di Marco Bersani, Attac Italia
É stato pubblicato recentemente il rapporto “Analisi del Rischio. I cambiamenti climatici in Italia”, realizzato dalla Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici). Si tratta della prima analisi integrata del rischio climatico in Italia.
Che cosa prevede? I diversi modelli climatici sono concordi nel valutare un aumento della temperatura fino a 2°C nel periodo 2021-2050 (rispetto a 1981-2010) e, nello scenario peggiore, un aumento che può raggiungere i 5°C.
Con quali conseguenze? Un significativo aggravamento della situazione già ora complessa relativa al rischio geo-idrogeologico; una drastica riduzione della disponibilità di risorsa idrica rinnovabile, sia superficiale che sotterranea, con periodi prolungati di siccità ed eventi metereologici estremi; pesanti conseguenze quali-quantitative sui sistemi agricoli; forte peggioramento della qualità della vita nelle città, dovuta al legame tra l’innalzamento della temperatura in ambiente urbano (isole di calore) e le concentrazioni di ozono (O3) e di polveri sottili (PM10), con particolari ripercussioni sulla salute delle fasce più fragili della popolazione
Con quali costi economici per la collettività? Lo studio rileva una proporzionalità diretta tra aumento della temperatura climatica e aumento dei costi economico-finanziari, con valori compresi tra lo 0,5% e l’8% del Pil a fine secolo. I cambiamenti climatici aumenteranno la disuguaglianza economica tra le regioni e tutti i settori dell’economia italiana risulteranno impattati negativamente, mentre le perdite maggiori si andranno a determinare nelle reti e nella dotazione infrastrutturale del Paese, nell’agricoltura e nel settore turistico nei segmenti sia estivo che invernale.
Essendo il primo studio che affronta le conseguenze del cambiamento climatico non solo da un punto di vista globale, ma nello specifico della situazione italiana, sarebbe logico che divenisse la base sulla quale i governi formulassero le proprie strategie d’intervento.
Di cosa parlano invece le linee guida del governo italiano per il Recovery Plan, ovvero l’insieme di progetti e interventi per accedere agli oltre 200 miliardi previsti dal Recovery Fund europeo?
L’obiettivo sembra essere la riduzione dell’impatto economico provocato dalla pandemia, attraverso il raddoppio del tasso di crescita e un aumento di 10 punti del tasso di occupazione. Non si parla di conversione ecologica come strategia tanto radicale quanto assolutamente necessaria, ma semplicemente come opportunità per realizzare gli obiettivi economici sopra richiamati. Data la premessa, sembra ovvia la conseguenza: l’insieme dei progetti di investimento che accompagnano le linee guida sono un ammasso informe di centinaia di iniziative, senza capo né coda e spesso contraddittorie tra loro, concepite con l’unico obiettivo di spendere per “far girare l’economia”.
Salvo concludersi con l’usuale monito che il tutto dovrà essere accompagnato dalla riduzione del rapporto debito/Pil attraverso un significativo aumento del saldo primario (leggi: drastica riduzione della spesa sociale).
Possiamo immaginare due anni di spese folli dettate dai diktat di Confindustria e dalle lobby finanziarie con l’obiettivo del rilancio dell’economia (che poi è da sempre l’econo-loro) e poi la riedizione dell’austerità, basata sulla trappola del debito, sul patto di stabilità e sul pareggio di bilancio?
“Uscire dall’economia del profitto, costruire la società della cura” è l’obiettivo di un percorso di convergenza che centinaia di realtà sociali, reti associative e di movimento hanno avviato dentro la pandemia e dopo il lockdown e sul quale chiamano tutt* alla partecipazione e alla mobilitazione sociale.
Sarà di questo che dovranno parlare le strade dell’autunno che comincia.