Commissione Colao: l’Italia di nuovo in pasto alle élites?

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Commissione Colao: l’Italia di nuovo in pasto alle élites?

Una riflessione alla luce della categoria gramsciana di egemonia culturale

di Lorenzo Caglioni

Di fronte alle sfide politiche e morali che pone all’umanità l’emergenza sanitaria attuale, in molti ci chiediamo se siamo finalmente di fronte a un cambio di paradigma.

Il coronavirus ha indubbiamente messo a nudo alcune debolezze del neoliberismo e ha mostrato l’insostenibilità dell’eccesso di privatizzazioni e deregolamentazioni cui abbiamo assistito negli ultimi decenni. In Europa siamo stati costretti a riscoprire in qualche misura il valore della solidarietà e, insieme, a mettere a nudo egoismi e campanilismi che continuano a generare conflitti nella ricerca di soluzioni politiche condivise. Ci siamo accorti della necessità di intervento pubblico e persino gli Stati Uniti hanno dovuto cercare soluzioni alternative al privatismo assoluto del loro sistema sanitario. Abbiamo pensato in molti e molte che il momento di crisi potesse portare a scelte di rottura rispetto al recente passato e che il capitalismo stesse almeno per incontrare una fase trasformativa.

Eppure ci ritroviamo con nuovi problemi e soluzioni forse già fin troppo note. L’Europa, in affanno per gli egoismi nazionalisti, sembra tutto sommato preferire vecchie ricette e proprio in Italia ci troviamo di fronte alla ricomparsa degli ormai ultra noti “tecnici”, invocati per risolvere con prontezza i problemi della crisi attuale. Se la prima ondata di tecnici – il comitato scientifico – era necessaria, sulla seconda sorge qualche lecito dubbio.

Lo scorso 10 Aprile Giuseppe Conte ha annunciato che per affrontare la così detta “Fase due” dell’emergenza sanitaria, quella della “ricostruzione”, «ci avvarremo di un gruppo di esperti», una task force capeggiata da Vittorio Colao, presentato come «uno dei nostri manager più stimati anche all’estero». Quasi un deus ex machina, appare sulla nostra scena politica con poteri di estrema rilevanza per organizzare il mercato del lavoro e l’economia italiana, l’ex amministratore delegato di Vodafone, figura vicina alle élites finanziarie. Insomma, anche questa volta l’Italia, in un momento di grave crisi in cui c’è bisogno di scelte cruciali, “decide” di affidare le sue sorti a un team di tecnici, guidati da una figura chiaramente legata agli interessi del capitalismo finanziario.

Non è la prima volta in Italia che si giustificano scelte arbitrarie con il ricorso a presunti “tecnici”, capaci grazie alle loro conoscenze oggettive di fornire soluzioni apparentemente super partes. In realtà, per la progettazione di politiche pubbliche c’è ben poco di tecnico e di “esperto” nella figura di un manager che ha dedicato la sua vita professionale alla tutela di interessi privati e non ha mai messo piede nella gestione della cosa pubblica. Quello che alcuni chiamerebbero “approccio soluzionista” per la risoluzione tecnica dei problemi è in realtà un giochetto retorico per indorare la pillola e far apparire alcune scelte come neutrali. Tale supposta neutralità maschera in realtà il vero volto del potere, che ancora oggi costringe le democrazie occidentali a piegarsi agli interessi del settore finanziario e delle élites che lo governano. Non si tratta di teorie complottistiche, quanto di una dinamica umana tipica del capitalismo ben descritta già da Antonio Gramsci con la categoria di egemonia culturale.

Per egemonia si intende nei termini gramsciani il modo ordinario di esercizio del potere delle élites, cioè l’organizzazione del consenso attraverso l’ideologia dominante, diffusa attraverso le istituzioni e le norme della società. L’ideologia non è altro che la cultura, cioè l’insieme delle rappresentazioni che la classe dirigente condivide e diffonde anche alle altre classi sociali.  In questo quadro, la conoscenza e la tecnica legittime – lungi dall’essere neutrali e oggettive – sono infatti asservite all’ideologia e, anzi, ne sono parte costitutiva.

Nei suoi “Quaderni del carcere” Gramsci spiega come l’ideologia dominante sia una componente fondamentale dei rapporti di potere, mettendo in primo piano rispetto alla teoria marxiana il ruolo della cultura e del pensiero. Le élites dominanti si servono infatti del possesso della cultura per assoggettare le classi subalterne. Stiamo parlando del “capitalismo”, che, come insegna Weber, è una vera e propria cultura con profonde radici nella storia dell’Occidente. Queste osservazioni sono più che mai attuali per interpretare le dinamiche politiche e sociali che stiamo attraversando. L’ideologia dominante oggi si presenta sotto la forma del “pensiero unico” promosso dal neoliberismo e imposto all’opinione pubblica dai gruppi di interesse legati alle multinazionali e al settore finanziario. Tali gruppi mirano a mantenere un’influenza costante sul potere politico e sull’opinione pubblica per legittimare e consolidare i propri privilegi.

L’appartenenza di Colao a queste élites è già chiara dal suo curriculum ufficiale, ma è testimoniata anche dalla sua adesione alle riunioni del gruppo Bilderberg, cui hanno partecipato nelle ultime edizioni tra gli italiani Mario Monti, Matteo Renzi, Lilli Gruber, insieme a rappresentanti delle multinazionali, top manager quali il CEO di Microsoft Satya Nadella e l’ex CEO di Google Eric Schmidt e politici come Ursula Von der Leyen, Angela Merkel, Christine Lagarde, Josè Manuel Barroso, Emmanuel Macron. Vittorio Colao è stato anche ex vice presidente della lobby “European Round Table of Idustrialist”, impegnata dal 1983 nella tutela degli interessi delle multinazionali in Europa.

Queste lobbies sono l’espressione concreta della natura delle élites dominanti del pianeta. Legate all’ideologia neoliberista, esse hanno il difetto di promuovere valori individualistici e di inasprire le disuguaglianze sociali attraverso le politiche di austerity che impongono ai governi, come dimostrato anche da “Il Capitale del XXI secolo” di Piketty, che informa della concentrazione di gran parte del capitale finanziario nelle mani di una piccola percentuale dell’umanità. Ecco perché è ancora necessario auspicare un cambio di mentalità, cioè una rivoluzione culturale, uno scossone nel “dato per scontato” delle decisioni politiche. Solo un’inversione di tendenza rispetto alla cultura neoliberista proposta ancora oggi per risolvere i problemi collettivi del post-coronavirus può portare a quella che Gramsci auspicava come una società di “liberi ed eguali”.

Se la politica è l’arte del possibile, essa deve essere affidata a donne e uomini disposti a immaginare un mondo diverso, non a tecnici pronti a trovare la soluzione giusta e inevitabile. La politica può percorrere soluzioni alternative, nell’ottica di pensare all’interesse comune e non solo di indulgere ai capricci dei mercati finanziari per tutelare il privilegio di pochi. La politica può e dovrebbe combattere, anche con nuove istituzioni trans-nazionali, per un mondo popolato di uomini il più possibile liberi ed eguali.

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