Il nemico interno/4

di Alexik

Finalmente è arrivata la fase due, e come promesso appaiono i primi timidi segnali di ritorno alla normalità.
Nella classifica dei ‘nemici pubblici della nazione’ cominciano a scendere verso il fondo della graduatoria i frequentatori di spiagge e giardinetti, gli appassionati di jogging e quelli che portano a spasso il cane, categorie che hanno calamitato negli ultimi due mesi gran parte dell’odio sociale e dell’arbitrio poliziesco.

Al loro posto in compenso ritorna in pole position un evergreen: gli anarchici sovversivi.
Una scelta che sa di tradizione, di un ritorno ai classici ed alle vecchie abitudini consolidate.
E questo non solo in tema di montature contro gli anarchici, di cui la storia offre esempi a piene mani, da Sole e Baleno a Valpreda, e ancor più a ritroso fino a  Sacco e Vanzetti.
Ma anche per la riedizione aggiornata del vecchio arnese dei reati associativi e dello spauracchio del terrorismo.
Che è un po’ come dire:

È vero, abbiamo prodotto innovazioni impensabili fino a pochi mesi fa.
A colpi di decreto abbiamo costretto metà del paese agli arresti domiciliari e l’altra metà al lavoro forzato.
Abbiamo trasformato le italiche strade in un’immensa fiera dello sbirro dove, in assenza di testimoni, ogni abuso è diventato lecito .
Abbiamo istigato milioni di persone (per la verità già predisposte) alla delazione, all’odio e all’aggressione contro il “folk devil” di turno, nascosto nei panni di ogni ignaro passante, potenziale untore in base alla mera appartenenza al genere umano.
Abbiamo sviluppato sistemi di tracciamento che permetteranno di immagazzinare su server gestiti da noi, o dai nostri appaltatori, i dati decriptabili sulle persone che ogni singolo abitante della penisola incontra durante il giorno. Sistemi che verranno accolti col plauso del Belpaese in nome della sicurezza sanitaria.
Abbiamo sospeso il diritto di sciopero.
Abbiamo ostacolato e represso con nuovi efficaci strumenti ogni forma di protesta di piazza, proibito ogni riunione in luogo pubblico o privato che potesse agevolarne l’organizzazione, additando le trasgressioni come un pericolo per la salute pubblica.

E lo abbiamo fatto [Geniale!] sventolando a giustificazione i dati sui morti che noi stessi abbiamo prodotto, dopo aver tagliato per 30 anni la sanità, dopo aver trasformato gli ospedali e le case di riposo in epicentri di contagio, e costretto milioni di persone ad assembrarsi ogni giorno sui luoghi di lavoro e di trasporto al lavoro.

In linea con quanto succedeva nel resto del mondo, abbiamo approfittato di una terribile epidemia per trasformare la penisola in un immenso esperimento di controllo sociale, dei cui risultati godremo in maniera permanente.
Ma non pensiate che  tutto questo abbia soppiantato l’eredità teorica e pratica, la varietà dei dispositivi e la ricca strumentazione giuridica accumulata durante secoli di sviluppo del potere poliziale1.

L’innovazione avveniristica che ha impresso in questi mesi un enorme salto di qualità alle tecniche di controllo e pacificazione2 si evolve sostenuta da solide e profonde radici, capaci di trarre ancora nutrimento dal positivismo giuridico, dal codice penale fascista e dalle stratificazioni di legislazioni emergenziali che si sono susseguite fino ad oggi dagli anni ’70 in poi.
Nessuno degli strumenti utilizzati nel corso della storia dai poteri costituiti, al fine di piegare individui, gruppi e popolazioni riottose, viene mai accantonato.
Ed è così che viene rispolverato dal cassetto, come un vecchio attrezzo ormai consunto dall’uso, l’art. 270bis del codice penale, il reato di  associazione sovversiva con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, nel tentativo di accollarlo a sette anarchic* di Bologna, arrestati il 13 maggio scorso e deportati in varie carceri italiane in regime di alta sicurezza. Altr* cinque vengono attualmente sottopost* all’obbligo di dimora.

