Un’analisi, scritta dai collettivi 3e32 dell’Aquila e Insurgencia di Napoli, sui meccanismi di potere al tempo dell’emergenza, che negli anni hanno vissuto in prima linea e combattuto nel post-sisma aquilano e nell’emergenza rifiuti in Campania. Cambiano le cause dell’emergenze, passano gli anni, ma i personaggi che “muovono” i meccanismi del potere nell’emergenza sono sempre i soliti.
Per molti, lo stato di emergenza in cui ci troviamo ormai da due mesi è stato uno hock completamente inaspettato. Per alcuni di noi, invece, la gestione dell’emergenza pandemica ha assunto fin dai primi istanti delle forme (extra)giuridiche e delle modalità di intervento che purtroppo conosciamo bene e che ci riportano alla mente stagioni buie per i nostri territori e per l’intero Paese.
Ci riferiamo al periodo a cavallo tra il 2008 e il 2009 e alla dichiarazione di stato di emergenza, a cui faceva seguito, sistematicamente, il commissariato straordinario dei territori. Un commissariamento che fu uno strumento utilizzato in numerose occasioni, in quel frangente ormai lontano, dal Governo Berlusconi, con l’ausilio della Protezione Civile guidata allora da Guido Bertolaso. A quel tempo, lo stato di emergenza e il commissariamento della Protezione Civile prendeva una deriva simile a quella raccontata da Naomi Klein nel suo “Shock Economy. Il capitalismo dei disastri”. Il sistema di comando dell’emergenze si concretizzava in un’esautorazione completa delle istituzioni e delle comunità locali e si dispiegava attraverso ordinanze in deroga a qualsiasi normativa (compresa quella sugli appalti).
Con questo sistema Berlusconi e Bertolaso gestirono anche tutta una serie di grandi eventi e di grandi opere, fra cui il G8, i lavori per i mondiali di nuoto e per l’anniversario dei 150 anni dall’Unità d’Italia. Le indagini della magistratura contribuirono poi a svelare che dietro un sistema così collaudato si nascondeva in realtà un meccanismo di corruzione e clientele in cui operavano indisturbati gruppi di imprenditori amici (la cosiddetta “cricca della Ferratella”). Le indagini portarono all’arresto di numerose persone, tra cui gli imprenditori intercettati mentre “ridevano”, durante la tragica notte del terremoto dell’Aquila, pregustando cinicamente gli affari che avrebbero fatto grazie ai loro cosiddetti ‘amici’.
Nel 2009, non contenti, Bertolaso e Berlusconi (che al tempo governava con Salvini e la Meloni: tanto per rinfrescarsi un poco la memoria) cercarono di andare oltre: volevano trasformare la Protezione CIvile in una s.p.a., e istituzionalizzare così quel modello di gestione delle emergenze e degli appalti, estendendolo e rafforzandolo una volta per tutte. A pensarci oggi può sembrare assurdo, ma questo tentativo (che aveva in sè tratti chiaramente eversivi) fu fermato soprattutto grazie alla battaglia dei movimenti sociali, dei cittadini e di giornalisti che avevano visto all’opera direttamente quel modello sui loro territori. È così che noi del Comitato 3e32 dell’Aquila e del Centro Sociale napoletano Insurgencia ci siamo conosciuti. Ed è per questo motivo che oggi scriviamo una lettera insieme.
Il comitato “3e32” nasce a L’Aquila all’indomani del sisma del 6 Aprile 2009. “3 e 32” non è altro che l’ora della notte in cui una scossa di magnitudo 6.3 ha devastato il capoluogo abruzzese e il territorio circostante, uccidendo 309 persone. Il comitato si pose sin da subito l’obiettivo di restare e “resistere”, nonostante le enormi difficoltà dovute alla situazione, organizzando iniziative, dibattiti e manifestazioni sul futuro dell’Aquila e sulla ricostruzione del cratere sismico. La preoccupazione principale che ha animato le battaglie di quel periodo era garantire che la popolazione fosse realmente partecipe delle scelte da fare, evitando che fossero personaggi e forze politiche esterne a prendere il sopravvento.
