L’impresa è compiuta: Il Signore degli Anelli di nuovo in libreria, integrale

Il Signore degli Anelli in tre volumi

Il Signore degli Anelli in tre volumi

Il Signore degli Anelli è finalmente leggibile per intero nella nuova traduzione di Ottavio Fatica. Da una decina di giorni, infatti, è uscito in libreria anche il terzo volume del romanzo, quello che Tolkien non avrebbe voluto intitolare Il Ritorno del Re, per non fare spoiler, bensì La Guerra dell’Anello, ma l’ultima parola spettò all’editore.

Dopo due anni di polemiche, querele, articoli su blog e giornali, e infine una pandemia, ecco di nuovo l’opus magnum tolkieniano, integrale, in libreria. L’uscita estiva significa che per Natale avremo anche il volume unico.

Una delle più grosse operazioni editoriali degli ultimi anni è stata completata.

Il terzo volume contiene tra l’altro una primizia, per quanto possa sembrare strano a mezzo secolo dalla prima pubblicazione italiana. Vale a dire le tre mappe originali delle edizioni inglesi, disegnate dal terzogenito di Tolkien, Christopher, che era stato cartografo nella RAF durante la Seconda guerra mondiale.

The Lord of the Rings contiene infatti una mappa generale della Terra di Mezzo, una della Contea, una della parte orientale del reame di Gondor.

Nelle edizioni nostrane del romanzo fino a oggi era stata allegata la mappa della Terra di Mezzo – ma non quella originale -, e soltanto nella prima edizione de La Compagnia dell’Anello (Astrolabio, 1967) quella della Contea.

La mappa “italiana” della Terra di Mezzo, quella che tutti i tolkieniani nostrani conoscono, era stata ridisegnata nel 1970 dall’editor e curatore Quirino Principe. Confrontandola con l’originale saltavano agli occhi: l’assenza di alcuni nomi;, l’aggiunta di altri, per sopperire alla mancanza delle altre due mappe, a discapito della leggibilità della mappa stessa; la macroscopica resa del nome «Rhovanion» con «Terre Selvagge» (il significato è quello, ma Tolkien l’aveva voluto in elfico sindarin, non in inglese); una rosa dei venti orientata in diagonale (mentre nell’originale il nord è sull’asse verticale); l’aggiunta di due velieri disegnati in mezzo al mare occidentale; infine, una grande mano tozza protesa con un anello al dito nello spazio della mappa a ovest del Mare di Rhûn.

Considerando la preoccupazione e meticolosità cartografica che traspaiono dalle lettere di Tolkien (n. 141, 144) proprio in relazione al Lord of the Rings, si può dire che è stato riparato un torto cinquantennale.

Sull’importanza delle mappe per il LOTR e per la sua fortuna editoriale, nonché sul ruolo seminale delle mappe di Christopher Tolkien per tutto un genere letterario, rimandiamo all’ottimo articolo di Jonathan Crowe:

«La mappa di Christopher Tolkien ha avuto un’enorme influenza sul genere fantasy. Ha stabilito un canone per i successivi romanzi epico-fantastici; in effetti è diventata una norma. Tutti i successivi romanzi fantasy avrebbero avuto una mappa – perché l’aspettativa era che l’avessero – e in molti casi quelle mappe sarebbero state molto simili a quelle disegnate da Christopher Tolkien.»

Al di là della filologia cartografica, il motivo di soddisfazione per il completamento dell’operazione editoriale è un altro. Vale a dire lo straordinario lavoro prodotto da Ottavio Fatica, che ha restituito il romanzo a se stesso in italiano. Possiamo dire infatti che il trattamento riservato alla mappa di Christopher Tolkien nel 1970 rifletteva quello riservato alla prosa del padre. Dunque, senza giri di parole, Il Signore degli Anelli ha cambiato faccia e oggi assomiglia molto di più al Lord of the Rings.

In particolare, Fatica ha saputo interpretare l’andamento stilistico del romanzo, che muta mano a mano che il viaggio dei protagonisti procede dalla moderna Contea ai regni “feudali” della Terra di Mezzo. Se i primi capitoli, ambientati nella Contea, e la prima parte del viaggio degli Hobbit sono scritti con uno stile più quotidiano, a tratti colloquiale, tanto nelle descrizioni quanto nei dialoghi, progressivamente lo stile narrativo si alza, arricchendosi di arcaismi, assonanze, versi nascosti, sfiorando la prosa poetica nelle scene di battaglia.

