Jurij Borisov
Fondsk.ru
La totale eliminazione del dissenso nella rete globale è un marchio di fabbrica del moderno neofascismo occidentale.
Da qualche giorno, il cento % dei link di Google dell’account di “Fond Strategicheskoj Kultury” (Fondsk) sul social network “Facebook” appaiono così:
Per informazione: “Fond Strategicheskoj Kultury è una piattaforma internet unica per analisi, commenti, discussioni su un’ampia gamma di questioni su relazioni internazionali, economia mondiale, sicurezza globale, storia, cultura e civiltà. Dal 2005, sul sito sono stati pubblicati migliaia di materiali dalla penna di più di cento autori noti per le loro qualifiche specialistiche e per l’indipendenza di giudizio”.
Questa rivista, insieme ad altre riviste on-line russe, è stata una delle prime ad essere presa di mira dal Dipartimento di Stato americano e dai suoi servizi speciali affiliati, che hanno dispiegato una caccia alle streghe sulla rete globale. Se nei secoli precedenti i metodi della polizia investigativa non permettevano di ripulire il dissenso ovunque e con precisione chirurgica, le attuali tecnologie lo permettono pienamente. La “polizia del pensiero” si è maggiormente sviluppata non da qualche parte, ma in Occidente.
Là (in occidente ndr.), la civiltà, nel tal caso il prefisso “anti” è appropriato, è nata e si è sviluppata come strumento di saccheggio planetario, violenza e imposizione.
C’è stato un tempo in cui, dopo aver saccheggiato e ripulito in abbondanza il pianeta dai popoli “superflui”, l’Occidente si è concesso un momento di pausa e ha persino proclamato la democrazia. Tuttavia, quei tempi son finiti con l’inizio del XXI secolo. Finiti, se non completamente, almeno per molto tempo. Oggi l’Occidente si sta indebolendo, sta perdendo il monopolio del potere mondiale. Non è più all’altezza delle buone maniere e il crescente dissenso globale, oggi, potrebbe risultare come una goccia di nicotina che uccide un cavallo. Pertanto, tutti i giochi di democrazia occidentali sono finiti. In pratica, lo spazio mondiale dell’informazione, pienamente nelle mani dell’Occidente, soprattutto su Internet, è scompigliato da una dura lotta contro gli “sgraditi”. E gli “sgraditi” sono quelli che la pensano diversamente dai “padroni del discorso” occidentali.
L’attuale pratica di divieto totale del dissenso su Internet è la manifestazione di uno scontro di civiltà: umana e antiumana. In questo scontro, anche una parvenza di democrazia, il suo involucro decorativo, diventa un ostacolo sul percorso di affermazione del controllo totalitario. In fin dei conti, per l’Occidente, la democrazia è sempre stata un mezzo, non il fine.
Gli sforzi per reprimere il dissenso sono sistemici e coordinati a livello dei governi dei paesi-guida occidentali, in primo luogo gli Stati Uniti; così parlano i rapporti regolarmente pubblicati dal Dipartimento di Stato americano e dalle sue filiali nei riguardi delle “attività sovversive dei media russi”.
Inizialmente, ad agosto, dalle viscere del Dipartimento di Stato è apparso un rapporto, dedicato ai “pilastri della disinformazione e della propaganda russa” (il sito web di “Fond Strategicheskoj Kultury” figura nel rapporto come uno dei “pilastri”).
Poi è stata la volta delle “indagini”, affidate a un certo ufficio “Laboratorio di ricerca forense digitale”. È curioso: in Occidente, ad occuparsi dello studio delle manifestazioni di dissenso ci sono organi di “ricerca forense”. È positivo che non siano di medicina forense, o di anatomia-patologica forense.
A proposito, questa è una “indagine forense digitale” – ancora un’improvvisazione! Pigliano qualsiasi account internet in lingua russa, nella maggioranza dei casi anti-occidentale e da li riversano un mucchio di “screenshot” con “prove”.
E per “prova”, praticamente, è adatto ogni post, che non esprima un senso di ammirazione per la “città splendente sulla collina” – L’America.
Va detto che il livello estremamente basso di tali “prove di attività anti-occidentale” è la migliore conferma della loro origine ucraina, dove il livello intellettuale medio dei laureati all’accademia Kiev-Mohyla non può produrre nulla di più intelligibile. Quasi che gli autori di tali “indagini”, s’ispirino, come esempio, allo “sciocco” Papandopulo di “Svadba v Malinovke” [1].
In democrazia è assurdo impostare la questione di un’indagine giudiziaria sui casi di dissenso. Se ripetete da ogni angolazione che la libertà d’informazione per voi è “l’alfa e l’omega” dell’esistente, perché siete così nervosi quando qualcuno è fuori passo da voi? Dovreste, invece, gioire per il pluralismo delle opinioni che arricchisce la cultura! Macché! Vi date da fare a tappare la bocca e appendervi un lucchetto!
Quando l’Occidente, con tutta la sua indecente, pasciuta carcassa mediatica, si ammassa sulla Russia, questo si chiama “promozione dei valori di libertà e democrazia”. E non appena la Russia in misura mille volte inferiore dice qualcosa “oltre la linea” dello stesso Dipartimento di Stato, ciò si trasforma immediatamente in “attività sovversive ed ingerenza negli affari interni” degli Stati Uniti! Qui, davanti a noi, c’è un raggiro del più basso stampo, da bettola, che è diventato norma di comportamento di uno stato, che rivendica non un posto in un secchio per i rifiuti, ma una leadership mondiale!
