Proponiamo un’intervista alla redazione di Casbah Tribune a cura di Francesco Cargnelutti.
Tre anni di carcere ed una multa pari a 350 euro per il giornalista algerino Khaled Drareni, punito per aver seguito il movimento di contestazione popolare (Hirak in arabo) che sta scuotendo il paese dal febbraio 2019. I reati che avrebbe commesso, secondo il tribunale di Sidi M’hamed, sono quelli di istigazione a manifestazione non autorizzata e minaccia all’unità nazionale. La sentenza per Drareni, che è in carcere dal 27 marzo scorso, è arrivata il 10 agosto ed è stata fortemente contestata sia dentro che fuori i confini algerini. Tra i più attivi nell’organizzare la contestazione sono i giornalisti e le giornaliste del sito di informazione, di cui Drareni è il direttore. Di seguito un’intervista alla redazione del sito, che mira a fare il punto anche sulla questione più generale della libertà di stampa e del sistema di giustizia in Algeria dopo l’inizio del Hirak.
Com’era la libertà di stampa in Algeria prima dell’inizio del Hirak in febbraio 2019?
Prima dell’inizio del Hirak, la libertà di stampa in Algeria, come in altri paesi del mondo, conosceva alti e bassi. I giornalisti si sentivano liberi di esercitare il loro mestiere in maniera più o meno agevole ma conoscevano anche i loro limiti. Per esempio, la prima regola era che non bisognava mancare di rispetto al presidente ed al suo entourage. La censura esisteva ma bisogna dire che non aveva ancora portato all’imprigionamento dei giornalisti, o quanto meno questo accadeva raramente e mai con pene così pesanti.
La mobilitazione popolare ha avuto degli effetti anche sul mestiere di giornalista? La pressione del potere sulla stampa è aumentato o si è indebolito?
La pressione sulla stampa è aumentata molto: la stampa è stata proprio imbavagliata. C’è stata un’apparenza di libertà all’inizio del movimento popolare nel 2019, quando i media potevano riportare questa eccezionale e pacifica rivolta in modo agevole ma le cose sono poi cambiate proporzionalmente al moltiplicarsi delle rivendicazioni popolari. Più tardi, c’è stato un vero e proprio black-out totale: i media pubblici e privati si sono tutti quanti messi a trasmettere le stesse informazioni a senso unico. Sono comunque rimasti dei giornalisti indipendenti ed impegnati che hanno deciso di perseguire la copertura del Hirak fino alla sua fine avvenuta a causa della pandemia di Covid-19. Tra questi c’era Khaled Drareni.
Bisogna inoltre aggiungere che la mobilitazione popolare non ha in realtà avuto un effetto positivo sulla stampa, anche perché i manifestanti scandivano slogan ostili ai giornalisti, incolpati di non dire la verità. Hanno tuttavia creato dei legami con quei giornalisti che incrociavano e che rispettavano molto.
Chi è Khaled Drareni ? Potreste raccontare, brevemente, la vita professionale di Drareni e l’attività giornalistica che l’ha portato a diventare un personaggio scomodo per il sistema di potere?
Khaled Drareni è un giornalista brillante, conosciuto per il suo patriottismo e una cultura generale eccezionale. È un personaggio unico, una di quelle persone con un livello di cultura e di istruzione tali che potrebbero rispondere a tutte le vostre domande, su qualsiasi argomento.
Ha fatto il suo debutto alla radio pubblica algerina, poi un breve passaggio alla televisione algerina pubblica. In seguito è stato assunto dai media privati, quando questi hanno fatto la loro apparizione nel quadro del nuovo paesaggio audiovisivo privato algerino. Qui Khaled si sentiva più libero di fare le sue audaci domande e di affrontare argomenti sensibili. È stato poi presentatore JT, redattore capo, moderatore di eventi, influencer e corrispondente per diversi media ed organismi stranieri, tra i quali TV5 Monde ed anche Reporter Senza Frontiere.
Aveva disturbato (dérangé) parecchio, anche negli anni del vecchio “sistema” di potere, e aveva per questo conosciuto delle difficoltà nell’esercizio del suo mestiere. All’inizio del Hirak, un mese prima, ha deciso di mollare tutto per coprire il Hirak. Il suo modo di seguirlo non piaceva poiché riportava esattamente i fatti tali e quali si producevano nella strada, con il suo stile particolare che ha decisamente disturbato (dérangé) molti.
Venendo al processo, cosa ci può dire sullo stato della giustizia in Algeria?
Oggi la giustizia in Algeria preoccupa molto gli algerini perché conosce dei colpi di scena rocamboleschi. I verdetti sono scioccanti, come lo sono i processi. Non sappiamo mai cosa aspettarci quando entriamo in tribunale. Spesso i giornalisti sono costernati e indignati quando vengono a sapere i loro capi d’imputazione e le accuse mosse contro di loro.
La giustizia in Algeria è inoltre inaccessibile. Gli stessi avvocati non hanno più la possibilità di portare avanti il loro lavoro con trasparenza perché trovano molte difficoltà nel cercare di ottenere le informazioni che cercano. Ciò rende i loro clienti irrequieti, ansiosi, sempre in apprensione e nel dubbio.
La giustizia funziona in modo molto particolare poiché è semplicemente imprevedibile. Le sue porte di accesso sono chiuse e, purtroppo, l’opinione pubblica crede sempre di più che essa non funzioni correttamente se non con una telefonata fatta per esercitare pressioni sui giudici.
Tuttavia, molte persone in questo settore fanno degli sforzi enormi, che però passano inosservati, per smuovere le cose e migliorare il sistema giudiziario. Ci sono delle competenze algerine, in tutti i campi, che si battono, perfino in seno al sistema di potere attuale, per procedere verso una giustizia che sia giusta ed indipendente.
Quanto al caso di Khaled Drareni, il suo verdetto ha scioccato tutti quanti e ha fatto perdere la speranza a molti giornalisti, che comunque non mollano per non ammettere la sconfitta, per quel loro collega condannato a tre anni di prigione, fermato per aver esercitato il suo mestiere di giornalista.
Avete avuto notizie di Khaled dopo il suo arresto? Qual è il suo stato di salute?
Abbiamo la fortuna di avere delle novità da Khaled quotidianamente grazie ai suoi avvocati. Viene molto apprezzato e non passa giorno senza che i suoi avvocati vadano a trovarlo (questi sono i soli ad avere la possibilità di rendergli visita a causa delle restrizioni e precauzioni prese sin dall’inizio della pandemia di coronavirus). Sappiamo quindi che Khaled sta bene. È molto dimagrito ma è sicuramente in uno stato di salute buono e ha un morale d’acciaio. Possiamo dire che se quanto ha perso sul piano fisico è recuperabile, per il morale non c’è niente di inquietante o di allarmante. Khaled è proprio unico.
C’è stata una reazione della società civile dopo il suo arresto e, più recentemente, dopo la sentenza della corte?
Le reazioni della società civile si susseguono e le persone si mobilitano. Scioccate dopo il verdetto, portano avanti delle azioni sui social network, si riuniscono in strada per esigere la sua liberazione e si organizzano all’estero per mantenere la pressione. In questo momento, possiamo dire che la mobilitazione per Khaled Drareni è molto forte.