di Gioacchino Toni
«Volevamo solo divertirci… e loro ci prendevano sul serio». Così un ragazzo cresciuto a Berlino Est ricorda l’ondata punk che tanto ha preoccupato la Stasi nei primi anni Ottanta.
Già sul finire degli anni Settanta la cultura punk, giunta nella Germania occidentale dalla Gran Bretagna, oltrepassa il confine e raggiunge la Deutsche Demokratische Republik diffondendosi sopratutto a Berlino Est, Lipsia, Dresda, Erfurt e Halle. All’inizio del decenio successivo i degenerati sintomi del punk si mostrano ormai anche nella Germania orientale: magliette strappate recanti scritte incomprensibili agli amanti dell’ordine, capigliature colorate e modellate con il sapone o con la colla di pesce, musica assordante e metodi di ballare decisamente non convenzionali. Quanto basta per mettere in allarme le autorità deputate al mantenimento della legge e dell’ordine socialista.
Se in un primo momento le autorità tedesco-orientali si limitano a osservare il diffondersi di tale fenomeno proveniente da Occidente – dopotutto si tratta pur sempre di ragazzini di soli sedici anni –, le cose cambiano quando i giovani punk cominciano a organizzare concerti e a palesare codici di comportamento e di comunicazione incomprensibili, prima ancora che inaccettabili, ai solerti osservatori del Ministero per la Sicurezza di Stato. Da quel momento su questa gioventù poco incline a rassegnarsi a vivere il grigiore quotidiano in maniera convenzionale iniziano a essere puntati microfoni e telecamere, oltre che piovere denunce per “disturbo della quiete pubblica”, divieti di accedere ai locali pubblici e imputazioni di “trasgressione della morale socialista” e “incitamento all’emigrazione”.
Al di là degli stereotipi sedimentati nel tempo, la società della DDR è molto più sfaccettata di quel che si crede, come racconta, ad esempio, il recente volume di Marcello Anselmo Il consumatore realsocialista (Le Monnier 2020) – recensito da Giovanni Iozzoli su “Carmilla” – che ricostruisce la parabola della Deutsche Demokratische Republik attorno alla categoria del “consumatore”, soffermandosi anche sulla non facile dialettica tra processi di ammodernamento imposti dall’alto e spinte dal basso soprattutto in termini di consumi ricreativi e comportamenti culturali. Ed è proprio attorno al consumo di prodotti immateriali che si danno interessanti confronti tra settori di società civile e rigidità statale.
A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta in DDR
le velleità di costruire modelli di consumo alternativi all’Occidente vengono abbandonate: a quel punto la negoziazione avviene solo su quanto e come la pressione dei prodotti culturali occidentali unilateralmente subita potrà tracimare dall’altra parte di quel Muro, destinato da lì a breve a sgretolarsi. Il socialismo prussiano – burocratico, puritano, autoritario – aveva perso la sua competizione con l’Occidente ben prima dell’89 e dei rivolgimenti geopolitici che sconvolsero la carta geografica d’Europa1.
È all’interno di tale complesso contesto che deve essere collocata la scena punk nella Germania orientale dei primi anni Ottanta, scena che, pur avendo tratti comuni con analoghe esperienze occidentali, ha peculiarità tutte sue e sembra nascere soprattutto in reazione a un sistema asfissiante votato a esercitare una governance totale sulle vite e sui desideri soprattutto dei più giovani.
Sicuramente il fenomeno punk in DDR ha a che fare con rotture generazionali, con mitizzazioni del modello oltrecortina, compreso il suo ribellismo giovanile, ma un ruolo non irrilevante nella sua diffusione spetta al bisogno profondo di autonomia e autodeterminazione, di emancipazione dalle direttive di Stato: non possono essere pianificati dall’alto i gusti culturali e le modalità con cui vivere la quotidianità.
Bollato sin dal 1977 dal quotidiano “junge Welt” (pubblicazione dell’organizzazione giovanile ufficiale tedesco-orientale Freie Deutsche Jugend) come una forma di “analfabetismo musicale” occidentale, il punk viene accolto sprezzantemente anche dalla radio giovanile DT64 della Germania socialista che – come riportato da Sandro Moiso, su “Carmilla”, nel suo scritto Come e perché cadono i muri2 – lo liquida con queste parole: «non ha alcun impatto sull’evoluzione della nostra musica […] trova la sua ragione di esistere esclusivamente in un contesto societario di un certo tipo [e] si contrappone alle nostre norme etiche e morali di stampo socialista». «Mai – chiosa Moiso nel suo scritto – affermazione sarebbe stata più radicalmente rovesciata. Mai la supposta moralità di un socialismo cimiteriale sarebbe stata più decisamente negata. Ma all’epoca nessuno ai vertici del potere avrebbe potuto o voluto dare ascolto a ciò che le strade, i garage e i locali periferici della Germania Est già profetizzavano. Mentre la polizia e gli apparati culturali e repressivi cercavano ancora una volta di far regnare l’ordine a Berlino (Est)»3.
