Due raccontini

di Cesare Battisti

UN FIORE

Marco beve a tre riprese, affondando le mani a coppa nell’acqua fredda del torrente. Poi si alza, si stira e si mette a contemplare le libellule che sfiorano frenetiche la corrente. “L’acqua canta il fluire della vita” si sorprende a dire ad alta voce nell’istante in cui un tremore lo coglie, facendolo vibrare come una nota sfuggita allo spartito. Ha visto sulla riva opposta se stesso in piedi. Esterrefatto dall’apparizione, non pensa a un’illusione. All’incredibile incontro di riflessi della superficie dell’acqua, al cielo così denso di turchese da sembrare finto. Oppure è la stanchezza a giocargli un tiro. Non pensa, è ipnotizzato. Il tremito violento svanisce all’improvviso come è venuto. Marco respira a sorsi il vapore acqueo impregnato del profumo di certi fiori che sbocciano solo sul punto di morire. Lo sgomento iniziale se l’è portato via il canto dell’acqua cristallina. Da una riva all’altra, egli osserva la sua figura magra che sorride. Tenta un gesto, come fosse specchio e l’altro ripetesse. Si sente sciocco e respira ancora il profumo di quel fiore. Dalla riva opposta, parte un colpo di pistola.  C’è nell’aria una musica delicata, festeggia la natura il fluire della vita.

UN FILO D’ARIA

L’ orecchio schiacciato contro il materasso di gommapiuma, Marco sente il brontolio dei muri saturi di pena. Aria stagna, odore di tempo morto.

“Dovresti cambiare d’orecchio” dice la macchia bruna sul muro, che si dilata e restringe al ritmo della respirazione. È una questione d’aria, Marco pensa.  Quella fina fa bene alle menti chiuse e alle ombre orfane di sole.

Marco è qualcuno che ha sudato per liberarsi da bisogni basilari. Tranne l’aria, gli manca da morire. In compenso domina il tempo con le sue migliaia di candeline spente.

Quando riposa su un orecchio solo, percepisce i rumori antichi, strascichi di illusioni cariche di polvere e promesse sfilacciate. Echi di un mondo ancora scandito dal tempo. Non si è mai assolutamente liberi. Lo sanno i muri, lo dicono le macchie, i ragni e le zanzare. Milioni di facce sbaragliate da un ghigno di soddisfazione.

Se a Marco venisse in mente di agitarsi, tanto per far qualcosa, offenderebbe la saggezza dei suoi muri e resterebbe solo. A Marco capita di scollare bruscamente l’orecchio dal materasso avvilito, è per vedere se non ci sia altro in giro da eliminare. Stuzzica il tempo, che non gli nasconde un’ultima ricorrenza. Ma i muri non si lasciano ingannare, sono soprassalti paranoici.

Come quando si immagina di sentire lo spazio con le mani. Allarga le dita quel tanto da far passare un filo d’aria, e ne aspira gli effluvi a narici dilatate. Appena un trucco per distrarre la mente e aprire uno spiraglio. Dare mobilità alle ombre stantie.

A Marco, quando sogna, sembra di volare tra palloncini colorati e ghirlande d’oro e d’argento.

I due brevi racconti di Cesare Battisti ci sono pervenuti assieme a questo messaggio: “Cari, sprovvisto di computer e di tutto il materiale per continuare il mio lavoro, ho pensato di ingannare l’eterno isolamento scrivendo qualche rapido delirio. Ecco un  primo ‘fiore’, se lo ritenete pubblicabile fate pure. Cesare.

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