I criteri di selezione per la categoria “criminale” sono elementari come un “valenok” (stivale invernale di feltro ndr.). Criteri più complessi non possono essere applicati, se non altro perché gli stessi “valutatori” trattano la sfera culturale con un cervello così rilassato e avvilito da schemi elementari, da non percepire nulla di più complesso di una tela del mondo in bianco e nero. In parole povere, se emetti una composizione di suoni non standardizzata, che non rientri nella loro matrice sonora, sei già un estraneo, come un mostro extraterrestre di un film omonimo. Di conseguenza – un “agitatore del Cremlino”, in genere canaglie, dovrebbe finire arrostito come un “Colorad” [2] nella Casa dei sindacati di Odessa (in riferimento alla strage del 2 maggio 2014 ndr.). In tali “rapporti” e “indagini”, semplicemente, non si richiede di cercare nulla di più complesso.
L’attuale “caccia alle streghe” su Internet è cresciuta rapidamente dopo che l’Occidente ha acquisito l’Ucraina per le proprie necessità e si è accorto che lì esiste un contingente idoneo, al quale è facile rifilare la propria percezione del mondo in bianco e nero. Tuttavia, la cosa principale è un’altra. L’agglomerato umano “ucraino” è geneticamente del tutto identico a tutto l’agglomerato della civiltà russa, poiché esso stesso è russo. E, di conseguenza, è perfettamente idoneo per un’accurata infiltrazione nel mondo russo.
Da qui è iniziato uno studio concentrato e mirato al massimo dello spazio Internet russo, dal territorio dell’Ucraina, con la messa in evidenza di ciò che, secondo la loro logica in bianco e nero, dovrebbe velocemente essere sottoposto a “risanamento” e pulizia.
L’impronta ucraina in questi “studi” può essere rintracciata molto bene. È sufficiente dire che quei siti e account dei social network che, in un modo o nell’altro, toccano la tematica ucraina non in stretta conformità con la linea del Dipartimento di Stato americano e della sua “residenza” a Kiev, sono sottoposti a un attento esame con conseguente punteggio di eliminazione. In tal caso, l’inquisizione della rete non si prende briga di valutare le argomentazioni. Il principio è semplice: è meglio “bannare” un centinaio di pacifici “user” piuttosto che lasciar passare un “propagandista”.
Deboli tentativi per osservare almeno una certa parvenza di “gioco secondo le regole” vengono intrapresi, ma con esiti estremamente ridicoli. Prendiamo, ad esempio, il “lucchetto di Facebook” sugli account di quelle, o di altre pubblicazioni online. Accanto al simbolo (lucchetto ndr.) di questa arretrata barbarie c’è anche un testo “esplicativo”: “Questo contenuto al momento non è disponibile. Il proprietario potrebbe aver rimosso il contenuto, o limitato l’accesso allo stesso”. Una frase nello spirito del timido ladruncolo Alchen dalla famosa satira su tutti i tipi di truffatori “Le dodici sedie” [3]. Parola chiave in questo insieme di lettere dell’alfabeto è “proprietario”. E qui s’infittisce la nebbia. Se il “proprietario” del contenuto vietato fosse anche il suo autore, è del tutto ovvio che questo sito non sia stato sottoposto a una tale repressione. Allora rimane una sola opzione: l’arbitrarietà è prodotta dall’amministrazione di Facebook in qualità di “proprietario” di questa risorsa.
Pertanto sorge la domanda successiva: come si conforma questo tipo di attività inibitoria di un social network straniero sul territorio russo nei confronti dell’attuale legislazione della Federazione Russa? Naturalmente, questa domanda dovrebbe essere rivolta ai giuristi. Tuttavia, anche per un neofita di giurisprudenza come l’autore dell’articolo, a prima vista si ravvisa la competenza della legislazione russa sulla protezione dei diritti intellettuali, qui, su questioni molto pertinenti: “Il diritto all’inviolabilità (di un’opera, esecuzione, fonogramma)… Significa che senza il consenso dell’autore non è consentito apportare modifiche, abbreviazioni e aggiunte alla sua produzione, la fornitura della stessa qualora la si utilizzi con illustrazioni, prefazione, postfazione, commenti o qualsiasi altra spiegazione… L’alterazione, la distorsione, o altra trasformazione dell’opera, il discredito dell’onore, della dignità, o della reputazione dell’autore, così come l’attacco di tali azioni, conferiscono all’autore il diritto di richiedere la difesa del suo onore, dignità e reputazione professionale”.
Non sempre queste disposizioni del Codice Civile della Federazione Russa possono essere applicate come norma per un’azione diretta in relazione a vari tipi di risorse di rete straniere. Tuttavia, è giunto il momento di migliorare la pratica delle forze dell’ordine, tenendo conto dei casi clinici che dobbiamo affrontare. Così come è giunto il momento per dar risposte a domande che aspettiamo da tempo.
Note del redattore:
[1] “Matrimonio a Malinovka”, film commedia musicale sovietico del ’67 ambientato in un villaggio ucraino ai tempi della guerra civile.
[2] “Scarabeo del Colorado”, neologismo colloquiale, per indicare i partecipanti al conflitto armato in Ucraina nel 2014 dalla parte filo-russa. L’associazione probabilmente è dovuta alle strisce arancioni nere che l’insetto porta sul dorso simili ai colori del nastrino di San Giorgio, simbolo del patriottismo russo.
[2] “Dvenadtsat’ stul’ev”, romanzo russo scritto e pubblicato nel 1928 da Il’ja Il’f e Evgenij Petrov.
Fonte https://www.fondsk.ru/news/2020/09/26/ambarnyj-zamok-internet-inkvizicii-51924.html
Tradotto da Eliseo Bertolasi