Come prevedibile, la cosiddetta “fase due” si sta già rivelando ancor più problematica delle settimane passate. Tralasciando per ora le specifiche implicazioni sanitarie, sociali, economiche di questo virus, il Covid-19 ha messo il mondo intero dinnanzi a un’unica grande scelta: ripensarsi completamente o tornare ad essere quello di prima, se non peggio. A Venezia questo binomio risulta ancora più evidente, macroscopico. Veniamo da anni in cui la città ha scelto, soprattutto sotto la guida brugnaresca, di affondare nella marea della monocoltura turistica, delle grandi opere inutili come il Mose, del lavoro nero per le grandi istituzioni culturali, del turismo selvaggio e predatorio delle grandi navi. Abbiamo scelto (in tutto il mondo certo, ma questa città ne è paradigma) di vivere secondo un modello economico che può funzionare se e solo se è insostenibile. Venezia e la sua economia hanno saputo e potuto reggere (male) solo fino a quando la giostra ha continuato a girare a folle velocità. A comandarla, in questi ultimi disastrosi cinque anni, il giostraio matto, Brugnaro, voce e faccia di chi grazie ai suoi caroselli ha speculato e guadagnato più di tutti, lasciando agli altri le briciole di una città in affanno: confindustria, il porto, grandi holding finanziarie che hanno comperato centinaia di fondi e di case per affittarli a prezzi spropositati, affaristi di ogni sorta, privati pronti a comprare ospedali, giardini, isole e palazzi della nostra città per tramutarli in resort di lusso. La conosciamo bene, la Venezia che il Covid-19 ha travolto, svuotandola con un’ondata di paura e silenzio. Una città dalla quale molti, troppi, sono dovuti fuggire, perché gli affitti sono insostenibili.
Una città che non ha mai saputo, complici anche le istituzioni culturali e accademiche, trasformare in residenti le migliaia di persone che vengono qui a studiare da ogni parte del mondo. La Venezia prima del Covid-19 è una Venezia sbagliata, ma che abbiamo sempre amato e per la quale abbiamo scelto di lottare, per renderla migliore; soprattutto, non è una Venezia così lontana e diversa da quella che ci aspetta nel futuro, se non saremo capaci di impedire che tutto torni come prima. Come già detto, la giostra è stata solo fermata per qualche istante, e c’è chi si prepara a farla ripartire. Il nostro sindaco e le categorie che hanno speculato su questa città ogni giorno ce lo stanno dimostrando, dandoci un assaggio di ciò che potrebbe essere il futuro. Il fronte dei “negazionisti”, di chi sbraita che tutto va aperto, che le grandi aziende devono ripartire, che l’economia è sacra e va salvaguardata. Lo abbiamo visto tutti Brugnaro, mentre prova a negare i numeri dei morti, mentre spinge costantemente per “riaprire qualsiasi cosa, che so’ stanco”, addirittura usando la retorica della libertà, chiamando in causa la Costituzione. Ci fanno sorridere questi negazionisti perché sono goffi quando fingono di essere ciò che non sono. A Brugnaro e alla sua giunta interessa solo riaprire alla speculazione, al profitto a tutti i costi. Ciò che conta sono i schei, nient’altro. Nessuna apertura, nessuna attenzione ha dimostrato questa giunta verso chi, durante questa pandemia, era per strada senza un tetto sopra la testa, verso chi ha perso il lavoro, verso chi doveva andare a lavorare in autobus strapieni e in condizioni igienico-sanitarie disastrose (ce li ricordiamo gli operai di Fincantieri?). Nessuna apertura e nessuna attenzione sono state offerte a chi in questi mesi è rimasto chiuso in casa senza assistenza o a chi questa assistenza ha provato a metterla in pratica, con azioni di mutualismo dal basso e auto-organizzate. A svelare quali sono i veri interessi di riapertura del nostro