Il Covid non ferma la guerra in Yemen, la peggiora, mentre la comunità internazionale sta a guardare

Intervista a Helen Lackner di Francesco Cargnelutti

“È praticamente una combinazione di panico, panico indotto e totale disinformazione. Tutti elementi che creano la peggior situazione possibile, alla quale si aggiunge la mancanza dei fondi necessari”. È Helen Lackner a descrivere cosa voglia dire la diffusione del Covid-19 in un paese in guerra come lo Yemen, che al suo quinto anno di conflitto si trova a dover fare i conti anche con colera e carestie. Il tutto senza poter contare su un sistema sanitario capace di assorbire queste crisi ed i fondi necessari per farlo. In questa intervista ripercorriamo anche i recenti sviluppi della guerra in Yemen, riprendendo questioni aperte negli ultimi mesi all’interno della rubrica Schegge di Yemen. Lo faremo grazie al contributo fondamentale di una profonda conoscitrice del paese, la dottoressa Lackner, che ha alle spalle 15 anni di lavoro e vita vissuta in Yemen e diverse pubblicazioni, tra cui il recente “Yemen in Crisis: Autocracy, Neo-Liberalism and the Disintegration of a State”.

La diffusione del Covid-19 nel paese ha influito in qualche modo sulla guerra?

Il Covid c’è. Tutti alla fine hanno accettato che ci sia, ma il paese non è pronto per affrontarlo. Solo metà del sistema sanitario sta funzionando in qualche modo, ma non pienamente. Si tratta di circa 2800 strutture, un numero che comprende tutto, dai piccoli centri sanitari agli ospedali. Un membro delle Nazioni Unite ha detto che ci sono 333 squadre che gestiranno il Covid. Ma sono le stesse che sono state create per gestire il colera, che quindi dovranno riciclarsi e trattare il Covid, ma il colera è ancora là, come anche altre malattie diffuse nel paese. Il Covid è solo un altro problema in mezzo a tutto il resto e non andrà a finire bene.

In ogni caso, lo Yemen non ha i fondi per far fronte alla crisi e gli aiuti che arrivano dall’estero sono insufficienti. Come ho scritto su Arabdigest*, il 2 giugno si è tenuta una conferenza internazionale tesa a raccogliere aiuti umanitari per lo Yemen, ma solo metà dei fondi che erano stati chiesti, 1,35 miliardi di dollari su 2,4, sono stati raccolti. E questo nonostante i tagli si fossero già fatti sentire nel 75% dei programmi finanziati dall’Onu, mentre 10.000 lavoratori del settore sanitario hanno perso il pagamento dei salari. L’anno scorso si era ottenuto il 25% in più di aiuti internazionali rispetto a quest’anno. E, diciamolo chiaramente, la spesa in aiuti umanitari è di tutt’altra scala rispetto a quella per la guerra. L’Arabia Saudita spende infatti, secondo alcune stime, tra i cinque e i sei miliardi di dollari al mese per il conflitto, e gli Stati Uniti hanno finora venduto armi ai belligeranti per un valore di diversi miliardi.

