Fulvio Scaglione
Comedonchisciotte.org
Qualche giorno fa, la corte regionale di Coblenza (Germania) ha avviato i lavori del processo a carico di Anwar Raslan, 57 anni, e di Eyad al-Gharib, 42 anni, siriani, ex ufficiali delle forze di sicurezza di Bashar al-Assad, ora accusati di crimini contro l’umanità, stupro e omicidio. I due erano in servizio nella prigione di Damasco chiamata Branch 251, sulla Baghdad Street. Raslan, più alto in grado, avrebbe diretto la tortura di 4 mila persone tra l’aprile del 2011 e il settembre del 2012, e sarebbe responsabile della morte violenta di 58 prigionieri. Al-Gharib avrebbe invece sulla coscienza 30 morti.
I due erano riusciti ad arrivare in Germania in tempi diversi, Raslan nel 2014 e Al-Gharib nel 2018, e non avevano fatto nulla per nascondere il proprio passato. Nel 2015 Raslan era entrato in una stazione di polizia di Berlino per chiedere protezione, sostenendo di essere stato seguito da agenti dei servizi segreti siriani e russi proprio a causa delle sue attività a Damasco e della successiva defezione. Al-Gharib aveva addirittura chiesto asilo politico alla Germania. Tanto che, nelle fasi iniziali dell’inchiesta condotta in base a una legge tedesca del 2002 (in sostanza, stabilisce che i crimini contro l’umanità possono essere perseguiti ovunque e non sopportano giurisdizione territoriale), i due erano stati sentiti come testimoni e non come imputati.
La difesa di Raslan e Al-Gharib punta molto sul fatto che i due abbandonarono il proprio posto già nel 2012, mettendosi in contatto con i ribelli siriani e venendo poi da questi aiutati a fuggire all’estero. Uno degli avvocati della difesa, non a caso, ha detto che “la corte dovrà tenere in conto che cosa (Raslan e Al-Gharib, n.d.r.) hanno fatto dopo aver smesso di essere torturatori”. E questo, in effetti, è un punto molto interessante, soprattutto per quanto riguarda Raslan, un alto ufficiale.
Quando decise di defezionare, nel 2012, Raslan fu portato dagli insorti prima nel sobborgo di Ghouta, nei pressi di Damasco, uno degli ultimi a essere riconquistato dall’esercito di Assad nella primavera del 2019, e da lì poi in Giordania. Si inserì così bene nelle file dell’opposizione a Bashar al-Assad che nel 2014 fu persino chiamato a rappresentare le ragioni dei ribelli a Ginevra nei colloqui di pace organizzati sotto l’egida dell’Onu. Poco dopo, nell’estate di quello stesso anno, poté rifugiarsi in Germania.
Un percorso almeno curioso, per un torturatore e assassino che come tale era noto in Siria e che, altrove, non ha mai nascosto le proprie origini politiche e “professionali”. La domanda, inevitabile, è: che cos’ha fatto Raslan per i ribelli di così importante da essere aiutato, accettato, elevato al rango di rappresentante in una sede internazionale e poi accompagnato verso la sicurezza dell’esilio in Europa? Secondo alcune fonti della ribellione anti-Assad, al momento della defezione e in seguito al momento della fuga all’estero, Raslan avrebbe promesso di consegnare i file relativi a 20 mila prigionieri politici, alla loro fine e agli eventuali responsabili. Ma aggiungono, tale consegna non ebbe mai luogo. Secondo le stesse fonti, da Raslan non è mai uscita alcuna informazione sostanziale perché lui ribadiva di voler mettere i documenti solo nelle mani dell’Onu o della Cia. Possibile? E come mai un simile viscido personaggio fu inserito nella delegazione ufficiale per i colloqui di Ginevra? Davvero i rappresentanti dei ribelli erano così ingenui e sprovveduti?
Anwar al-Bunni, l’avvocato siriano che vive a Berlino e che è stato il promotore della causa contro i due torturatori, non ha dubbi. Al-Bunni era stato arrestato nel 2006 e torturato dallo stesso Raslan e crede fermamente che “un criminale è un criminale, la sua posizione politica non conta”. Giusto. Ma Raslan non è un criminale qualunque e nella sua storia la politica conta. Certe pagine oscure di questa vicenda meriterebbero di essere portate in chiaro.
Fulvio Scaglione