sindaco è proprio la sua idea di futuro. Non una parola su come pensa di prendersi cura della propria città, di chi soffre o soffrirà per questa crisi. Non una parola spesa per chi dovrà tornare a lavorare ma non sa come gestire i figli, a casa da scuola; non una parola sugli ospedali e la sanità, che l’amico Zaia pochi mesi fa voleva tagliare ulteriormente; non una parola seria sul ripensamento necessario delle politiche abitative o ambientali della nostra città. Ciò che abbiamo visto sono state solo conferenze stampa fini a sé stesse, buoni spesa spesso inutilizzabili dai pochi che li hanno ricevuti, mascherine distribuite con ritardo imbarazzante. Anche il patto da poco firmato con IUAV e Abbav risulta una prova ulteriore del futuro che immagina il nostro sindaco: cosa serve dare per soli sei mesi o un anno i bnb agli studenti, se non a congelarli in attesa del ritorno dei turisti? E soprattutto, a quali prezzi si pensa di affittare queste case, considerando che gli studenti universitari dovranno continuare a pagare rette e servizi a prezzi altissimi, senza che si vedano aiuti all’orizzonte? Insomma, la riapertura di cui parla Brugnaro è solo e unicamente la riapertura della giostra, di una città sfruttata e depredata in un passato che è più vicino di quanto ci sembri ora. In questo senso, la conferenza stampa di martedì sera rappresenta l’ennesimo atto di questo terribile copione. Seguendo l’hashtag #risorgiamoitalia, Brugnaro è andato in piazza San Marco, circondato da ristoratori e rappresentati di categoria, a reclamare l’apertura. O meglio, a reclamare schei, e voti. Una mossa puramente elettorale e di tornaconto economico. La pagliacciata di San Marco è l’ennesimo insulto a questa città. Il sindaco ha inscenato un flashmob in una piazza da anni vietata a qualsiasi manifestazione, in una piazza che il popolo No Grandi Navi ha potuto prendersi solo a spinte, in dieci mila, contro il prefetto che la voleva, incredibilmente, negare ai suoi stessi cittadini. Non solo, Brugnaro con questa sceneggiata ha fatto ciò che da mesi è vietato a chiunque: scendere in piazza per “protestare”. Definire una protesta quella di Brugnaro è certamente eccessivo, ma sarebbe stupido non leggerla come una forzatura che il sindaco ha deciso di intestarsi. E per chi, questa forzatura? Per la giostra, per i schei, per chi da questa crisi di certo non è stato toccato (Arrigo Cipriani non ci sembra rappresentare al meglio le migliaia di famiglie che non potranno arrivare a fine mese…). Anche le parole riprese dal nostro sindaco, non sono affatto casuali. Non solo aprire, ma anche risorgere: ovvero, per lui, tornare indietro. Non di un risorgimento culturale ci ha parlato il nostro sindaco, né di una città che deve essere diversa. Risorgere, riaprire, sono sinonimi di fatturare.
Ancora una volta, i schei: gli stessi che muoveranno, domani, il corteo di Abbav e Fratelli d’Italia. Di nuovo, l’obbiettivo è piazza San Marco, per poi arrivare a Rialto, probabilmente per raccogliere la benedizione del sindaco. Non solo Brugnaro dunque, ma anche albergatori, ricchi affittuari e neofascisti bramano il ritorno a una città dilaniata, a quel passato che ci ha condotto al nostro presente, precario e impoverito. Insomma, il fronte degli speculatori, di chi si è arricchito sulla pelle nostra e della città, si sta compattando, reclama piazze e spazi, si organizza, è pronto a tornare più forte di prima per mangiarsi definitivamente Venezia e i suoi abitanti. Per questo, è necessario costruire un’alternativa a tutto questo: se chi sfilerà domani lo farà per reclamare profitto senza limiti (economici o ambientali che siano), noi dovremo farlo per pretendere diritti, reddito e giustizia climatica.