Le prime punk band della DDR si trovano a fare i conti con la mancanza di spazi in cui suonare, visto che nei locali è concesso di esibirsi in pubblico solo ai “musicisti riconosciuti”. È questo il motivo per cui diversi gruppi ricorrono agli spazi messi a disposizione dalla chiesa, soprattutto protestante, in quanto luoghi relativamente interdetti alle forze dell’ordine o, almeno, in cui il controllo diretto statale è limitato. Particolarmente attiva negli anni Ottanta è la berlinese Chiesa del Redentore che offre sostegno ai giovani alternativi arrivando a organizzare, sin dall’inizio del decennio, una lunga serie di concerti punk in cui si esibiscono gruppi come i berlinesi Namenlos e Unerwünscht. Da tale esperienza prende vita anche una fanzine punk.
Particolarmente curiosa è la storia della realizzazione di DDR von Unten, il primo disco punk della Germania Est stampato però ad Ovest grazie al giornalista musicale occidentale Dimitri Hegemann che, venuto a contatto con la scena underground orientale durante una sua permanenza a Berlino Est, convince la Aggressive Rockproductionen di Berlino Ovest a realizzare un disco. L’uscita dell’album è decisamente rocambolesca, anche se le ricostruzioni degli accadimenti a volte risultano un po’ romanzate.
Sembra che il primo tentativo di registrazione di materiale per l’album – che vede inizialmente coinvolti i gruppi Rosa Extra, Zwitschermaschine e Schleim-Keim – risalga al 1983, quando si ricorre all’attrezzatura casalinga di un musicista “regolare” nei pressi di Dresda. L’intervento della polizia complica le cose: il materiale registrato deve essere consegnato e per evitare ulteriori conseguenze, oltre alle condanne che non tardano ad arrivare, i Rosa Extra si trovano a cambiare il nome in Hard-pop, mentre il gruppo Schleim-Keim si trasforma in Sau-Kerle. Proprio questi ultimi, insieme alla band Zwitschmaschine, riescono successivamente a lavorare alle registrazioni presso Günther Fischer, importante compositore di colonne sonore per la casa di produzione cinematografica statale.
Il materiale prodotto giunge così ad Ovest ove, nel 1984, diventa il disco DDR von Unten che esce insieme a una pubblicazione di Sascha Anderson dei Zwitschermaschine sulla situazione delle controculture nella Germania socialista. C’è però un sequel che rende “meno romantica” la vicenda: dopo la caduta del Muro si scopre che Anderson, nel frattempo affermatosi come scrittore, ai tempi della DDR è stato una spia della Stasi. Difficile ricostruire quanto, tra doppi e tripli giochi, sia stato fedele alle autorità della Deutsche Demokratische Republik e quanto alla causa punk; quel che è certo è che il suo gruppo sul vinile inciso in Occidente ha trovato posto e con esso il suo racconto della scena musicale orientale.
«Non voglio più vederli in giro per le strade!», così nel 1983 si esprime Erich Mielke, dal 1957 al 1989 a capo della Stasi dopo esserne stato il fondatore. Le autorità decidono di intervenire radicalmente e di “risolvere” una volta per tutte “la questione punk”: arresti e processi di massa nei confronti di ragazzini tra i sedici e i diciotto anni e ricorso a infiltrati e confidenti. A tal proposito, dai documenti dei servizi segreti visionabili dopo la caduta del Muro, si è saputo della presenza di informatori in diversi gruppi, come nel caso di due membri della band berlinese Die Firma: punk al servizio dello Stato, insomma.
La Stasi ha lavorato sulle band anche per controllare l’intero ambiente giovanile alternativo e con esso le stesse famiglie dei giovani. Nella sola Berlino Est, nei primi anni Ottanta, oltre duecento punk vengono arrestati dalla Volkspolizei, costretti ai domiciliari o ai lavori socialmente utili e, in diversi casi, condannati al carcere o all’allontanamento temporaneo da Berlino. Anche così la DDR ha pensato di difendere il suo socialismo.
