Il “caso” di Silvia Romano ha messo in luce tutte le debolezze dell’Italia nel gestire vicende delicate. Debolezze amplificate dal “reality show” messo in piedi a Fiumicino, durante l’atterraggio di Silvia, che di fatto ha esposto la ragazza alla pubblica gogna, senza alcun filtro e protezione. La vicenda svela anche il ruolo determinante della Turchia, che sta ampliando sempre di più i propri interessi nell’Africa Orientale. Di tutto questo abbiamo discusso con Alberto Negri, uno dei giornalisti italiani più esperti e competenti in politica estera e affari internazionali.
La liberazione di Silvia Romano è stata accolta da un coro di illazioni e ipocrisie. Tralasciando le scelte individuali di Silvia, molti tra giornalisti e commentatori si sono soffermati sulle relazioni “poco chiare” tra i servizi di intelligence italiani e le formazioni jihadiste. In alcuni tuoi articoli recenti hai sottolineato come in realtà questo rapporto sia abbastanza duraturo e soprattutto non riguardi solamente l’Italia. A quali interessi corrisponde tutto questo?
Innanzitutto, per stessa ammissione del vice ministro degli esteri Marina Sereni, nell’operazione di liberazione di Silvia Romano è stato determinante, e queste sono le precise parole del ministro, l’apporto dei servizi segreti della Turchia. Su questo abbiamo avuto una conferma ufficiale proprio dalle autorità italiane. E già il fatto che la Turchia abbia avuto un ruolo così importante ci porta ad alcune riflessioni sulla situazione, ad esempio, in Somalia e nel Corno d’Africa in generale, dove la Turchia da tanti anni ha soppiantato l’Italia come paese di riferimento e i servizi turchi sono, come si sa, in ottimi rapporti con i gruppi della galassia jihadista da molti anni. Non è un mistero che Erdogan abbia manovrato i jihadisti in origine di Al Qaeda, ma anche dell’ISIS, nel nord della Siria contro Bashar al-Assad. E che poi addirittura abbia spostato i jihadisti dalla Siria per combattere in Libia in difesa del governo di al-Sarraj contro il generale Haftar.
E già questo mi sembra un punto importante da sottolineare. Poi ci sono i rapporti stessi degli italiani con i jihadisti, che non sono certamente notizia di oggi. Molte volte i nostri servizi segreti hanno avuto rapporti con esponenti di alto rango del regime islamico, basti ricordare per esempio Abdelhakim Belhadj, a cui abbiamo dato un visto Schengen a Istanbul per farlo viaggiare in tutta Europa. Belhadj era un uomo ricercato dalla CIA. Ha conquistato Tripoli dopo la caduta di Gheddafi ed è in ottimi rapporti, ovviamente, anche con la Turchia di Erdogan. Poi abbiamo avuto rapporti con altri movimenti e gruppi jihadisti, e forse non è un caso se in Italia non ci siano stati gli attentati che abbiamo visto nel resto dell’Europa e questo lo dobbiamo al lavoro dei servizi di sicurezza e degli apparati di Intelligence.
Quindi non siamo di fronte a cose che non conosciamo, ma siamo nell’ambito di cose molto note ed è abbastanza sorprendente che la stampa italiana le scopra oggi e poi monti delle polemiche sul pagamento del riscatto o sul fatto che noi alimentiamo il jihad. In realtà i jihadisti li hanno usati tutti. In primo luogo gli stessi Stati Uniti, che li hanno persino addestrati quando nel 2015 si trattava di mettere in campo formazioni di guerriglia e terrorismo che dovevano abbattere il regime di Assad in Siria. E poi anche gli altri paesi lo hanno fatto: dalla Francia all’Inghilterra tutti, in qualche modo, li hanno usati e poi hanno avuto a che fare con la reazione stessa dello jihadismo e con l’ISIS, in casa loro, con pesantissimi attentati e terrore diffuso.
Senza trascurare il fatto che proprio oggi negli Stati Uniti cercano di uscire dal pantano dell’Afghanistan negoziando con i talebani, o perlomeno con una parte dei talebani che potrebbero ritornare al potere a Kabul mettendo fine ad una guerra che dura da 19 anni. Ecco perché ritengo abbastanza inutili le polemiche che ho visto sui giornali. Senza contare il fatto, tornando all’argomento principale, che un eventuale pagamento del riscatto, nel caso di Silvia Romano, è semplicemente simile ad altri casi che sono avvenuti in tutto il mondo. Molti paesi hanno sempre detto “non trattiamo con i terroristi”, in realtà lo hanno fatto tutti: gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia. Molti sono i casi in cui gli ostaggi sono tornati indietro dopo il pagamento del riscatto. Quello che fa la differenza con l’Italia è che gli altri paesi hanno un protocollo e non ci montano sopra un reality show ogni volta che un ostaggio torna indietro a casa. Questa è la differenza.