Da questo punto di vista, risulta inadeguato chi invoca la chiusura totale, la clausura come cura a tutti i mali. Di quale chiusura parla, la “sinistra”? Moltissime aziende non hanno mai chiuso in tutta Italia, mentre noi eravamo costretti in casa. E dove sta la cura, nel chiuderci in casa? Nel distruggere qualsiasi forma di vita, socialità, contatto umano? Dov’era la cura in questi anni di tagli alla sanità, perpetuati anche da sinistra? Sia chiaro, chi scrive ha ben presente che viviamo ancora un’emergenza sanitaria grave e per certi versi ancora sconosciuta. Ma i nostri morti, la crisi sanitaria che noi abbiamo pagato a causa di chi ha saputo solo privatizzare e umiliare la sanità pubblica, non possono essere un ignobile trampolino di lancio verso misure restrittive che vanno ben oltre i tempi e la questione del virus. Il distanziamento sociale, ad esempio, non potrà essere accettato come dato ad oltranza, e non può essere l’unica via praticabile; cura e prevenzione sono piuttosto sinonimi di reddito (come quello di quarantena richiesto da chi svolge lavori precari), di attenzione verso chi nelle mura di casa subisce violenze e abusi, che in questi due mesi di chiusura sono aumentati vertiginosamente; cura vuol dire attivare assistenza psicologica per coloro che più hanno sofferto in queste settimane, vuol dire impedire con qualsiasi mezzo, ora più che mai, i soprusi delle forze dell’ordine, tra i primi a desiderare uno stato d’emergenza, perché ben sanno che non vi è molta differenza con lo stato di polizia. Cura non è forse reinvestire nella sanità, e prima ancora nell’istruzione (forse dovremmo anche interrogarci nuovamente sul numero chiuso in certe facoltà, come in quella di medicina..)? A Venezia l’ospedale al Lido sta per diventare una Spa di lusso, mentre quello di Dorsoduro è al collasso: ci rimane solo il civile, che naviga tra mille difficoltà. Non dovremmo forse parlare di questo, piuttosto che contare quanti veneziani sono usciti di casa per fare la spesa? Ancora una volta, la cosiddetta sinistra si dimostra distante dalla realtà, incapace di interpretarla ma bravissima invece a confondere il privilegio con i diritti, la cura, la tutela sanitaria. Sono le donne vittime di violenza, le carceri strapiene che rischiano di divenire nuovi focolai del virus, i senza tetto, gli opera sacrificabili sull’altare del profitto (insomma, la realtà!) a rendere ridicola la retorica della clausura e del suo terribile #iorestoacasa.
Non crediamo che la risposta a Brugnaro e ai negazionisti come lui, possa essere un “chiudere tutto”. Viviamo un’emergenza che non è solo sanitaria, ma anche economica e sociale. L’intero mondo è ora messo in discussione, viviamo una fase inedita e la soluzione non può certo essere quella di stare a guardare dalla finestra di casa, mentre destre e affaristi di ogni sorta ripopolano le nostre strade.
Da parte nostra, ci rifiutiamo di sottostare a questo gioco delle opposte fazioni, da una parte chi vuole aprire per tornare a speculare, dall’altra chi ancora invoca gli untori e la chiusura totale che mai è esistita, incapace di leggere il mondo in cui vive e le necessità di chi lo abita. Crediamo che sia possibile e percorribile una strada diversa, che parli di apertura a una città migliore, rivoluzionata più che risorta. Tornare nelle piazze, in forme nuove e tutte da sperimentare (in sicurezza e consapevoli della necessità di tutelare la salute di tutt*), è un imperativo che non possiamo ignorare, soprattutto ora, soprattutto qui, a Venezia. Soprattutto dopo il teatrino del sindaco. Aprire sì, ma nuovi spazi di lotta, nuove sperimentazioni di cura e di mutualismo. Tornare nelle piazze sì, ma per parlare di lavoro, reddito, formazione, diritto alla casa tutte e tutti insieme. Non possiamo lasciare che a determinare il futuro di questa città sia chi l’ha portata al baratro, non possiamo lasciare che le istanze di riapertura siano nelle mani di chi vuole tornare a un modello economico che ci ha portato alla situazione attuale. Al #risorgiamoitalia del nostro sindaco preferiamo le parole che abbiamo scritto sulle pettorine usate dai nostri volontari per portare beni di prima necessità a chi è stato colpito dall’emergenza: cura, solidarietà, rivoluzione. Le piazze, le calli, le strade sono il foglio giusto su cui scriverle.