Nella seconda metà degli anni Ottanta la repressione si allenta e una parte di questi giovani vira decisamente su posizioni di estrema destra iniziando a prendere sul serio il ricorso al braccio teso che, fino ad allora, stando alle testimonianze, è stato alzato quasi esclusivamente in maniera provocatoria. Lo sbandamento a destra di tali gruppi giovanili finisce poi per trovare terreno fertile nelle contraddizioni sorte nei territori orientali durante le prime fasi della riunificazione ma è innegabile la presenza di gruppi che si rifanno a un immaginario neonazista già nella fase terminale della DDR. «Abbiamo di nuovo dei nazisti per le strade di Berlino» urla, sul finire degli anni Ottanta, un pezzo della band Namenlos di Berlino Est per denunciare la presenza di rigurgiti di estrema destra negli ambienti punk. Ciò non manca di sucitare l’ira delle autorità risolute nel negare anche solo la possibilità della presenza di neonazisti all’interno del Paese socialista. La risposta alla “provocazione” della band ha preso la forma di una condanna a due anni di carcere per i membri del gruppo.
Dopo la caduta del Muro sono poche le vecchie band orientali a restare in attività; tra queste si possono citare i gruppi Schleim-Keim di Berlino Est e Müllstation di Eisleben. Tra i pochi capaci di ritagliarsi uno spazio all’interno del mercato discografico occidentale vi sono il gruppo Sandow di Cottbus, che nel frattempo ha cambiato parecchio le proprie sonorità e i berlinesi Feeling B, poi divenuti Rammstein, che, si dice, per evitare l’oblio a cui sono condannate tante punk-band della ex Germania orientale, abbiano preferito far passare in secondo piano la loro provenienza orientale, proponendosi semplicemente come storica band tedesca.
Esiste un’importante produzione documentaristica audiovisiva riguardante la scena punk tedesco-orientale costruita su immagini superstiti, simboli e testimonianze dirette di chi vi ha preso parte. Vale la pena segnalare tanto alcune opere prodotte dopo la caduta del Muro che altre realizzate nella stessa Germania socialista poco prima della sua fine.
In Störung Ost (1996) di Cornelia Schneider e Mechthild Katzorke, le autrici tratteggiano la scena punk berlinese dei primi anni Ottanta sia facendola ricostruire da chi ha vissuto l’esperienza che mostrando filmati più o meno girati clandestinamete in super 8, foto personali e documenti cartacei e audiovisivi della Stasi divenuti nel frattempo disponibili. Le contraddizioni che emergono dai racconti degli intervistati sono le stesse dei vari movimenti giovanili occidentali e oscillano tra il volersi “diversi” dalla società che non si sopporta e la pretesa di essere da essa “accettati”.
Dalle testimonianze raccolte nel film emerge come i punk, accusati di non aver voglia di lavorare, siano spesso fermati dalla polizia e soprttutto le ragazze vengano costrette a ripulirsi il volto dal trucco e ad adeguare il loro abbigliamento all’ordine estetico socialista. La presenza femminile nella scena punk tedesco-orientale, pur decisamente minoritaria, anche perché maggiormente ostacolata dalla società e dalle stesse famiglie rispetto ai coetanei maschi, ha però un ruolo tutt’altro che trascurabile, non a caso diversi i documentari, come lo stesso Störung Ost, sono realizzati da donne.
Il regime, incapace di comprendere quanto accade tra i giovani nei primi anni Ottanta, giunge in taluni casi persino a etichettarli come “neo-nazisti”, cosa del tutto inconsueta in una DDR che si vuole del tutto immune sia da fenomeni nostalgici che di matrice neonazista. Per difendersi da tale infamante accusa, si racconta in Störung Ost, alcuni gruppi punk berlinesi tentano di deporre una corona di fiori al monumento delle vittime del nazismo.
Soltanto quando la repressione si acuisce i testi delle canzoni iniziano a farsi meno esistenziali e più ostili nei confronti del regime accusandolo di utilizzare contro i giovani alternativi le medesime leggi della Germania nazista: alcuni punk decidono di esibire provocatoriamente sui propri indumenti la stella gialla a cui erano costretti gli ebrei durante il periodo hitleriano.
Anche in OstPUNK! Too Much Future (2006) di Carsten Fiebeler e Michael Boehlke gli autori fanno raccontare ad alcuni protagonisti della scena punk tedesco-orientale – oggi in buona parte rientrati nei ranghi all’interno della Germania riunificata –, della musica, della voglia di libertà e del senso di appartenenza a una cultura contro, ma anche della repressione e del carcere subiti. Tra le punk-band su cui insiste il film vi sono il gruppo Schleim-Keim di Erfurt, i Paranoia di Dresda, L’Attentat di Lipsia, i Namenlos e i Rosa Extra di Berlino Est.
A proposito del film, uno degli autori, Michael Boehlke, sostiene che la sua realizzazione è derivata da un’insoddisfazione provata nei confronti delle produzioni esistenti sull’argomento e dal bisogno di raccontare autonomamente un’esperienza vissuta in prima persona tra la fine degli anni Settanta e la fine del decennio successivo.
