il dirompente saggio “Massoni”, uscito nel 2014. «Se qualcuno l’aveva intuito, posso confermarlo ufficialmente: Bob Dylan è un massone ultra-progressista che milita nel mio stesso circuito», dice Magaldi, già iniziato alla superloggia “Thomas Paine” e ora leader del Grande Oriente Democratico. Un’esternazione clamorosa, espressamente autorizzata. E un invito: «Leggete bene, tra le righe di “I Contain Multitudes”: attraverso il suo splendido contenuto poetico, il brano rappresenta la continuazione di “Murder Most Foul”», atto d’accusa contro un potere criminale che Dylan mette in relazione sia con l’omicidio Kennedy che con la minacciosa comparsa dell’oscuro coronavirus.

«Berrò alla verità e alle cose che abbiamo detto», annuncia l’autore di “Blowin’ in the wind”: allusione frontale – a doppio taglio, nell’enigmatico stile dylaniano – alla comunità di voci che ora si sono decise a venire allo scoperto, denunciando dettagli indicibili, come se fossimo giunti a un punto in cui non è più possibile tacere. Trattandosi di Dylan, poeta e letterato finissimo, è il grande Edgar Allan Poe, massone anche lui, a fornirgli l’elegante uscita di sicurezza: gli “scheletri negli armadi” (anzi, nei “muri”) richiamano quelli di cui la “fratellanza bianca” saprebbe praticamente tutto, e che ora si appresta – a rate, inesorabilmente – a riesumare, uno dopo l’altro. Un avvertimento più che esplicito: «Ho un cuore rivelatore», come quello che – nella novella di Poe – rivelerà il crimine e quindi l’assassino. Siamo a questo? A quanto pare, sì. E se qualcuno ancora dubita dell’intento di Dylan e della sua appartenenza, “I Contain Multitudes” fornisce indizi eloquenti: «Vado dove tutte le cose perse vengono rimesse a nuovo», dichiara, facendo risuonare quel “radunare ciò che è sparso” che è uno degli obiettivi dichiarati del percorso iniziatico massonico. A proposito: si intitola “Bringing it all back home” (riportando tutto a casa) uno degli album più celebri di Dylan. Un programma – politico, e non solo – enunciato tra le righe già nel 1965, da “Mr. Tambourine Man”.

Naturalmente non passa inosservata, un’uscita pubblica di Dylan, nemmeno tra le redazioni italiane, puntualissime nel rilevare i riferimenti squisitamente culturali di cui trabocca l’ultima creazione dylaniana. Spiega Carlo Moretti, su “Repubblica”: stavolta l’ispirazione viene da uno dei più grandi poeti americani, Walt Whitman, che nel poema “Song on myself”, considerato il centro della sua poetica e pubblicato nel 1855 nella raccolta “Leaves of Grass”, si domanda ad un certo punto: “Mi contraddico? Mi sto contraddicendo? Molto bene, allora io mi contraddico (sono ampio, contengo moltitudini)”. A un certo punto, aggiunge Moretti, Dylan si paragona a William Blake, nel cantare le stesse “songs of experience” (citando così «la raccolta di poesie che Blake pubblicò nel 1794, nella quale raccontava la perdita dell’innocenza e l’ingresso, insieme alla caduta, nell’età adulta»). Tra i giornali italiani, il “Messaggero” scorge «un omaggio a David Bowie», altro massone, facendo rimare “all the young dudes” con il titolo del celebre brano dell’artista inglese. Sul “Corriere della Sera”, lo scrittore Sandro Veronesi si emoziona: «L’ha rifatto. Tre settimane dopo “Murder Most Foul”, Bob Dylan ha pubblicato un’altra canzone inedita sul suo sito – cioè ce l’ha regalata». Beninteso: «E’ bellissima».

