È di qualche giorno fa la notizia della sentenza che ha scagionato il dipartimento di polizia di Louisville dalla morte di Breonna Taylor, riattivando un’ondata di proteste in Kentucky e riaprendo il dibattito sulla brutalità poliziesca negli Stati Uniti. È la stessa rabbia che da maggio scorso ha incendiato gli Stati Uniti in risposta all’omicidio di George Floyd, la stessa rabbia che da Minneapolis si è propagata a cascata in tutti gli stati e in migliaia di città negli U.S.A..
Non esiste comunità statunitense che non riconosca in un nome e cognome la medesima storia di brutalità e violenza, che non rivendichi per i suoi martiri giustizia, a costo della pace sociale. La giustizia, come nel caso Taylor, viene invocata e rivendicata nelle strade, ma incontra il tonfo sordo del silenzio complice delle aule di giustizia, colpevoli di favorire sistematicamente la legittimità d’azione dei dipartimenti di polizia, a discapito delle vite umane che ogni giorno incontrano la ferocia incontrastata delle forze dell’ordine. Mercoledì scorso sono stati scagionati due agenti, mentre l’agente responsabile dell’omicidio è ancora sotto indagine per condotta pericolosa; ma ancora, sopravvive la logica punitiva delle singole “mele marce”, e qualche tentativo di rabbonimento degli animi in protesta attraverso tiepide misure di prevenzione del danno che non intaccano minimamente la possibilità per le forze di polizia di esercitare violenza indiscriminata senza conseguenze.
Era accaduto per Trayvon Martin e Mike Brown, Tamir Rice e Sandra Bland, per citare alcuni casi di omicidi eclatanti, in cui gli agenti responsabili sono stati allontanati dall’ incarico e spesso riassegnati, senza mai rendere conto delle proprie responsabilità di fronte alle comunità che dovrebbero servire. Nonostante la risposta di fuoco degli ultimi mesi, ancora il dibattito pubblico rimane polarizzato sulla legittimità o meno delle proteste, laddove esponenti politici e istituzionali faticano ad andare oltre dichiarazioni di cordoglio e richieste di pacificazione senza considerazione reale delle rivendicazioni di piazza.
Breonna Taylor è stata colpita da sette colpi d’arma da fuoco nella notte del 13 marzo scorso, nella casa in cui viveva assieme al compagno, in seguito ad una sparatoria avvenuta per un intervento di polizia rivelatosi mal gestito, raffazzonato e omissivo, come rilevato dalle numerose discrepanze nelle versioni e nella stesura della relazione di polizia. La pattuglia responsabile dell’omicidio era stata incaricata di effettuare una perquisizione senza mandato (una pratica legale negli U.S., che prevede per gli agenti di fare irruzione senza nemmeno annunciarsi alla porta) in seguito a segnalazioni rivelatesi scorrette e non accertate. Il compagno di Taylor, Kenneth Walker, spaventato dall’intrusione, avrebbe aperto il fuoco in difesa, colpendo l’agente che in seguito avrebbe sparato dieci colpi contro Taylor. Davanti al corpo martoriato di Taylor, gli agenti avrebbero aspettato quasi un’ora prima di prestare soccorso e chiamare un’ambulanza, un modus operando affatto inusuale, come ricorda l’omicidio di Michael Brown a Ferguson.
I tre agenti coinvolti nella sparatoria sono stati destituiti dall’incarico, il diretto responsabile, l’agente Hankinson, con l’aggravante “di estrema indifferenza al valore della vita umana”, e sono ora sotto indagine con l’accusa di abuso della forza e possibili violazioni della legge federale, ma non per omicidio. Questa differenza abissale è il motivo per cui Louisville dalla settimana scorsa non cessa di gridare e pretendere giustizia.
La risposta istituzionale, da parte del Procuratore Generale Daniel Cameron (primo afro-americano in carica, Repubblicano, vicino al Capo della maggioranza Mitch McConnell, e papabile alla carica vacante per la Corte Suprema secondo Trump) è stata quella di tacciare le richieste della famiglia Taylor e dex manifestanti come “sofferenza legittima” ma tecnicamente “non perseguibile a livello penale”, liquidando l’ondata d’indignazione per la morte di Taylor ad una forma di sentimentalismo rabbioso che dovrebbe invece avere fede nella capacità delle istituzioni di fare il loro corso.
Secondo lx attivistx, il caso di Breonna Taylor è invece emblematico della violenza suprematista che permea l’assetto e il funzionamento del sistema giudiziario negli U.S., ben al di là della narrazione secondo cui nel mirino delle proteste vi siano le sole forze dell’ordine. Il carattere strutturale e istituzionale del suprematismo nel sistema di giustizia si rivela infatti proprio nell’impunità totale con cui le forze dell’ “ordine” operano; un “ordine” che ha carattere fondativo e perdura nel retaggio schiavista, coloniale e razzializzante con cui si è sempre esercitato il controllo sociale negli Stati Uniti. Sin dai tempi delle piantagioni, laddove le origini delle forze di polizia si configuravano come i vigilantes armati alla ricerca di schiavx fuggiaschx, e dove il sistema legislativo sanciva il diritto di vita o morte sulla proprietà schiavizzata, la “non-umanità” nera lungo la linea del colore.
Un retaggio sopravvissuto nella segregazione, in cui il sistema giudiziario avvallava la possibilità di esercitare controllo e violenza da parte delle pattuglie nei quartieri segregati; un retaggio che ha segnato la deriva securitaria e militarizzata della “guerra alla droga” delle presidenze Reagan e Clinton, vero e proprio piano di smembramento, contenimento e messa a profitto dei corpi neri rinchiusi dentro quartieri dilaniati dalla povertà e dalla precarizzazione, attraverso il fenomeno crescente dell’incarcerazione di massa e l’ampliamento smisurato del complesso-industriale carcerario all’epoca dell’ordine neoliberale.
È in questi termini che si configura “la giustizia” secondo i movimenti BLM: partendo dal presupposto che le vittime cadute per mano della polizia siano da considerarsi prima di tutto come vite. Non è un’ affermazione scontata. Se la prospettiva di imputazione dei carnefici di Taylor guarda alle conseguenze di un sistema corrotto alla radice, un sistema che ha attinto forza e legittimità d’azione proprio dalla deumanizzazione su base razziale ed etnica, una prospettiva che guardi alle cause strutturali degli episodi di brutalità vede forte la necessità di riforme radicali basate su presupposti abolizionisti, che minimo alla base il modo in cui negli Stati Uniti si esercita il controllo ai fini del contenimento sociale.
In altre parole, smantellare quel sistema che ha concesso a tre poliziotti di irrompere in una casa abitata da afroamericani e aprire il fuoco, legittimandone successivamente le azioni attraverso tecnicismi di ordine giuridico, proprio nelle circostanze in cui è avvenuto il fatto, in un contesto di over-policing e racial profiling dettato dalla guerra militare alle sostanze stupefacenti che in questo caso, come milioni di altri, non cessa da oltre cinquant’anni di spezzare vite, famiglie e comunità senza alcun effetto migliorativo nonostante finanziamenti federali da capogiro.
Breonna Taylor reclama giustizia, le strade degli Stati Uniti non possono trovare pace.