Il Lockdown non è il tipo di ridimensionamento che la decrescita ha in mente

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Traduzione a cura di Kristel Klein del Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF (*)

L’articolo originale (leggilo qui), a cura di Crelis Rammelt, Willem Hoogendijk e Francis Merson, è stato pubblicato su Ontgroei, la piattaforma olandese della decrescita, il 26 marzo 2020. Anche se l’articolo originale fa alcuni riferimenti specifici ai Paesi Bassi, le considerazioni esposte valgono anche per l’Italia e tutti gli altri Paesi europei.

La peste bubbonica di inizio XVII secolo è considerata una delle cause principali dello scoppio della bolla dei tulipani1 [NdT: articolo in inglese, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] nei Paesi Bassi. Oggi, il coronavirus (COVID-19) sta portando non solo a una crisi sanitaria, ma anche a una crisi economica, suscitando il fondato timore di una profonda recessione globale. L’attuale sistema economico globalizzato e basato sulla produzione just-in-time, sulla riduzione dei costi, sull’assunzione di grandi rischi e sulla massimizzazione del profitto, ha dimostrato capacità piuttosto limitate di assorbire i colpi. Nei momenti di crisi, infatti, diventano dolorosamente evidenti l’instabilità, la fragilità e le disuguaglianze del sistema economico.

Parallelamente, l’attuale declino è stato associato a una serie di benefici ambientali e sociali, come la riduzione dell’inquinamento atmosferico e delle emissioni di gas serra, catene di distribuzione più localizzate, un aumento della solidarietà tra le comunità e la riscoperta dell’importanza dei servizi pubblici essenziali. Ma è forse di cattivo gusto parlare degli aspetti positivi o delle potenziali opportunità di questa situazione? Non dovremmo semplicemente superare l’ondata di contagi cercando di minimizzare lo sconvolgimento delle nostre strutture economiche?

È chiaro che dovremmo fare tutto quanto è nelle nostre mani per aiutare i più vulnerabili in termini di salute e di sostentamento. Tuttavia, tornare al business as usual, ovvero riprendere le attività economiche e produttive come al solito una volta che la crisi sarà passata (supponendo che ci riusciamo), sarebbe un grosso errore. Dobbiamo prenderci del tempo per riflettere. Soprattutto ora che alcuni di noi stanno scoprendo il raro lusso di avere del tempo libero.

L’attuale recessione economica è ben lontana dal ridimensionamento intenzionale ed equo che noi “pensatori della decrescita” abbiamo in mente. Ma prima di addentrarci nell’argomento, è importante formulare alcune importanti considerazioni. Innanzitutto, la disuguaglianza sociale, la distruzione ambientale e l’instabilità finanziaria sono confluite in una crisi multidimensionale di proporzioni globali. In secondo luogo, questa crisi si sta aggravando imperterrita nonostante decenni di sforzi correttivi in ognuna di queste tre dimensioni. Terzo, tali sforzi sono stati coordinati prevalentemente da un’unica linea di fondo, ovvero esaltando in tutti i casi la ricerca della crescita economica. Infine, qualsiasi ostacolo alla crescita (vedi un virus o un crollo dei consumi) destabilizza il funzionamento interno dell’economia stessa. Quando il meccanismo della crescita viene a mancare, infatti, l’innovazione si arresta, le aziende perdono competitività, le recessioni incombono minacciosamente, le banche crollano, le attività chiudono, i cittadini perdono il proprio lavoro e i governi non sono in grado di far fronte ai debiti nazionali.

La reazione dei Paesi Bassi alla crisi del 2008 è stata l’austerità, che Jason Hickel descrive perfettamente come “un disperato tentativo di riaccendere i motori della crescita tagliando gli investimenti statali nelle politiche socio-assistenziali.” Possiamo solo sperare che la gratitudine manifestata oggi dal governo olandese nei confronti dei medici, del personale sanitario e di tutti coloro che lavorano negli ospedali per il duro lavoro che stanno svolgendo durante l’attuale calvario, serva davvero ad aprire gli occhi sul valore di questi servizi, che va ben oltre il loro potenziale costo per l’economia o la loro redditività. Questa gratitudine deve tradursi in un effettivo sostegno a lungo termine del settore socio-sanitario.

L’impulso primario dell’economia capitalista è la crescita infinita. Ma da dove viene questo impulso? Che cosa ci spinge a perseguire il profitto, l’espansione e l’accumulazione? Siamo forse incitati dalla nostra presunta avida, insaziabile e competitiva natura umana? Oppure ci comportiamo in questo modo perché costretti dalle strutture e dalle relazioni economiche? E ancora, il capitalismo ha forse addirittura plasmato la nostra convinzione che la crescita sia ciò che meglio si adatta al nostro egoismo e materialismo innato? Il sistema capitalista è composto da interessi incompatibili tra loro. La sua è una logica di conflitto piuttosto che di coesione. Per citare le parole di George Monbiot, “siamo, ovunque, spinti a lottare per la ricchezza e lo status sociale come i cani randagi lottano per i resti della spazzatura.”

Possiamo vedere queste lotte tra le aziende, che provocano fallimenti, acquisizioni e oligopoli. Le vediamo anche all’interno delle aziende, tra dirigenti e dipendenti, come causa del lavoro precario, della scarsa retribuzione, degli straordinari e dei burnout. Lotte come queste sono tipiche dell’intero sistema: si producono ovunque, tra acquirenti, venditori, commercianti, intermediari, produttori, azionisti, banche (interessi) e governi (tassazione). Alcune possono scaturire dall’avidità, anche se non sembra essere questa la causa dominante: la maggior parte, infatti, lotta semplicemente per rimanere a galla. Tutto ciò forza ognuno ad inserirsi nelle strutture economiche che potrebbero procurare loro profitto, espansione e accumulazione. Questa è la principale fonte dell’impulso sistemico alla crescita.