«Come “Knocking on Heaven’s Door” – scrive l’autore di “Caos calmo” – anche “I Contain Multitudes” è una ballata classica, con strofe di 6 versi stretti a due a due da rime perfette, mesmeriche – ed è, sì, il secondo capitolo di un testamento». Infatti: «Se “Murder Most Foul” era la mareggiata che riporta a riva i frammenti della nostra civiltà naufragata, “I Contain Multitudes” è una struggente appendice al discorso che Dylan ha consegnato all’Accademia di Svezia nel luglio del 2017», dieci mesi dopo avere ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura. «Una confessione (”I’m a man of contraddictions/ I’m a man of many moods/ I Contain Multitudes”); un ringraziamento a chi lo ha ispirato (Walt Whitman, citato direttamente nel titolo, ma anche Edgar Allan Poe, William Blake, Jack London); ma soprattutto è un inno incoercibile alla musica e alla bellezza – di oggi, di ieri e anche di domani». Impressionante, nel nuovo brano, l’archetipo della specularità: il tema esoterico dello specchio, direttamente evocato nel richiamo ad Amleto in “Murder Most Foul”, diventa l’architettura portante delle tante “moltitudini”, specchianti, in cui si riflette la voce di Dylan.

Essere o non essere? Dopo Shakespeare, è stato un altro grande iniziato come Oscar Wilde a mettere al centro della scena proprio la funzione cruciale dello “speculum”, in un capolavoro come “Il ritratto di Dorian Gray”. E ora, davanti allo specchio compare Bob Dylan. «Oggi, domani e anche ieri», premette, come rianimando la testa girevole della statua di Giano, usata dai romani per ricordare che le “moltitudini” di cui siamo fatti possono anche essere lette in senso orizzontale, in uno scorrere di cronologie apparenti, in cui il tempo – la “divinità” che ci governa – esiste anche come nozione interiore. «Metà della mia anima, piccola, ti appartiene» (quella riflessa, che solo lo specchio può mostrarci: l’altra metà di noi). Lo specchio, cioè la complementarità degli opposti: «Io, reliquia, gioco con tutti i giovani». Oppure: «Tutte le belle cameriere e tutte le vecchie regine». Ancora: «Ti mostrerò il mio cuore. Ma non tutto, solo la parte odiosa». Non fa sconti, il Giano parlante: «Non ho scuse da presentare», precisa, già sapendo che il suo discorsetto potrebbe non piacere. A chi? Al «vecchio lupo avaro», lo spettro che ricompare a stretto giro (in “Murder Most Foul” era «l’uomo-lupo»). Con chi ce l’ha, Bob Dylan? «Combatto le faide di sangue», annuncia. C’è un potere abominevole, nel mirino?

Certo colpiscono le concomitanze: Robert Kennedy Junior, altro massone progressista (figlio di Bob, nipote di John) ha appena caricato a testa bassa il quasi onnipotente Bill Gates («massone non certo progressista», secondo Magaldi), per la sua impazienza di lanciare sul mercato l’ipotetico super-vaccino contro il Covid, non ancora adeguatamente testato. Tant’è vero, accusa Kennedy, che Bill Gates pretende un’impunità assoluta: lo distribuirebbe solo se gli Stati gli garantissero di non fargli causa, nel caso qualcosa dovesse andare storto. Kennedy, Dylan, virus, massoni. Cos’è questo intreccio? Bob Dylan parla di «anelli sulle dita che luccicano e lampeggiano». E avverte: «Vado fino al limite, vado fino alla fine». Come dire: farete i conti anche con me? Farò la mia parte, per denunciare quello che so? In fondo, è quello che sta già facendo: sulla sua nave, omai, sventola la bandiera pirata. Uno studioso come Gianfranco Carpeoro, già a capo di un’antica obbedienza massonica “scozzese”, fa notare che a dare vita alla pirateria furono proprio i massoni libertari, delusi dalla monarchia britannica. «Pirati e corsari: l’Olonese, il Corsaro Nero, il Corsaro Rosso. Erano tutti massoni. Sempre ritratti nell’atto di nasconderlo, il tesoro: mai di riesumarlo. Messaggio: far sparire l’oro, ritenuto fonte di corruzione». Pirati guerriglieri, ribelli ante litteram? Dettagli in arrivo, nel libro che Carpeoro sta scrivendo. Nel frattempo, non resta che godersi il massonico pirata Dylan. Che infatti, a scanso di equivoci, ora canta: «Porto quattro pistole e due grandi coltelli».

(Giorgio Cattaneo, 19 aprile 2020).