La scena punk di Berlino Est era incasinata e confusa e tutti i film e i libri che raccontano la storia del punk nell’Europa occidentale non hanno mai incluso la corrente della DDR […] Le persone che abbiamo intervistato raccontano differenti stili di vita, storie spesso drammatiche caratterizzate da una visione punk. Tutti sono stati arrestati e detenuti dalle autorità della DDR, ma sperimentare la detenzione per alcuni di loro non è stato poi così drammatico vista la presenza già opprimente del muro. Un fattore unificante per ciascuno di loro era avere le palle di manifestare il proprio dissenso. Alcuni si esprimevano attraverso la pittura o mettendo in piedi un gruppo punk, altri si sarebbero messi a girare video in super 8. Il film mostra anche che fine hanno fatto oggi i protagonisti con le loro vite, la loro professione, le loro opinioni politiche e il loro spirito punk.
Venendo invece ad alcuni lavori prodotti in seno alla stessa DDR, può essere citato flüstern und SCHREIEN – ein Rockreport (1988) di Dieter Schumann. Si tratta di un film-documentario commissionato direttamente dagli apparati cinematografici di Stato tedesco-orientali, attorno al quale il regista ha lavorato dal 1985 al 1988, praticamente sino al termine dell’esperienza della Deutsche Demokratische Republik, che racconta la musica, la moda e le vite dei protagonisti della scena underground della DDR, soffermandosi su punk-band come le berlinesi Feeling B e Silly e sul gruppo Sandow di Cottbus.
Oltre che sulle caratteristiche dell’abbigliamento, delle acconciature e della musica ascoltata o suonata, gli intervistati si soffermano sulla mentalità e sulle motivazioni esistenziali con cui sono cresciuti all’interno dell’ambiente tedesco-orientale a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta di cui tratteggiano anche il sistema di istruzione e le organizzazioni giovanili ufficiali e non.
Al primo montaggio il film di Fiebeler e Boehlke, proiettato in alcune scuole prima dell’uscita ufficiale, ha una durata di circa quattro ore, poi dimezzata nella versione definitiva a causa di qualche sforbiciata da parte della censura e, soprattutto, della decisione di rende l’opera maggiormente fruibile.
L’atteggiamento delle autorità nei confronti del film è quantomeno contraddittorio: se da un lato si tratta di una produzione commissionata ufficialmente, con tanto di regolare visto per la proiezione, le forze dell’ordine socialista intervengono nel corso della prima proiezione destinata a spettatori e musicisti per rimuovere il materiale pubblicitario appeso nell’atrio del cinema, minacciando i realizzatori di procedimenti penali per aver calunniato la DDR. In tale occasione si sono anche avuti disordini in seguito alle perquisizioni operate dalla polizia nei confronti dei partecipanti. Successivamente, il film è stato proiettato in tutti i distretti della Germania Est ottenendo un grande successo di pubblico, tanto che si calcola sia stato visto da mezzo milione di spettatori.
Unsere Kinder (1989) di Roland Steiner è un documentario prodotto in DDR presentato al Festival del cinema documentario di Lipsia solo quattro giorni prima dell’apertura del Muro di Berlino. L’autore, attraverso una serie di interviste a giovani e adulti, affronta le sottoculture giovanili ostili alle norme socialiste nella Germania orientale di fine anni Ottanta documentando le diverse comunità giovanili marginali – punk, skinhead, anti-naziskin, neonazisti – di cui ufficialmente le autorità preferiscono negare l’esistenza. Tra gli intervistati figurano anche Christa Wolf, che dialoga con due giovani radicali di destra e Stefan Heym, che tratteggia un confronto con la situazione di crisi dei primi anni Trenta.
Qualche traccia del punk in DDR è presente anche in Winter Adè (1988) di Helke Misselwitz, film-documentario presentato in anteprima alla settimana del documentario e del cortometraggio di Lipsia del 1988, in cui la regista attraversa in terno la Germania orientale colloquiando nel corso del lungo viaggio con donne di diverse generazioni ed estrazione sociale e culturale su questioni inerenti il matrimonio, il lavoro, i figli e le separazioni.
Su uno sfondo dolente e dimesso, enfatizzato dalla scelta del bianco e nero, il film racconta, attraverso le vicende personali delle donne incontrate, del permanere, nonostante la retorica ufficiale, della durezza e dell’alienazione del lavoro quotidiano e soprattutto della difficile condizione femminile in DDR soffermandosi in particolare sui rapporti sentimentali. Risulta impietoso lo stridente confronto tra le immagini delle celebrazioni ufficiali per la festa della donna e la realtà piena di amarezza e infelicità raccontata dalle intervistate. Tra le donne interpellate vi è spazio anche per chi ha legato la propria vicenda esistenziale all’ambiente punk tedesco-orientale.
Störung Ost (1996) di Cornelia Schneider e Mechthild Katzorke
OstPUNK! Too Much Future (2006) di Carsten Fiebeler e Michael Boehlke