Il centro sociale Insurgencia è invece precedente alla battaglia che ne ha poi segnato inevitabilmente la storia. Nasce nel 2004, quando le battaglie per la giustizia ambientale, contro gli sversamenti di rifiuti tossici e contro l’impiantistica nociva erano localizzate soprattutto in provincia, attorno all’apertura dell’inceneritore di Acerra o al disastro delle ecoballe di “Taverna del Re” a Giugliano. Le attiviste e gli attivisti di insurgencia, che venivano quasi tutti dalla grande lezione del movimento dei movimenti e di Genova 2001, avevano individuato da subito nelle lotte ambientali il nervo scoperto dell’accumulazione predatoria sul nostro territorio e del legame promiscuo tra politica corrotta e camorra. Seguirono così subito da vicino ognuna di quelle battaglie che infiammavano i comuni della provincia. Tutto cambiò però nel 2008, quando l’allora governo Berlusconi, con la complicità del governatore della Regione Antonio Bassolino, decise di aprire una discarica gigantesca in piena città di Napoli, nel quartiere di Chiaiano, a pochi chilometri dal centro sociale. Ne seguì una Resistenza popolare che durò mesi e fu repressa con l’uso dell’esercito. Anche in quel caso la scelta fu fatta schiacciando completamente la volontà dei cittadini e attraverso lo strumento del commissario straordinario. Ancora una volta, c’era di mezzo Guido Bertolaso. Anche nel caso della discarica di Chiaiano, come a L’Aquila, le inchieste della magistratura ci hanno permesso anni dopo di dare ragione alla voce delle comunità, dimostrando non solo che l’invaso era pericoloso e incontrollabile, ma che sulla sua gestione ci avevano messo mano i poteri criminali. Per Chiaiano però Nessuno ha pagato.
Per tutte queste ragioni, per le nostre storie così distanti eppure così vicine, siamo rimasti senza parole quando, in queste settimane, abbiamo assistito al ritorno di Bertolaso nel ruolo del “salvatore”, convocato proprio per la gestione degli appalti pubblici attraverso il sistema dell’emergenza, come accaduto in Lombardia e nelle Marche. In entrambi i casi, tra l’altro, sono stati i medici stessi a denunciare come le opere che si volevano realizzare in questo modo fossero di dubbia utilità e a proporre quindi modalità di intervento alternative. Nella stessa direzione va la nomina di Massimo Paolucci (nella foto) come braccio destro di Arcuri. Quel Paolucci che con Bertolaso ha gestito da sub-commissario straordinario l’emergenza rifiuti in Campania e che ora ritroviamo nella segreteria del Ministero della Salute.
Certo, si dirà che l’emergenza Covid e le nostre storie di lotta non hanno nulla in comune. Eppure, ogni qual volta c’è bisogno di scegliere i ruoli chiave nella gestione delle emergenze, e soprattutto nell’amministrazione delle relative risorse economiche, vengono nominati sempre gli stessi personaggi, noti per aver saputo costruire sullo stato di eccezione nei nostri territori enormi occasione di clientelismo, corruzione e malaffare.
Al netto dei tanti slogan retorici sbandierati in questi due mesi di lock down, auspicando che questa crisi si trasformi in un’opportunità di ripensamento dei fondamenti dell’economia, della tutela del paesaggio, dei modi di produzione, ci sembra in realtà che le scelte a cui stiamo assistendo dimostrino tutt’altro. L’evidenza è che, finora, abbiamo assistito alla sedimentazione e alla rigenerazione di un sistema di potere che continua a ricoprire posizioni chiave nel Governo del Paese.
È legittimo dunque domandarsi oggi quali siano i rischi nella gestione delle risorse che arriveranno dall’Europa per la sanità (se arriveranno), come di quelle stanziate fino ad ora dal governo (pensiamo alla manovra dei 400 miliardi per le imprese). Non rischiano forse, se non governate con la necessaria trasparenza, di rappresentare il più grande affare recente per le mafie e le cricche di malaffare? Sono le stesse mafie che alimentano un sistema di clientelismo atavico, strisciante, che ruota attorno ai grandi appalti e incarna una forma di potere che passa per connivenze con tutti gli apparati dello stato a preoccuparci.
È contro queste infiltrazioni mafiose che riteniamo ci si debba premunire. Sono le mafie che abbiamo conosciuto a casa nostra. Sono i poteri criminali che trovano il modo di insediarsi perfettamente nelle emergenze e che anzi ne anticipano spesso lo svolgimento, riuscendo a trarre il massimo del profitto dalle situazioni di questo tipo. In un momento come quello che stiamo attraversando, con l’intero paese che versa in una crisi economica senza precedenti, lo spazio per l’imprenditoria armata è davvero potenzialmente enorme. Ci sarebbe piaciuto vedere reclutate nei ruoli chiave figure che avessero una fondamentale funzione di garanzia. Vediamo invece seduti nuovamente ai posti di comando “tutti gli uomini dell’emergenza”. I soliti.
Da Napoli a L’Aquila non possiamo non suonare il campanello d’allarme di chi alla salute delle comunità e dei territori del nostro Paese ci tiene davvero.