«Ho un cuore rivelatore, come il signor Poe. Ho scheletri nei muri delle persone che conosci». Attenti: è Bob Dylan, che parla. A tre settimane da “Murder Most Foul”, che mette in relazione l’omicidio di John Kennedy con la minaccia del coronavirus (evocata nelle righe che accompagnano il brano, sul sito ufficiale del cantautore), il Premio Nobel 2016 per la Letteratura torna a farsi vivo, con la struggente “I Contain Multitudes“: altro giro, altro regalo. In soli 21 giorni, dopo otto anni di quasi-silenzio se non per bootleg sontuosi e cover di lusso, tra cui quelle dei brani di Frank Sinatra, il grande artista di Duluth scodella – gratis, sul web – una seconda strenna. E per lanciarla stavolta sceglie Twitter, il canale social preferito dal Donald Trump che ha appena dichiarato guerra all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un network opaco: la Casa Bianca sospetta – per usare un eufemismo – che non abbia vigilato sull’origine del male oscuro che sta devastando il pianeta. Una conferma esplosiva viene dal francese Luc Montagnier, altro Nobel (per la Medicina, avendo scoperto il virus che dà origine all’Aids): il Covid-19, dice, è sicuramente “scappato” da un laboratorio come quello di Wuhan, ben noto all’Oms. Il virus è stato “progettato”, ingegnerizzato: non è di origine naturale. L’hanno fabbricato proprio bene, dice Montagnier. Chi? Qualcuno che lavorava a un possibile vaccino anti-Hiv.

In attesa che la comunità scientifica decodifichi la “bomba” lanciata dal luminare francese (secondo cui sarà la natura stessa, col tempo, a “disarmare” il Covid, rendendo completamente inutile qualsiasi vaccino), è Bob Dylan a occupare il centro della I Contain Multitudes coverscena. Per sganciare la sua, di bomba, ha atteso la mezzanotte di venerdì 17 aprile. Sembra un rimando diretto a “Murder Most Foul”, in cui descrive Kennedy come “the king on the harp”, evocando il biblico Davide – sovrano predestinato, unico a “conoscere l’ora della mezzanotte” per l’apparire, appunto, di una presenza angelica intenta a suonare l’arpa. Un topos tipicamente rosacrociano, caro all’elusiva tradizione inziatica di cui faceva parte Freddie Mercury, dei Queen (gruppo citato nel brano). Valori guida: fede, speranza e carità – traducibili nello stesso tricolore italiano, e nelle “virtù teologali” cristiane. «Scendo all’incrocio dove morirono fede, speranza e carità», recita Dylan, pensando a Kennedy come a un David assassinato. Per inciso: il presidente della New Frontier era anche strettamente connesso alla tradizione templare, rivela Luca Monti, che spiega che un antenato di Kennedy (Gherarduccio dei Gherardini) ereditò da Dante Alighieri la guida segreta dell’Ordine del Tempio, dopo la morte sul rogo dell’ultimo gran maestro ufficiale, Jacques de Molay.

Non solo: Kennedy faceva parte anche dell’antica comunità eleusina. Lo sostiene Nicola Bizzi, “eleusino” lui stesso, autore di una suggestiva ricostruzione (”Da Eleusi a Firenze”, Aurora Boreale) sul ruolo della leggendaria comunità misterica pre-cristiana nell’ispirazione culturale del Rinascimento italiano. “Da Eleusi a Washington” è invece il titolo del “sequel”, che Bizzi sta per dare alle stampe, nelle prossime settimane, per rivelare “le origini occulte e misteriche degli Stati Uniti d’America e il ruolo fondamentale di alcune famiglie iniziatiche eleusine nella scoperta e nella costruzione del nuovo mondo”. Kennedy, esoterismo, Dylan. C’è un nesso? Eccome: lo si potrà leggere nei prossimi mesi, nero su bianco, direttamente tra le pagine di “Globalizzazione e massoneria”, atto secondo del fragoroso “coming out” avviato da Gioele Magaldi con il dirompente saggio “Massoni”, uscito nel 2014. «Se qualcuno l’aveva intuito, posso confermarlo ufficialmente: Bob Dylan è un massone ultra-progressista che milita nel mio stesso circuito», dice Magaldi, già iniziato alla superloggia “Thomas Paine” e ora leader del Grande Oriente Democratico. Un’esternazione clamorosa, espressamente autorizzata. E un invito: «Leggete bene, tra le righe Murder Most Fouldi “I Contain Multitudes”: attraverso il suo splendido contenuto poetico, il brano rappresenta la continuazione di “Murder Most Foul”», atto d’accusa contro un potere criminale che Dylan mette in relazione sia con l’omicidio Kennedy che con la minacciosa comparsa dell’oscuro coronavirus.