Detto questo, la situazione in Yemen a causa del Covid è molto seria. Circolano storie terribili di ogni tipo. I vari gruppi in combattimento hanno organizzato i più diversi tipi di quarantena, che sono in realtà luoghi di riproduzione della malattia. Questo perché non hanno alcuna relazione con anche il minimo grado di isolamento, cura o struttura sanitaria. Sono anche discriminanti, nel senso che alcuni gruppi hanno bloccato persone solamente perché provenienti dal Sud e dirette al Nord. C’è poi un altissimo livello di xenofobia. Ci sono centinaia di storie di somali, molto ammalati, e lasciati in quarantena. Ci sono poi storie di centinaia di persone sepolte ad Aden, dove il tasso di mortalità è molto alto. Alcuni ospedali nella città hanno letteralmente chiuso le porte perché il loro staff non vuole avere contatti con nessuno. È praticamente una combinazione di panico, panico indotto e totale disinformazione. Tutti elementi che creano la peggior situazione possibile. Gli ultimi dati che ho letto parlavano di 900 test fatti nell’intero paese, un dato che quindi non ti dice nulla. Per l’estate, le diverse parti non stanno preparando niente per l’emergenza Covid, se ne stanno tranquille, ma allo stesso tempo stanno arrestando persone sospettate di essere infette. Corre perfino voce – ma sono sicura che non sia vero – che gli Houthi abbiano ordinato di uccidere gli ammalati negli ospedali. E il fatto che queste storie circolino ti fa capire che non ci sono informazioni attendibili a cui affidarsi. Le Nazioni Unite, poi, stanno facendo circolare dati secondo cui il 90% della popolazione finirà col prendersi il virus e questo tipo di informazione, secondo me, peggiora la situazione. Che è già disastrosa, ma il modo in cui viene approcciata la sta rendendo peggiore perché crea panico, disinformazione, xenofobia e paura.

Ma almeno sta influenzando la guerra, riducendone gli scontri?

Assolutamente no. Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha fatto appello affinché si arrivasse ad un cessate il fuoco in tutti i campi di battaglia, ma sicuramente questo appello è stato ignorato in Yemen, come, da quanto mi risulta, in altre guerre nel mondo. Come ho scritto su Arabdigest**, in aprile l’inviato delle Nazioni Unite Martin Griffith aveva annunciato un imminente accordo politico tra le parti in conflitto in Yemen, ma già a maggio i suoi toni ottimistici sono stati rimpiazzati da un approccio realistico, e quindi ha elencato tutti i fallimenti dei negoziati tra le parti: il Sud, l’assenza di scambio di prigionieri nonostante l’accordo di Amman di febbraio***, l’interruzione delle attività della UNMHA, la missione dell’ONU che si occupa di implementare gli accordi di Hudaydah****, e molto altro.

Facciamo un passo indietro. Potresti spiegare l’evoluzione del conflitto nelle sue svolte principali?

Ci sono stati i primi mesi, quando la coalizione guidata dai sauditi ha preso il controllo di molte aree che erano nelle mani degli Houthi. Poi ad ottobre 2015 si è raggiunto una specie di stallo. Dopodiché, direi che il piano della coalizione, messo in atto tra 2017 e 2018, di prendere Hudaydah dagli Houthi sia stato un momento di svolta. Per prima cosa, l’attuazione del piano è equivalsa al riconoscimento del fatto che gli Houthi stavano avendo buoni risultati. In secondo luogo, il fatto che la coalizione non sia riuscita a portare avanti quell’offensiva ha fatto capire ai sauditi che non avrebbero avuto una vittoria militare sugli Houthi. Penso che l’idea alla base del piano fosse: prendere Hudaydah e, di conseguenza, ottenere la resa degli Houthi o quantomeno spingerli a scendere a trattative. Il fallimento del piano è stato quindi un grande momento. Un’altra svolta c’è stata all’inizio di quest’anno poiché l’offensiva degli Houthi nel Nord-Est del paese ha mostrato che non si accontentano di stare nella loro area, ma vogliono andare oltre, e ci sono riusciti. Un altro segno della loro forza.

Questo per quanto riguarda i due principali attori in conflitto, gli Houthi ed il governo yemenita guidato da Hadi e sostenuto dalla coalizione a guida saudita. Un’altra linea di frattura e di conflitto è quella tra il regime di Hadi e il Consiglio di Transizione del Sud (CTS), espressione di parte di quella galassia più variegata che è il movimento per lo Yemen del Sud. Il mero fatto che il consiglio sia stato creato, tre anni fa, è secondo me importante per capire cosa succeda in Yemen. In termini di eventi, la svolta c’è stata l’estate scorsa, quando il CTS ha scacciato il governo di Hadi dalla capitale Aden.

Chi sta vincendo la guerra?