Ed è proprio su questa questione, quella del reality show di Fiumicino, come hai scritto sul Manifesto, e in generale del circo mediatico che è stato montato, che vorrei porre la prossima domanda. Secondo te questo ha voluto nascondere un problema atavico legato alla politica estera italiana o è semplicemente stata una questione di circostanza?
La politica italiana di problemi ne ha diversi. Il problema mi sembra, in questo caso, molto evidente. Un governo, e dei ministri, che cercano di sfruttare a proprio vantaggio, e per attirare consensi, il rientro in patria di un ostaggio che era lungamente atteso da 18 mesi. Questa è la storia.
Questo era uno show che si poteva tranquillamente evitare. In nessun paese del mondo oggi si fa uno show di questo genere proprio perché in tutti questi anni hanno razionato e riflettuto su quelle che sono le possibili situazioni che si producono ogni qual volta che viene montata un’operazione mediatica di questo tipo. Generalmente va a vantaggio proprio della propaganda degli jihadisti stessi, che non vedono l’ora di usare questo tipo di immagini per dimostrare che sono riusciti a piegare uno Stato occidentale alla trattativa e hanno negoziato.
Generalmente, come dicevo prima, negli altri paesi quando gli ostaggi ritornano ci sono delle foto, delle immagini senza commenti, che poi vengono fatti sparire. Questa è la situazione. Questo governo è un governo di dilettanti, questo paese è un posto di dilettanti. Perché dopo il buon lavoro dei servizi italiani in collaborazione con i servizi turchi per riportare a casa Silvia Romano, Silvia Romano doveva salire su una macchina e sparire. Invece addirittura l’hanno riportata a casa e dopo tre ore la sua deposizione davanti al giudice era sui siti di tutti i giornali, come se fosse andata a parlare con la portinaia sotto casa, non con un giudice della procura.
Questi sono aspetti inaccettabili. Io mi domando, anche a livello istituzionale, come si faccia a condurre le cose in questa maniera. Pensa soltanto alle deposizioni davanti ad un giudice dopo un sequestro, con le cose importanti che possono essere contenute nella testimonianza del sequestrato, e questa deposizione dopo un po’ la conoscono in tutta Italia. Riflettiamo anche su questo aspetto. E quindi, davanti a cose di questo genere, si capisce molto bene che il paese è in mano a dei dilettanti allo sbaraglio.
Non solo, ma poi Silvia Romano invece di essere portata in un luogo riservato dove passare giustamente la quarantena, ma anche un periodo di tranquillità dopo un’esperienza così traumatica, viene riportata a casa a Milano e lì si svolge lo stesso tipo di sceneggiata che si è vista a Fiumicino, con gente che applaude e gente che invece contesta. E addirittura dopo averla liberata, adesso ci troviamo probabilmente con la possibilità che venga addirittura messa sotto scorta.
Qual è lo scenario politico che sta dietro al rapimento di Silvia Romano?
Punto primo: la collaborazione con la Turchia. Non è certo la prima volta che l’Italia e la Turchia collaborano. È però evidente che questa collaborazione avviene in un momento particolarmente importante e delicato. Un momento in cui la Turchia è diventata a Tripoli il Paese dominante, poiché senza la Turchia probabilmente il governo di Al Sarraj sarebbe stato già spazzato via dal generale Haftar. Noi in Libia abbiamo interessi primari, eppure in questo frangente siamo passati in seconda o anche in terza fila.
Tuttavia con la Turchia il nostro Paese intrattiene anche altri tipi di rapporti e relazioni. C’è ad esempio la problematica collegata all’Egeo orientale. Abbiamo visto che Erdogan ha fatto firmare un accordo al governo libico per lo sfruttamento delle risorse nell’Egeo orientale, e proprio a causa di ciò è venuto a crearsi qualche contenzioso con la Turchia. L’Italia ha, tra l’altro, delle esportazioni proprio nella piattaforma continentale di Cipro che hanno dato luogo a una fortissima contestazione. Negli ultimi giorni è accaduto che Paesi come la Grecia, la Francia, gli Emirati Arabi, l’Egitto e ovviamente Cipro redigessero un documento di forte condanna nei confronti della politica di Erdogan nell’Egeo.