«Berrò alla verità e alle cose che abbiamo detto», annuncia l’autore di “Blowin’ in the wind”: allusione frontale – a doppio taglio, nell’enigmatico stile dylaniano – alla comunità di voci che ora si sono decise a venire allo scoperto, denunciando dettagli indicibili, come se fossimo giunti a un punto in cui non è più possibile tacere. Trattandosi di Dylan, poeta e letterato finissimo, è il grande Edgar Allan Poe, massone anche lui, a fornirgli l’elegante uscita di sicurezza: gli “scheletri negli armadi” (anzi, nei “muri”) richiamano quelli di cui la “fratellanza bianca” saprebbe praticamente tutto, e che ora si appresta – a rate, inesorabilmente – a riesumare, uno dopo l’altro. Un avvertimento più che esplicito: «Ho un cuore rivelatore», come quello che – nella novella di Poe – rivelerà il crimine e quindi l’assassino. Siamo a questo? A quanto pare, sì. E se qualcuno ancora dubita dell’intento di Dylan e della sua appartenenza, “I Contain Multitudes” fornisce indizi eloquenti: «Vado dove tutte le cose perse vengono rimesse a nuovo», dichiara, facendo risuonare quel “radunare ciò che è sparso” che è uno degli obiettivi dichiarati del percorso iniziatico massonico. A proposito: si intitola “Bringing it all back home” (riportando tutto a casa) uno degli album più celebri di Dylan. Un programma – politico, e non solo – enunciato tra le righe già nel 1965, da “Mr. Tambourine Man”.

Naturalmente non passa inosservata, un’uscita pubblica di Dylan, nemmeno tra le redazioni italiane, puntualissime nel rilevare i riferimenti squisitamente culturali di cui trabocca l’ultima creazione dylaniana. Spiega Carlo Moretti, su “Repubblica“: stavolta l’ispirazione viene da uno dei più grandi poeti americani, Walt Whitman, che nel poema “Song on myself”, considerato il centro della sua poetica e pubblicato nel 1855 nella raccolta “Leaves of Grass”, si domanda ad un certo punto: “Mi contraddico? Mi sto contraddicendo? Molto bene, allora io mi contraddico (sono ampio, contengo moltitudini)”. A un certo punto, aggiunge Moretti, Dylan si paragona a William Blake, nel cantare le stesse “songs of experience” (citando così «la raccolta di poesie che Blake pubblicò nel 1794, nella quale raccontava la perdita dell’innocenza e l’ingresso, insieme alla caduta, nell’età adulta»). Tra i giornali italiani, il “Messaggero” scorge «un omaggio a David Bowie», altro massone, facendo Bob Dylanrimare “all the young dudes” con il titolo del celebre brano dell’artista inglese. Sul “Corriere della Sera“, lo scrittore Sandro Veronesi si emoziona: «L’ha rifatto. Tre settimane dopo “Murder Most Foul”, Bob Dylan ha pubblicato un’altra canzone inedita sul suo sito – cioè ce l’ha regalata». Beninteso: «E’ bellissima».