Gli Houthi stanno vincendo la guerra. Stanno attaccando su tutti i fronti, non sono sulla difensiva da nessuna parte, controllano diverse città e stanno avendo successo ovunque, mentre gli altri sono impegnati a competere tra di loro oppure addirittura a combattersi. Quindi, perché gli Houthi dovrebbero lamentarsi?

Ed il movimento dello Yemen del Sud e gli altri attori interni?

Il movimento del Sud include in realtà una serie di gruppi diversi. Tra di loro, come dicevo, il più importante è il CTS, che al momento è in guerra aperta con il governo yemenita di Hadi, anche se il capo del consiglio è stato convocato in Arabia Saudita [per cercare un accordo, ndr]. Qui le questioni sono le seguenti: gli Emirati supportano ancora il CTS? Penso che la risposta sia “in una certa misura”. E i sauditi possono controllarlo? Fino ad ora la risposta sembra essere negativa. Altre forze all’interno del movimento del Sud non hanno interesse nel conflitto, non stanno con nessuna delle parti in guerra. E anche tra di loro, c’è chi è indipendentista e chi non lo è.

Quanto ad al-Qaeda ed i piccoli gruppi jihadisti, sono ancora in giro, ma non sono neanche minimamente vicini ad essere significativi ed importanti come alcuni li descrivono in Occidente. Alcuni dei loro membri sono ora integrati nelle forze del CTS, altri in quelle governative.

Se guardiamo al di fuori dai confini yemeniti, quali sono gli attori internazionali più importanti che hanno un interesse nel paese e perché?

L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono sicuramente i più significativi. I sauditi sono stati coinvolti in Yemen sin dalla creazione del Regno dell’Arabia Saudita nel 1932. La prima volta che è intervenuta nel paese confinante è stata nel 1934, quindi non possiamo dire che l’interesse saudita per lo Yemen sia nuovo. Da allora, hanno continuato ad intervenire per motivi diversi. La grande differenza tra la situazione e gli ultimi 50 anni di politica saudita in Yemen è che questa volta si tratta di un intervento esplicitamente militare. La grande differenza oggi sta nella decisione presa da Muhammad Ben Salman, due mesi dopo che suo padre è diventato re, di intervenire militarmente in Yemen.

Perché ha deciso di cambiare la sua strategia verso lo Yemen?

Non ha cambiato la sua strategia verso lo Yemen, ha cambiato la strategia saudita. Per prima cosa, la situazione in Yemen era diventata piuttosto delicata e problematica, dal loro punto di vista, con lo scoppio delle ostilità interne nel 2015. Avrebbero potuto benissimo continuare ad agire indirettamente promuovendo i propri alleati sul campo – alcuni li chiamano proxy, ma questa parola non mi piace perché questi “proxy” hanno i loro propri interessi, non sono mere marionette –, ma penso che la ragione dell’intervento sia stato il desidero di Muhammad Ben Salman di affermarsi in Arabia Saudita come il nuovo grande leader che non prende ordini da nessuno. Pensava che l’intervento in Yemen sarebbe stato chiuso nel giro di settimane, permettendogli di diventare un grande leader di successo, ma così non è andata e dopo cinque anni siamo ancora qui a parlare della guerra. Praticamente, dal punto di vista saudita, l’attacco del 2015 è stato un completo errore di valutazione, una totale incomprensione dello Yemen e degli yemeniti. Come un giovane ignorante qual è, puoi capire perché Muhammad Ben Salman l’abbia fatto, ma capisci che se avesse avuto il buonsenso di considerare i consigli di qualcuno, questi gli avrebbe detto che le forze saudite non avrebbero avuto il successo in cui sperava.

