di Marco Bersani, Attac Italia
L’epidemia da Covid-19 obbliga a mettere in discussione il paradigma della ricerca di una folle crescita, interamente basata sulla velocità dei flussi di merci, persone e capitali e sulla conseguente iperconnessione dei sistemi finanziari, produttivi e sociali. Sono esattamente i canali che hanno permesso al virus di portare il contagio a tutto il pianeta a velocità mai viste prima, viaggiando nei corpi di manager, amministratori delegati, tecnici iperspecializzati, così come in quelli di lavoratori dei trasporti e della logistica, e di turisti.
Ripensare l’organizzazione della società comporta la rilocalizzazione delle attività produttive a partire dalle comunità territoriali, che dovranno essere il fulcro di una nuova economia trasformativa, ecologicamente e socialmente orientata. Analogamente, saranno i Comuni e le città i luoghi dentro cui ripensare il nuovo modello sociale e democratico.
La precondizione perché questa strada sia finalmente imboccata è liberare gli uni e le altre dalla gabbia del debito e dai vincoli finanziari che in questi decenni ne hanno impedito il mantenimento della storica funzione pubblica e sociale.
Siamo di fronte a una biforcazione senza precedenti: la strada fin qui seguita porta dritto al default di tutti gli enti locali e alla definitiva spoliazione della ricchezza sociale delle comunità territoriali, fatta di territorio, patrimonio pubblico, beni comuni e servizi; l’alternativa è la riappropriazione sociale di tutto quello che ci appartiene e la realizzazione di una reale democrazia partecipativa di prossimità.
Intende intraprendere la prima strada il Comune di Firenze, il cui sindaco ha recentemente annunciato di essere pronto a “qualunque tipo di battaglia per salvare la città dal lastrico”, specificando che intende indebitare le casse comunali “mettendo a garanzia il patrimonio edilizio del Comune”. Cosa si salvi dopo aver consegnato alle banche musei, scuole, mercati, teatri, impianti sportivi, sedi amministrative e politiche è facile indovinarlo: nulla.
Ha decisamente imboccato la strada dell’alternativa la città di Napoli, che ha recentemente approvato una delibera, attraverso la quale rompe la gabbia del debito e reclama un nuovo protagonismo dell’ente locale, dopo decenni di politiche liberiste e di austerità.
Frutto di un percorso partecipativo, che ha visto in primo luogo il ruolo della Consulta pubblica per l’audit sul debito, la delibera pone alcuni elementi sostanziali: a) cancella i debiti prodotti da decenni di commissariamenti, accollandoli allo Stato, che aveva disposto quei provvedimenti; b) chiede la piena attuazione della Legge di Bilancio 2020, che, all’art.39, prevedeva l’accollo allo Stato di tutti i mutui accesi con Cassa Depositi e Prestiti, allo scopo di ridurne drasticamente i tassi di interesse; c) rivendica la possibilità per i Comuni -come si è fatto per le imprese- di accedere per tutto il periodo di emergenza a mutui con Cdp a tasso zero; d) si impegna ad annullare tutti i debiti conseguenti alla firma di contratti derivati; e) chiede anche per i Comuni, in analogia con quanto fatto per gli Stati, la sospensione del patto di stabilità e del pareggio di bilancio; f) rivendica, infine, la costituzione di un Fondo nazionale di solidarietà comunale, che garantisca a tutti i Comuni le risorse necessarie per l’emergenza economica e sociale e per il riavvio delle comunità locali.
La paradigmatica disputa fra le due importanti città evidenzia il conflitto in atto che, a seconda della via che verrà imboccata in questa fase di emergenza, determinerà l’orizzonte per tutte le comunità locali amministrate: la solitudine competitiva e l’espropriazione autoritaria o la solidarietà cooperante e l’autogoverno partecipativo.
Un conflitto, per vincere il quale, sarà decisiva la mobilitazione delle comunità locali in due direzioni precise:
- a) il ridisegno della finanza locale, mettendo la priorità sul pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere, rivendicando risorse incomprimibili per la realizzazione dello stesso;
- b) la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti, che con i suoi 250 miliardi di risparmi dei cittadini, può diventare la leva finanziaria a tassi agevolati di tutti i progetti di riappropriazione sociale dei beni comuni e di costruzione di una nuova economia territoriale, ecologicamente e socialmente orientata.
Su entrambi questi fronti, Attac Italia ha da tempo preparato due proposte di legge d’iniziativa popolare (le puoi trovare qui https://www.attac-italia.org/riprendiamoci-il-comune-2/ ) che sono attualmente alla discussione di reti, movimenti e comitati e che potrebbero diventare una campagna collettiva nel prossimo autunno, quando le strade e le piazze potranno essere di nuovo lo spazio pubblico dell’incontro e la mobilitazione dovrà essere determinata e capillare per non farci ripiombare in un modello che, dopo aver sottratto diritti e ricchezza collettiva, non è stato in grado di garantire protezione alcuna.
Da questo punto di vista, diventa dirimente che la presa di posizione della città di Napoli non sia lasciata sola, ma sia la prima di centinaia di analoghe delibere che rendano evidente la volontà delle comunità territoriali di riprendere in mano il proprio destino. Anche su questo Attac Italia ha predisposto un testo, che può essere richiesto inviando una email a segreteria@attac.org
Perseguendo il diritto al futuro di tutte e tutti e ripudiando ogni espropriazione di diritti finalizzata all’interesse dei pochi. Peraltro, i soliti noti.