La nostra economia mondiale in continua espansione fisica estrae e scarica materia da e nel proprio ambiente materialmente chiuso e limitato. Nel 1845, l’economista politico John Stuart Mill scrisse che dopo un certo periodo di tempo, l’espansione deve arrestarsi, e deve farlo prima che sia la natura a deciderlo. Nello stesso periodo, Marx ed Engels scrissero che le forze produttive, se governate da relazioni capitalistiche, degenerano in forze distruttive. E aggiunsero, anche, che i cittadini farebbero bene a diventare lavoratori indipendenti e appropriarsi delle forze produttive. Ma il capitalismo ha perseverato. Dobbiamo riconoscere che ha portato anche prosperità economica, ma non senza pesanti ripercussioni sociali e ambientali. Sostenere che il capitalismo stia ancora procurando maggiore prosperità non è più un ragionamento ammissibile: il sistema sta andando vertiginosamente fuori controllo.

Dopo decenni di sfruttamento in nome del profitto, gli ecosistemi sono sull’orlo del collasso. I traguardi in termini sociali e culturali raggiunti con il capitalismo non reggono la pressione delle montagne di debiti accumulati dal nostro sistema commerciale e finanziario. Attualmente, il capitalismo renano, più responsabile a livello sociale, sta rimanendo indietro rispetto al modello neoliberista del “laissez-faire”. Le imprese sono intrappolate in una competitiva “corsa al ribasso” che fa incrementare ulteriormente la disuguaglianza sociale e la distruzione dell’ambiente. La cosiddetta libertà d’impresa è, in realtà, oppressa da un sistema dominato dal denaro e obbligato a crescere.

Per alcuni questo peso è maggiore. Secondo il quotidiano The Guardian, la stretta creditizia mondiale innescata dal coronavirus metterà in moto un’ondata di fallimenti aziendali tale che la crisi finanziaria globale, in confronto, sembrerà un “gioco da ragazzi”. In risposta a questa minaccia, i governi hanno annunciato misure di vasta portata per aiutare le aziende colpite dalla pandemia da COVID-19. Si tratta di una risposta senza dubbio encomiabile, ma in questo periodo dovremmo anche riflettere più a fondo sul modo in cui le attuali strutture economiche danneggiano sistematicamente le piccole imprese nelle economie locali – e non solo in tempi di crisi. In qualsiasi situazione economica volatile, queste sono infatti le prime a cadere. (E possiamo già vedere segnali di disparità di trattamento tra piccole e grandi imprese nell’attuale piano di sostegno del governo olandese al settore privato [NdT: articolo in olandese].)

Permetteteci anche di usare questo spazio per considerare un’alternativa. Anche se la decrescita non offre sempre progetti ben definiti, suggerisce nuove direzioni che sono decisamente più opportune rispetto alla situazione attuale. Nel 1991, ad esempio, Willem Hoogendijk pubblicò The Economic Revolution: Towards a Sustainable Future by Freeing the Economy from Money-making (La rivoluzione economica: verso un futuro sostenibile attraverso la liberazione dell’economia dal ‘far soldi’ [NdT]). È stata una delle prime argomentazioni a favore di un’economia flessibile. In un’economia flessibile, le piccole e medie imprese sarebbero in grado di sopravvivere alle fluttuazioni del mercato. Esisterebbero istituzioni a supporto dell’occupazione flessibile durante le congiunture negative, come la garanzia del lavoro o piani di incentivi universali. Inoltre, contrariamente a come accade nella situazione attuale, la retribuzione del capitale in un’economia flessibile – ad esempio i profitti per gli azionisti, gli altri partner e le banche – deve anche essere in grado di fluttuare senza far scappare immediatamente gli investitori. In altre parole, il capitale deve essere molto meno mobile.

Abbattendo la concorrenza spietata e la massimizzazione del profitto, l’economia flessibile è un’alternativa al surriscaldamento dell’economia, nonché una delle numerose strategie della decrescita possibili per migliorare l’ambiente naturale e sociale – e per vivere, così, una vita sana, serena, conviviale e significativa. La decrescita, pertanto, non è un programma di austerità: è una liberazione dalla prigionia di un’economia basata sull’ossessione per la crescita.

In questa fase di transizione, è altrettanto importante smascherare la vecchia storia della crescita ed abbozzarne una nuova. Entrambi gli obiettivi fanno parte del pensiero della decrescita, che si ispira di fatto a un ricco insieme di influenze intellettuali e pragmatiche. Se da un lato questo carattere eterogeneo della decrescita ne costituisce la forza, dall’altro raccontarne la storia può essere una vera e propria sfida. Un dibattito aperto potrebbe aiutarci a narrarla, e per questo saremmo felici di sapere che significato ha per te l’attuale crisi.

Note:
1 Per un approfondimento in italiano sulla bolla dei tulipani suggeriamo questo articolo.

Gli autori 

Crelis Rammelt è un assistente universitario in geografia dell’ambiente all’Università di Amsterdam.

Willem Hoogendijk è un attivista ambientale e scrittore, nonché il presidente dell’organizzazione non-profit Stichting Aarde (Earth Foundation).

Francis Mersonè uno psicologo clinico, scrittore e co-fondatore del collettivo artistico Wowser Nation.

Ringraziamo Jordy Willems, Olga Koretskaya e Ties Temmink per i preziosi contribuiti e commenti a questo articolo.

(*) Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

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