Dopodiché, per spiegare l’interesse saudita verso lo Yemen bisogna tener conto che i due paesi sono confinanti, lo Yemen ha una popolazione maggiore di quella saudita; la popolazione dello Yemen è poi yemenita, mentre in Arabia Saudita un terzo degli abitanti sono stranieri. Inoltre, quello saudita è un sistema estremamente autocratico, mentre lo Yemen è una repubblica, per quanto debole, e i sauditi non vogliono una repubblica come vicino. È quindi comprensibile l’interesse saudita verso questo paese confinante. Negli ultimi decenni hanno investito enormi quantità di denaro in Yemen, anche se senza grande successo. Non sono infatti riusciti a dar vita ad un regime che sia in linea con quanto i sauditi fanno o che faccia quanto loro vogliono.

E gli Emirati?

Ci sono due grandi questioni che riguardano la loro partecipazione nella guerra. Primo, anche loro non vogliono trovarsi davanti alla porta di casa una repubblica o qualcosa che sia anche lontanamente simile ad una democrazia. E per quanto imperfetta fosse la democrazia in Yemen, non era una completa farsa. Secondo, la loro ossessione ed odio per i Fratelli Musulmani e i loro ipotetici associati yemeniti, ovvero il partito Islah, che è l’elemento più grande del regime di Hadi. A questi due motivi, bisogna aggiungerne un terzo, ovvero l’interesse di controllare i porti nella regione, il che gli permetterebbe di diventare un significativo potere marittimo.

Cosa puoi dire sulle relazioni tra questi due alleati della coalizione, l’Arabia Saudita e gli Emirati?

L’operazione in Yemen è stata un’operazione di Muhammad Ben Salman. Gli Emirati hanno solo acconsentito a partecipare. All’inizio era soddisfatti perché ne beneficiavano parecchio. Ma quando il piano per conquistare Hudaydah è fallito, hanno deciso che avrebbero dovuto abbandonare il conflitto. Ora, non so di preciso cosa stia succedendo tra Arabia Saudita ed Emirati. Gli Emirati hanno trattato con l’Iran evitando esplosioni di violenza negli ultimi dodici mesi. Inoltre, hanno chiaramente detto ai sauditi che quello yemenita era un loro problema. In più, a causa della loro avversione per il partito Islah, gli Emirati hanno costituito e supportato il CTS, di cui parlavamo prima. E quest’ultimo sta completamente minando l’attività del governo yemenita, intralciando così gli sforzi sauditi. Penso quindi che ci sia parecchia tensione tra i due alleati.

Dov’è l’Iran in questo quadro?

L’Iran ha fatto un ottimo affare, che gli sta costando estremamente poco: nonostante stiano facendo molto poco, dal loro punto di vista la frustrazione e l’irritazione saudite per la situazione è un successo. C’è però un lato negativo: nel caso improbabile in cui Trump decida di fare un accordo con gli iraniani, che ovviamente non succederà, gli iraniani non si trovano nella situazione di poter ordinare agli Houthi di smettere di combattere. Gli Houthi non sono proxy dell’Iran, hanno i loro piani ed obiettivi. Penso, in generale, che il concetto di guerra per procura (proxy war) sia una ipersemplificazione perché non penso che esistano gruppi che sono completi proxy senza interessi propri. Gli Houthi fanno quello che gli iraniani vogliono solo quando entrambi voglio la stessa cosa, mentre quando non vogliono la stessa cosa, allora non la fanno.

* Vedi https://arabdigest.org/visitors/sample-newsletters/humanitarian-aid-plunges-even-yemeni-prospects-worsen/

** Vedi https://arabdigest.org/visitors/sample-newsletters/covid-19-reaches-yemen/

*** L’accordo è stato raggiunto quest’anno tra gli Houthi ed il governo di Hadi riconosciuto dalla comunità internazionale e supportato dalla coalizione a guida saudita.

**** Si fa riferimento qua all’accordo di Stoccolma, firmato tra il governo yemenita e i Houthi a dicembre del 2018. Era previsto il fuoco nella città di Hudaydah e nei porti di Hudaydah, Salif e Ras Issa, nonché il ritiro delle truppe dalla zona. Una risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu del gennaio 2019 ha autorizzato la creazione della UNMHA, ovvero la Missione delle Nazioni Unite per supportare gli accordi relativi a Hudaydah.

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