«Come “Knocking on Heaven’s Door” – scrive l’autore di “Caos calmo” – anche “I Contain Multitudes” è una ballata classica, con strofe di 6 versi stretti a due a due da rime perfette, mesmeriche – ed è, sì, il secondo capitolo di un testamento». Infatti: «Se “Murder Most Foul” era la mareggiata che riporta a riva i frammenti della nostra civiltà naufragata, “I Contain Multitudes” è una struggente appendice al discorso che Dylan ha consegnato all’Accademia di Svezia nel luglio del 2017», dieci mesi dopo avere ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura. «Una confessione (”I’m a man of contraddictions/ I’m a man of many moods/ I Contain Multitudes”); un ringraziamento a chi lo ha ispirato (Walt Whitman, citato direttamente nel titolo, ma anche Edgar Allan Poe, William Blake, Jack London); ma soprattutto è un inno incoercibile alla musica e alla bellezza – di oggi, di ieri e anche di domani». Impressionante, nel nuovo brano, l’archetipo della specularità: il tema esoterico dello specchio, direttamente evocato nel richiamo ad Amleto in “Murder Most Foul”, diventa l’architettura portante delle tante “moltitudini”, specchianti, in cui si riflette la voce di Dylan.

Essere o non essere? Dopo Shakespeare, è stato un altro grande iniziato come Oscar Wilde a mettere al centro della scena proprio la funzione cruciale dello “speculum”, in un capolavoro come “Il ritratto di Dorian Gray”. E ora, davanti allo specchio compare Bob Dylan. «Oggi, domani e anche ieri», premette, come rianimando la testa girevole della statua di Giano, usata dai romani per ricordare che le “moltitudini” di cui siamo fatti possono anche essere lette in senso orizzontale, in uno scorrere di cronologie apparenti, in cui il tempo – la “divinità” che ci governa – esiste anche come nozione interiore. «Metà della mia anima, piccola, ti appartiene» (quella riflessa, che solo lo specchio può mostrarci: l’altra metà di noi). Lo specchio, cioè la complementarità degli opposti: «Io, reliquia, gioco con tutti i giovani». Oppure: «Tutte le belle cameriere e tutte le vecchie regine». E poi: «Dormo con la vita e la morte nello stesso letto».  Ancora: «Ti mostrerò il mio cuore. Ma non tutto, solo la Jolly-Rogerparte odiosa». Non fa sconti, il Giano parlante: «Non ho scuse da presentare», precisa, già sapendo che il suo discorsetto potrebbe non piacere. A chi? Al «vecchio lupo avaro», lo spettro che ricompare a stretto giro (in “Murder Most Foul” era «l’uomo-lupo»). Con chi ce l’ha, Bob Dylan? «Combatto le faide di sangue», annuncia. C’è un potere abominevole, nel mirino?

Certo colpiscono le concomitanze: Robert Kennedy Junior, altro massone progressista (figlio di Bob, nipote di John) ha appena caricato a testa bassa il quasi onnipotente Bill Gates («massone non certo progressista», secondo Magaldi), per la sua impazienza di lanciare sul mercato l’ipotetico super-vaccino contro il Covid, non ancora adeguatamente testato. Tant’è vero, accusa Kennedy, che Bill Gates pretende un’impunità assoluta: lo distribuirebbe solo se gli Stati gli garantissero di non fargli causa, nel caso qualcosa dovesse andare storto. Kennedy, Dylan, virus, massoni. Cos’è questo intreccio? Bob Dylan parla di «anelli sulle dita che luccicano e lampeggiano». E avverte: «Vado fino al limite, vado fino alla fine». Come dire: farete i conti anche con me? Farò la mia parte, per denunciare quello che so? In fondo, è quello che sta già facendo: sulla sua nave, ormai, sventola la bandiera pirata. Uno studioso come Gianfranco Carpeoro, già a capo di un’antica obbedienza massonica “scozzese”, fa notare che a dare vita alla pirateria furono proprio i massoni libertari, delusi dalla monarchia britannica. «Pirati e corsari: l’Olonese, il Corsaro Nero, il Corsaro Rosso. Erano tutti massoni. Sempre ritratti nell’atto di nasconderlo, il tesoro: mai di riesumarlo. Messaggio: far sparire l’oro, ritenuto fonte di corruzione». Pirati guerriglieri, ribelli ante litteram? Dettagli in arrivo, nel libro che Carpeoro sta scrivendo. Nel frattempo, non resta che godersi il massonico pirata Dylan. Che infatti, a scanso di equivoci, ora canta: «Porto quattro pistole e due grandi coltelli».

(Giorgio Cattaneo, 19 aprile 2020)

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