Pillole di storia

Evoluzione del fascistissimo art. 270 ereditato dal codice Rocco, che punisce l’associazione sovversiva semplice, l’art. 270bis entra a far parte della famiglia dei reati associativi grazie alla Legge Cossiga del 1980, col fine specifico di colpire i  movimenti di lotta.
Viene usato per la prima volta (retroattivamente) nel processo 7 aprile contro l’Autonomia Operaia3, e poi in maniera intensiva per buona parte degli anni ’80.
Nel 1998 serve a condurre al suicidio Sole e Baleno, e a portare in giudizio Silvano Pellissero, nel primo processo contro l’opposizione al TAV in Val di Susa4.
Lo ritroviamo in seguito nel processo “sud ribelle” per le manifestazioni contro il Global Forum ed il G8 di Napoli e Genova del 2001, ed è utilizzato ancora contro i No Tav nel 2012, e numerose volte contro gli anarchici.

La duttilità dello strumento in mano alle Procure sta nel fatto che, per trovarselo sul gobbo, non occorre la presenza di armi, o la formazione di un gruppo clandestino, e neppure la realizzazione di atti effettivamente idonei a terrorizzare alcuno, o di tale portata da sovvertire realmente l’ordine costituito.
Perché “gli atti concreti non sono importanti, ciò che conta è individuare il fine ultimo, quindi stabilire nessi logici, interpretare la personalità e le convinzioni delle persone sospette, sì da rinvenire la “fattispecie terroristica5.
Il 270bis agevola la moltiplicazione di teoremi giudiziari fondati su congetture contorte che trasformano insiemi di fatti spesso leciti, o di illeciti lievi, in gravissime ipotesi di reato, fondando castelli accusatori sulla base della personalità e del credo politico del ‘reo’, valutando quindi “non l’offensività del fatto, ma la “nemicità” di chi l’ha commesso. Si può parlare a tal proposito anche di “diritto penale d’autore”, nel senso che più del fatto conta l’autore e il ruolo che il suo livello di politicizzazione ha giocato nella commissione del reato6.
All’interno dei teoremi assurgono al rango di fatti criminosi le pratiche normali dei movimenti, come descrive questo compagno di Bologna, inquisito nell’inchiesta Mastelloni del 1985/86:

Siamo accusati, io ed altri 33, di aver fatto cose che mai nessuno avrebbe pensato potessero essere dei reati o segni di reati; come l’aver partecipato a manifestazioni o conferenze, o l’aver avuto parte organizzativa in riviste, radio locali o cooperative di movimento. Sembra che gli inquirenti abbiano passato mesi a spiarci (spendendo non poco denaro in nastri magnetici e in carta da rapporti) per scoprire cose che tutti sapevano e che nessuno si sarebbe mai sognato di nascondere7.

Date simili premesse, capita spesso che le costruzioni accusatorie cadano come castelli di carta, o si ridimensionino fortemente.
Succede nel 2002 a Silvano Pellissero, con una condanna che esclude il terrorismo, e che prevede una pena più breve della carcerazione cautelare già subita. Succede agli imputati del processo “sud ribelle”,  iniziato con venti arresti nel 2002 e concluso con le assoluzioni definitive del 2012. Succede ai No Tav, quando cade l’accusa di terrorismo nel “processo del compressore”, e spesso succede agli anarchici:

le indagini aperte negli ultimi anni per associazione sovversiva ai danni di anarchici sono spesso cadute alla prova del processo: l’inchiesta “Ixodidae” di Trento ha portato ad un’assoluzione piena già in primo grado, l’operazione “Ardire” di Perugia è stata bocciata in sede di udienza preliminare con un “non luogo a procedere”, l’accusa di 270 bis nell’ambito del processo “Brushwood”, partito a Terni, non ha retto in appello, anche l’operazione “Mangiafuoco” a Bologna si è conclusa con un niente di fatto, infine nel 2012 sono stati assolti dal 270 bis anche 19 anarchici fiorentini gravitanti intorno a Villa Panico e Asilo Occupato8.