Ecco un esempio di stile alto tratto dalla battaglia dei Campi del Pelennor:

La grande ombra calò come una nuvola cadente. Ed ecco! era una creatura alata: se uccello, più grande allora di ogni altro uccello, ed era nudo, sia di penne sprovvisto sia di piume, e le ampie ali erano come membrane di cuoio tra le dita cornee; e puzzava. Forse era una creatura di un mondo più antico, di una specie che, rintanata su gelide montagne cadute nell’oblio sotto la Luna, era perdurata oltre il suo tempo e in nidi immondi aveva covato quest’ultima improvvida progenie, incline al male. E l’Oscuro Signore l’aveva presa e cibata di fere carni, finché non superò in grandezza ogni altro essere alato; e l’aveva offerta al servitore onde farne il suo destriero. Sempre più giù essa scese e poi, ripiegando le dita palmate, cacciò un grido gracchiante e andò a posarsi sul corpo di Crindineve, affondandovi le grinfie, curvando il lungo collo ignudo.
Sul dorso era seduta una figura di nero ammantata, immane e minacciosa. Una corona d’acciaio aveva in capo ma, tra il serto e la cappa, nulla era visibile, se non un feral bagliore d’occhi: il Signore dei Nazgûl. All’aere risalito, avea chiamato a sé il destriero anzi che il buio venisse a mancare, e adesso era tornato, portando ruina, trasformando la speranza in disperazione, e la vittoria in morte. (Il Ritorno del Re, p. 175).

Ed ecco come, sul finale del romanzo, al ritorno nella Contea, la prosa recupera uno stile più piano e descrittivo e termini più comuni:

Fu uno dei momenti più tristi della loro vita. La grande ciminiera si ergeva innanzi a loro e, man mano che si avvicinavano al vecchio villaggio sull’altra sponda dell’Acqua, in mezzo a file di oscene case nuove ai lati della strada, scorsero il nuovo mulino in tutta la sua sordida e lercia bruttezza: un grosso fabbricato di mattoni a cavallo del corso d’acqua, che inquinava con rigurgiti fumanti e nauseabondi. Lungo tutta la Via di Acquariva gli alberi erano stati abbattuti.
Nell’attraversare il ponte guardarono verso la Collina e rimasero senza fiato. Perfino la visione di Sam nello Specchio non lo aveva preparato a quello spettacolo. La Vecchia Masseria sul lato occidentale era stata demolita e sostituita da schiere di baracche incatramate. Spariti tutti i castagni. Gli argini e le siepi erano distrutti. Grandi carri erano sparsi alla rinfusa su un campo calpestato fino a cancellare l’erba. Vico Scarcasacco era una cava di sabbia e di pietrisco a cielo aperto. Dietro, Casa Baggins era nascosta da un’accozzaglia di grosse capanne. (Ibidem, p. 477)

Chi si è affrettato a liquidare la supposta prosaicità della nuova traduzione giudicando dal primo volume del romanzo, è oggi costretto a rivedere il proprio giudizio o – più facilmente – a fingere di non averlo espresso. Fatica non ha abbassato il registro del romanzo, né lo ha reso più user friendly per i giovani lettori contemporanei (questa è la sciocchezza più grossa che si sia letta in giro). Fatica ha rispettato l’andamento stilistico del romanzo, scegliendo un registro piano o alto in corrispondenza delle scelte di Tolkien. Lo ha fatto salvaguardando una cosa molto importante per la godibilità della lettura: la fluidità dello stile, qualunque sia il registro scelto, che appunto rispecchia la dote della prosa tolkieniana.

Di fronte a questo salto di qualità è quasi secondario che la nuova traduzione non presenti gli errori della traduzione storica e le tante immotivate libertà che questa si prendeva; o che abbia restituito una nomenclatura filologica, che può piacere o non piacere, sub iudice dell’affezione per i vecchi nomi, ma non ci sono dubbi che rispecchi maggiormente il significato dell’originale rispetto alla vecchia traduzione.

Il vero merito di questa operazione editoriale è avere prodotto un testo letterario in uno stile italiano che restituisce per quanto possibile quello dell’inglese di Tolkien, in particolare gli effetti linguistici da lui voluti.

Ai vecchi e nuovi lettori che si accingono a (ri)leggere questo romanzo fluviale provando ad accantonare i pregiudizi, semplicemente godendosi il fluire della storia nel suo andamento narrativo e stilistico, è certo che Il Signore degli Anelli riserverà bellissime sorprese.

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