Dopo l’intervista ad Antonio Musella, giornalista di Fanpage, continuiamo a inchiestare quanto sta accadendo a Napoli. Nella città partenopea, dopo gli eventi tumultuosi di ottobre si sta sedimentando un percorso politico e sociale in cui si intreccia la richiesta di reddito con quella del diritto alla salute. Abbiamo intervistato in proposito Davide Dioguardi, attivista di Insurgencia e di Mezzocannone Occupato.
Sono settimane convulse, in tutto il Paese e in particolar modo a Napoli. Dopo il tumulto di venerdì 23 ottobre come si è evoluto lo scenario politico e sociale?
In qualche modo quanto avvenuto nella notte tra il 23 e il 24 ottobre a Napoli ha dato il via alle tante mobilitazione che si sono susseguite nel paese, con tutte le contraddizioni del caso. Contraddizioni che sono emerse anche rispetto al mondo del lavoro nero e non.
Per quanto riguarda specificatamente Napoli, da quanto avvenuto nella notte del 23 ottobre non è passato un giorno senza che non ci fosse una mobilitazione.
La piazza di sabato 31 ottobre ha segnato un ulteriore salto di qualità nei processi di sedimentazione? Che ruolo hanno le soggettività politiche organizzate in questa fase?
La piazza di sabato 31 è stata una piazza molto trasversale.
C’erano centri sociali, componenti del mondo della scuola, della sanità, comitati ambientalisti, membri delle reti che ai tempi del primo lockdown hanno svolto un lavoro importante attraverso le spese solidali e il mutuo soccorso.
Le realtà sociali stanno giocando un ruolo fondamentale sin dal primo lockdown in questo senso e le mobilitazioni degli ultimi giorni hanno dimostrato di saper tenere alla larga anche quegli ambienti vicini alla destra che non hanno nulla a che vedere con un piano di trasformazione radicale dell’esistente.
Quali scenari si prospettano per le prossime settimane, con un’Italia divisa in “zone” dall’ultimo Dpcm e ordinanze degli enti locali che si rincorrono in maniera controversa?
La città di Napoli non sarebbe in grado di sostenere un secondo lockdown, sia da un punto di vista economico che sanitario/psicologico.
Una larga fetta di popolazione lavora e “campa” attraverso il contante, il lavoro nero e grigio, il mondo del sommerso. Senza i sussidi adatti, la nostra città e la Campania rischiano di sprofondare in un incubo dove la pandemia andrebbe a mescolarsi con problematiche di natura sociale spaventose.
L’intreccio “reddito-salute” può segnare un nuovo corso per i movimenti sociali a carattere nazionale?
Certamente sì, è una necessità. Necessità che come movimenti napoletani e campani abbiamo già identificato tempo fa. Con la sanità eravamo già “in debito”: scontiamo da moltissimo tempo gli effetti dello smantellamento del servizio sanitario pubblico unito agli effetti tremendi che la devastazione ambientale e l’inquinamento hanno avuto sulla salute nostra e dei nostri cari.
Veniamo dalla così detta Terra dei fuochi, per noi questo piano non è una novità, così come non lo è per tutti quei territori che troppo spesso hanno dovuto scegliere tra salute e reddito, basti pensare ai fratelli e alle sorelle di Taranto.
Evidenziare questo nodo e costruire momenti di mobilitazione in questo senso può senz’altro rappresentare una svolta in questo momento storico.