Ma allora perchè Procure e Tribunali si ostinano a utilizzare il 270bis, se i risultati finali sono così fallimentari?
In realtà il vecchio attrezzo, grazie al riferimento al terrorismo, serve eccome, perché permette di ampliare a dismisura gli strumenti di indagine a disposizione delle Procure, in termini di intercettazioni, pedinamenti, perquisizioni e, per il futuro prossimo, utilizzo dei Trojan di Stato.
L’ampiezza delle possibilità di indagine e della loro durata permette, come afferma Xenia Chiaramonte in riferimento alle inchieste sui No Tav, la “formazione di un sapere sul movimento, propedeutico oltre che al controllo preventivo anche alle dinamiche che porteranno ad altri e diversi processi9
Il fatto che spesso non si arrivi a delle condanne viene compensato dalla possibilità di infliggere lunghe custodie cautelari in carcere (ossia l’incarceramento dell’imputato prima della sentenza definitiva), fatto che costituisce la regola e non l’extrema ratio come avviene per i reati comuni e può avere durata molto lunga (fino a 6 anni)10.
I reati che si richiamano al terrorismo offrono enormi possibilità di criminalizzazione mediatica, che sempre precede e accompagna questo tipo di inchieste, provocando danni duraturi sulle persone coinvolte al di là di ogni possibile assoluzione, seminando diffidenza e allontanamento della gente nei confronti dei loro gruppi e movimenti di appartenenza.
Infine questo tipo di accuse impegnano necessariamente le energie dei movimenti e dei gruppi nel contrasto alla criminalizzazione mediatica e giudiziaria, energie che vengono sottratte in questo modo alle lotte sociali, e tolgono gli arrestati dal vivo dell’attività politica per mesi o anni.

Pillole di attualità

Il 13 maggio a Bologna sette compagni e compagne del circolo anarchico “Il Tribolo” sono stati arrestat* e altr* cinque sottopost* ad obbligo di dimora con l’accusa abnorme di associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico.
Si tratta di compagni e compagne che si sono distint* nella solidarietà e nel sostegno ai detenuti, pienamente intern* al movimento anticarcerario trasversale che ha ricominciato ad esprimersi negli ultimi mesi nei presidi sotto il carcere Dozza e nelle iniziative in città.
Tutta l’operazione contro di loro assume caratteristiche di abnormità: dai pedinamenti con i droni (perché, con la caccia ai runners in via di esaurimento, in qualche modo bisognerà pure utilizzarli), all’irruzione nelle case dei carabinieri in tenuta antisommossa, con caschi e scudi (una tenuta da ordine pubblico, mai usata, che io sappia, per perquisizioni e prelievo di arrestati dal loro domicilio).
Abnormi i trasferimenti nelle sezioni di alta sicurezza di Piacenza, Alessandria, Ferrara, Vigevano.
Abnormi al confronto dell’unico reato specifico contestato: il danneggiamento di un ponte ripetitore, la cui attribuzione ovviamente è tutta da dimostrare, ma che ricorda, tristemente, montature di altri tempi in Val di Susa.
Ma è soprattutto il  comunicato stampa della Procura  che assume il ruolo di un documento politico, quando afferma il carattere preventivo dell’intervento “volto ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla particolare descritta situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato”, in linea con la direttiva emanata dal ministro Lamorgese ai prefetti per prevenire il “manifestarsi di focolai di espressione estremistica”.
Un documento politico, quello della Procura, che contesta agli indagati la loro opposizione ai centri per la deportazione forzata dei migranti (CPR) ed il sostegno alle campagne anticarcerarie, considerando come fatti eversivi l’organizzazione di manifestazioni non preavvisate, le scritte sui muri, la realizzazione e diffusione di opuscoli, articoli e volantini.
Pratiche consuete e diffuse di tutti movimenti di lotta,  da chi difende i territori dalle devastazioni ambientali, a chi si muove per affermare il diritto alla casa, al reddito, agli spazi sociali, alla dignità del lavoro.
Pratiche che ci appartengono, come ci appartengono quest* compagn*, che vanno  difes*, sostenut*, liberat*.

Note:

La solidarietà è un’arma.
Chi volesse portare la propria solidarietà anche attraverso il sostegno economico alle compagne e ai compagni arrestat*  a Bologna qui può trovare le coordinate per contribuire.
Per chi volesse scrivere alle compagne e ai compagni in carcere:
Elena Riva e Nicole Savoia, Str. delle Novate, 65, 29122 Piacenza.
Duccio Cenni e Guido Paoletti, Via Arginone 327, 44122, Ferrara.
Giuseppe Caprioli e Leonardo Neri, Strada statale 31, 50/A – Loc. San Michele – 15121 Alessandria (AL)
Stefania Carolei, Via Gravellona, 240, 27029 Vigevano, PV
Chi volesse rimanere aggiornato può seguire il blog della Rete bolognese anticarceraria.
Qui un’intervista a Radio Onda Rossa.

Condividi questo contenuto...

Lascia un commento