Sabato 31 ottobre giornata di mobilitazione anche nelle Marche, nel capoluogo regionale, in occasione dell’assemblea pubblica del Coordinamento regionale per il Reddito. L’assemblea si è trasformata in una piazza aperta, ricca del contributo di tutti i soggetti sociali e produttivi su cui il governo vorrebbe scaricare la crisi. Un corteo spontaneo è arrivato fin sotto la sede della Regione.
In tante e tanti si sono ritrovati in piazza Cavour in Ancona per dire che questa volta non si è più disposti ad accettare il ricatto tra salute e reddito. I mesi trascorsi dal primo lockdown hanno visto un’inerzia sostanziale da parte del Governo e delle regioni, perdendo tempo tra banchi a rotelle e monopattini, senza nessuna visione strategica e programmatica nei confronti dei problemi strutturali di questo paese, che il covid non ha inventato, ma drammaticamente acuito.
La politica dei bonus, degli incentivi senza vincoli alle grandi imprese e dei pessimi e aridi ristori per i lavoratori ha mostrato solo due cose: il peso che hanno i “padroni del vapore” nel determinare a proprio vantaggio le scelte politiche di chi governa; il legiferare per conservare quello che c’era prima della pandemia, quella “normalità” giustamente definita il problema.
La piazza anconetana ha parlato un linguaggio molto chiaro: salario minimo garantito, sanità pubblica e di prossimità, reddito di continuità non come norma emergenziale, ma come pilastro di un nuovo welfare. I soldi europei del recovery fund dovranno essere investiti nella scuola, nella sanità, nei trasporti, nell’edilizia pubblica, nella cultura, nella ricerca e nella tutela del paesaggio e dell’ambiente. Per finanziare queste politiche non serve solo lottare per un indirizzo sociale del denaro pubblico, ma bisogna andare a prendere i soldi da chi li ha e da chi durante questi mesi di pandemia si è arricchito, a partire dai grandi colossi delle piattaforme digitali e da una patrimoniale che tassi i grandi capitali finanziari. E’ il momento che paghi la classe avversa. E’ il momento che paghino i ricchi!
I manifestanti in piazza sono stati anche molto chiari nell’affermare che negazionisti, riduzionisti, “no mask”, complottisti, sostenitori di teorie da turbo-capitalismo tipo “selezione della specie” o “darwinismo socio-economico” e fascistume vario non erano graditi in piazza, perché con chi gioca con la salute pubblica, fa gli interessi di Confindustria e offende il lavoro e il sacrificio che gli operatori sociosanitari, gli infermieri e i medici stanno facendo – oltre a chi di covid è morto e continua a morire – non si ha nulla a che spartire, se non profonda inimicizia.
Per chi era in piazza, visto l’attuale aumento dei contagi in tutta Europa e le prime chiare criticità per saturazione del sistema sanitario nazionale, il problema non è il sì o il no al lockdown, ma le scelte che pongono l’economia prima della salute, il singolo prima della collettività, il proprio interesse corporativo prima del bene comune. Ogni forma di chiusura che si rendesse necessaria deve essere pagata, per tutelare i diritti e la dignità delle persone e la loro fonte di reddito. Così come è necessario ed urgente un imponente investimento nella sanità pubblica, che consenta una reale e capillare attività di prevenzione e di cura, con test e tamponi gratuiti e tempestivi, perché qui non è in gioco solo la “salute economica”, ma anche quella sociale, relazionale e psicologica di ogni donna e di ogni uomo, giovane o vecchio non cambia.
La piazza ha atteso dopo le 18.00 l’arrivo di quanti erano costretti alla chiusura, per poi muoversi spontaneamente in corteo da Piazza Roma verso piazza Cavour sotto il palazzo del Consiglio Regionale dove sono stati esposti gli striscioni ‘tu ci chiudi, tu ci paghi!’, ‘Reddito, salute, dignità!’, ma anche per ricordare al Presidente Acquaroli che se i “ristori” previsti per metà novembre non saranno erogati, si tornerà in strada con più forza e più determinazione.