di Matteo Bortolon, CADTM Italia*
articolo pubblicato su il manifesto del 13.06.2020
Bad bank è una di quelle espressioni che sbarca nel lessico italiano nell’epoca della crisi del debito sovrano. Se il dibattito in seno alla Ue pare volto a creare nuovi fantasiosi enti (Sure, Bei e il Recovery Fund, sontuosamente ridenominato Next Generation) potrebbe avere una importanza decisiva la notizia riportata dalla agenzia di stampa Reuters, che la Banca Centrale Europea sta lavorando ad una bad bank per far fronte alla incombente crisi economica. Di che si tratta?
Con tale termine ci si riferisce ad un fondo o istituzione finanziaria in cui vengono riversati crediti non buoni o deteriorati. Le attività finanziarie, ancora più dei beni dell’economia materiale (edifici, macchinari ecc.) possono cambiare il loro valore, passando nel giro di poco tempo da considerevole ricchezza a cumulo di spazzatura.
Tutta la dinamica del profitto finanziario è basata su oscillazioni più o meno rapide: se si riesce a prevedere tali cambamenti – comprando qualcosa che l’indomani raddoppia il suo valore – ci si può arricchire velocemente; se invece il prezzo crolla, ci si trova con un pungo di mosche in mano, con perdite che possono arrivare a determinare il fallimento.
Negli anni che precedono la crisi del 2007-08 il progressivo abbandono di controlli più rigorosi ha portato da un lato ad un maggior livello di fibrillazione e di rischi ; dall’altro una interconnessione fra mondo finanziario ed economia materiale che allo scoppio della crisi ha spinto ad intervenire per salvare le banche onde evitare un contagio ancora più catastrofico. Quindi è stato deciso che il tanto disprezzato Stato doveva tornare in campo per costruire una rete di sicurezza. Salvando anche l’aristocrazia finanziaria che grazie ad una intensificazione dei rischi era diventata oscenamente ricca.
Maggiori i rischi, maggiori i profitti. Dagli anni Ottanta le classi dirigenti hanno consapevolmente alzato i rischi rimuovendo ogni genere di regolazioni limitative per lasciare campo libero ai guadagni. Facendo diventare la finanza la fabbrica dei soldi attorno a cui tutto si muove, come satelliti intorno ad sole. O come (meglio) ad un buco nero.
Ma un mondo di tal genere è anche più instabile, con un susseguirsi di crisi borsistiche. E quando arriva quella più pericolosa, spunta per l’appunto la strategia della bad bank : si dividono le attività buone e quelle « cattive » (cioè non remunerative), si spostano queste ultime in un altro soggetto, prendendone di buone in cambio, e il gioco è fatto. Un esempio tipico sono i crediti non-esigibili : nel contesto di crisi crescono coloro che non riescono a ripagare i propri debiti (chi aveva il lavoro lo perde, una azienda ben avviata ha un crollo degli ordinativi e simili). Ma chi accetterebbe di prendersi della carta straccia – anche temporaneamente in attesa che passi la tempesta ?
La risposta è semplice : lo Stato. La Ue ha autorizzato per il periodo fra 2008-2018 ben 3811 miliardi di euro di garanzie a favore delle banche (oltre ai contributi diretti di capitalizzazione, che sono invece 1471 mld).
Insomma al capitalismo finanziario piace fare fare il funambolo ma con la rete di protezione, solo che sono tutti i cittadini a contribuire ad essa (ma non lo stesso è per i profitti), permettendo guadagno ad alto rischio con l’aiutino se le cose si mettono male, quando invece le protezioni sociali a favore delle classi lavoratrici diventano sempre più esili.
Al momento attuale tutti i dati indicano una incombente recessione, il tipico contesto in cui possono generarsi potenziali passività nocive per le banche ; non è sorprendente che la Bce si sia attivata per costruire un contenitore per « parcheggiarle ».
È così che, per citare l’economista Emiliano Brancaccio, lo Stato diviene l’ancella che permette la riproduzione della ricchezza finanziaria.