Tale documento però non vede ad esempio la firma dell’Italia, la quale ha preso una posizione defilata a riguardo, guarda caso proprio dopo la liberazione di Silvia Romano. Ecco come alcune collaborazioni possano essere condizionanti. Non c’è poi da dimenticare che la Turchia è uno Stato con il quale abbiamo rapporti non solo a livello economico, ma anche militare. Noi produciamo armi ed elicotteri in Turchia, e questo dovrebbe farci riflettere, poichè non c’è da dimenticare che queste armi ora sono in mano ad un Paese che nell’ottobre dello scorso anno ha invaso il territorio curdo-siriano massacrando la popolazione curda.
È chiaro che il rapimento di Silvia Romano in qualche modo approfondisce ulteriormente questi legami con la Turchia, ovvero con un Paese che senza dubbio è un alleato, in quanto membro storico della Nato, ma è anche un Paese che può arrivare a crearci diversi problemi sul piano della politica internazionale. Ed è perciò lecito chiedersi quale può essere la moneta di scambio della collaborazione con i turchi.
Il secondo punto invece riguarda il quadrante del Corno d’Africa. Luogo in cui una volta c’era una presenza importante dell’Italia, presenza che c’è ancora, ma senza dubbio non influente quanto prima. Ricordiamo che in Somalia l’Italia è il primo contingente europeo presente con oltre centoventi soldati, queste sono nozioni che i giornali dimenticano di scrivere. Tuttavia l’Italia rimane un Paese arretrato come nazione di influenza in quell’area, sono saliti in cattedra altri Paesi, come appunto la Turchia o i Paesi arabi.
Quindi la nostra è una politica estera che, riducendo sempre di più l’ammontare dei finanziamenti, degli aiuti e della cooperazione, è parsa in netto arretramento in una zona dove storicamente era presente con le sue ex colonie in Somalia, Etiopia ed Eritrea. In questi anni la Turchia ha inviato 100 miliardi di aiuti in quei Paesi sotto varie forme come quella economica, militare e di vari altri generi. L’Italia solo poche decine di milioni di euro. Questi dati misurano in modo tangibile tutta la nostra perdita d’influenza. Una perdita d’influenza determinata dal fatto che si investe molto poco nella cooperazione e nella politica estera di questo Paese. Questo fattore non è avvenuto soltanto col governo attuale ma è purtroppo un dato cronico che rispecchia l’arretramento dell’Italia sulla scena internazionale.
Sembra quindi che la Turchia stia “occupando” quelli che un tempo erano i vecchi possedimenti coloniali italiani. Questo probablimente perchè c’è stato un vuoto lasciato, o anche perché è totalmente cambiato lo scenario internazionale. Ma rispetto alla Turchia, quello che descrivi va ben oltre la politica “neo-ottomana” da sempre parte della politica estera turca.
La Turchia con Erdogan ha senza dubbio approfondito i legami con quei Paesi con i quali tradizionalmente aveva un rapporto. Ma ha cercato anche di estendersi oltre quella che era la sua tradizionale sfera di influenza. Lo ha fatto con mezzi e sistemi che sono, a parte quelli economici (la Turchia ha moltiplicato i rapporti commerciali con una vasta area del Medio Oriente e dell’Africa), anche asseribili a una presenza culturale e religiosa.
Prima della rottura tra Erdogan e l’imam Fethullah Gulen, un alleato che poi venne accusato da Erdogan di essere stato uno dei cospiratori del colpo di stato poi fallito del 2016, quest’ultimo aveva impiantato in Africa e in Medio Oriente centinaia di scuole che accoglievano studenti africani in loco. Inoltre molto spesso questi studenti africani hanno avuto l’opportunità di andare a studiare in Turchia.
Un’opportunità certamente più facile da cogliere rispetto a quella di andare in Europa, luogo in cui è molto più difficile per un africano approdare e in cui è molto più costoso studiare. Ecco perché la Turchia ha approfondito tali legami con questi Paesi anche da un punto di vista culturale e religioso. La Turchia offre pacchetti di studio e moschee. Offre scuole religiose ma anche l’opportunità di studiare nel proprio Paese. Per questo motivo si può affermare che la Turchia abbia speso oltre la cosiddetta sfera neo-ottomana di influenza, arrivando fino all’Africa.