Il valore del lavoro nella Costituzione

Immagine da http://www.democraziaoggi.it

Un contributo di Carlo Patrizi, membro del Gruppo Tematico Economia&Decrescita (*)

Nel mondo antico il lavoro era schiavitù, nel medioevo servitù con i suoi vincoli.

Nell’età comunale con le corporazioni, le botteghe e gli apprendisti e poi con il capitalismo mercantile prende corpo il lavoro salariato svolto, per lo più a domicilio, dalle frange più disperate e miserabili, praticamente senza tutele.

È con la rivoluzione industriale, l’impiego delle macchine, l’avvento della fabbrica che il lavoro viene organizzato, frammentato, sottoposto a una spietata vigilanza, con ritmi e turni devastanti e retribuzioni da fame. È in questo passaggio epocale, da una economia rurale a un’economia industriale, che ha inizio una nuova era di grandi migrazioni, con lo spopolamento delle campagne e la crescita esponenziale delle città, e, nel contempo, la presa di coscienza di classe dei lavoratori e la nascita delle società di mutuo soccorso e delle organizzazioni sindacali.

In questa fase di eroiche lotte e ricorrenti crisi sociali, le istituzioni sono costrette ad intervenire, pur se espressione di ceti privilegiati, per mediare tra le classi sociali e salvaguardare la stabilità se non la loro stessa sopravvivenza.

Le lotte dei lavoratori si concretizzarono in leggi migliorative del loro stato. Nel corso degli anni vennero regolati orari, turni, salari, infortuni, igiene, fasce deboli ecc.

Veniamo ora alla nostra Costituzione elaborata dopo la fine della guerra e il ventennio fascista, frutto del confronto tra la componente comunista-socialista, quella cattolica e quella liberale e del compromesso da esse raggiunto, a riprova che, se si vuole, anche forze politiche antagoniste, possono trovare accordi su questioni certo non secondarie.

L’aspetto fortemente innovativo, direi rivoluzionario, sta proprio nell’aver posto il lavoro alla base della stessa convivenza civile, considerandolo l’elemento fondamentale per i singoli e la collettività. Il lavoro non era più una merce, come fino ad allora veniva di fatto considerato, ma un valore primario, un diritto, fonte di dignità e realizzazione dell’individuo.

Costantino Mortati, sui cui testi si sono formati gli studenti degli anni 60, come me, lo considerò valore madre della costituzione insieme alla democrazia, lo strumento cardine per la realizzazione dell’autonomia, libertà, promozione e realizzazione della persona, nonché fattore di sviluppo delle comunità e della coesione sociale.

Per capire quanto la Costituzione fosse innovativa è necessaria inquadrarla nel periodo in cui fu promulgata e ricordare come non solo proponeva una nuova visione del lavoro, ma introduceva anche una nuova visione della sovranità attribuita al popolo, introducendo il suffragio universale.

L’Italia era allora un paese rurale. Ricordo la tragica vita dei contadini, poverissimi, analfabeti, con scuole lontanissime da raggiungere a piedi sotto la pioggia e nel fango, senza assistenza, senza servizi igienici, senza acqua diretta ecc. Sognavano il lavoro in città, nella fabbrica con il salario sicuro e, possibilmente, al chiuso. Per questo sopportavano vessazioni inaudite e discriminazioni vergognose (come gli odierni immigrati).  Fu ridicolizzata la zotica vita del contadino e si inneggiò alla cultura del lavoro in fabbrica e alla élite operaia (metalmeccanici in testa). Poi il femminismo e il lavoro come strumento di liberazione dal patriarcato.

Con il senno di poi è facile emettere sentenze. All’epoca nessuno avrebbe potuto mai immaginare quali straordinari mutamenti, e con quale velocità, si sarebbero verificati.

Di fatto quel progetto sul lavoro non è più attuale né attuabile sia per l’intervento delle nuove tecnologie che hanno radicalmente modificato il mondo del lavoro, sia per le politiche liberiste imposte dai mercati, sia per la concorrenza delle importazioni da paesi dove lo sfruttamento, se non la schiavitù, sono il sistema.

All’aumento della disoccupazione è corrisposto un restringimento delle garanzie e del welfare e, nel contempo, un ingiustificato arricchimento dell’alta finanza e delle multinazionali.

Con il prevalere dell’economia sulla politica il lavoro è tornato ad essere merce, e di scarso valore, con tutte le gravi conseguenze che la disoccupazione, la flessibilità e la precarietà comportano sul piano individuale e collettivo, che abbiamo sotto gli occhi.

L’obiettivo della piena occupazione, così come oggi è concepito il lavoro, è un traguardo inimmaginabile; d’altro canto i limiti allo sviluppo, per i gravissimi incombenti problemi ambientali e climatici, impongono una drastica riduzione di produzione di merci e di conseguenza una riduzione dei consumi. Che piaccia o meno è impossibile continuare nella logica magnificamente rappresentata da Tiziano Terzani con l’aforismo: “Oggi l’economia è fatta, per costringere tanta gente, a lavorare a ritmi spaventosi per produrre delle cose perlopiù inutili, che altri lavorano a ritmi spaventosi, per poter comprare, perché questo è ciò che dà soldi alle società multinazionali, alle grandi aziende, ma non dà felicità alla gente”.

Dunque la questione non è creare lavoro, ma come garantire alla comunità una vita felice lavorando meno, producendo meno, consumando meno, salvaguardando l’ambiente e perseguendo un modello di società equo e solidale.

In questa ottica si comprende come la green economy, che pretende di rilanciare la crescita, migliorando il l’uso di fonti energetiche, sia solo un disperato tentativo, di sicuro fallimento, di far sopravvivere l’obsoleta ed iniqua economia di mercato

La decrescita, invece, propone un diverso modello di società e, in questa, una nuova visione dell’idea stessa di lavoro: lavoro è qualsivoglia attività che produca valore e che soddisfi le necessità personali e collettive, siano esse attività d cura o retribuite. Queste ultime drasticamente ridotte, anche in termini di tempo, in conseguenza del contenimento dei consumi stante la dismessa produzione di merci inutili o dannose alla salute e all’ambiente e all’incremento delle attività di autoproduzione per il tempo “liberato” e per il recupero di preziose capacità anche manuali. In questa visione assume particolare rilevanza la collaborativa gestione dei servizi pubblici, della scuola, non più funzionale alle necessità del mercato, ma tesa a formare cittadini consapevoli, nonché il sistema fiscale e l’uso appropriato delle tecnologie e delle innovazioni.  Per approfondire questi aspetti è consigliata la lettura dell’Opuscolo Occupazione & Lavoro.

Tornando alla nostra Costituzione si potrebbe dire che aveva trasformato il lavoro da merce a valore, elemento essenziale per la realizzazione dell’individuo. Oggi, mutate le circostanze, il lavoro non è più un valore di per sé, ma deve considerarsi lavoro qualunque attività, comunque espletata, che crea, come risultato, un valore: valore per l’arricchimento della persona, della collettività e dell’ambiente.

(*) Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

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