“Estado fallido ya viene el estallido”. Radicali proteste sono scoppiate sabato pomeriggio in tutto il Guatemala contro il governo presieduto da Alejandro Giammattei: nella capitale oltre 15 mila manifestanti si sono ritrovati in Plaza de la Constitución dove hanno dato alle fiamme la sede del Congresso e si sono scontrati per ore con le forze dell’ordine.
Il malcontento contro Giammattei e la classe politica guatemalteca viene da lontano, da decenni di ingiustizie e povertà crescente, ed è stato trasformato in rabbia prima dalla crisi economica scatenata dalla pandemia che ha fatto aumentare la povertà e poi, recentemente, dal drammatico passaggio dei due uragani Eta e Iota che hanno seminato morte, distruzione e disperazione in tutto il paese e in tutto il centro America. Ma la scintilla per questo nuovo “estallido social” latinoamericano è stata l’approvazione della legge di bilancio per il 2021 votata martedì quasi di nascosto e senza essere discussa al Congresso. Una legge che colpisce in maniera pesante i settori più deboli della popolazione, favorisce le élite economiche del paese e garantisce i privilegi della casta politica corrotta. Infatti, nelle misure decise dal governo sono da segnalare i drammatici tagli al welfare, tra cui quello per la lotta alla malnutrizione (poi ritirato) e alla sanità. In contrapposizione a questi tagli che colpiscono la popolazione, il governo ha deciso un aumento delle indennità dei deputati e delle spese per le infrastrutture che beneficiano le imprese di costruzione. Ma non c’è solo questo: come denunciano i movimenti indigeni «con questo bilancio il Congresso vuole favorire i corrotti e finire di debilitare le istituzioni di pace e difesa dei diritti umani. È inaccettabile che il Congresso abbia assegnato 2629 milioni di quetzal all’esercito dopo tutte le atrocità commesse durante il conflitto armato e nemmeno un centesimo per la pace».
L’approvazione della legge di bilancio ha scatenato subito indignazione e disapprovazione in vari settori della società e dato il via all’organizzazione di una pronta risposta dal basso. Come riporta su Twitter la giornalista freelance Sandra Cuffe «politici, movimenti sociali, ONG e il difensore civico per i diritti umani hanno presentato reclami legali alla Corte Costituzionale». Inoltre, «cresce la richiesta al presidente Alejandro Giammattei di porre il veto al disegno di legge di bilancio, da diversi settori: accademico, imprenditoriale, movimenti sociali». Persino il vicepresidente Guillermo Castillo, il cui rapporto col presidente è teso da tempo, ha chiesto pubblicamente a Giammattei di dimettersi insieme a lui.
Nelle piazze invece l’appuntamento è stato lanciato per sabato pomeriggio. A scendere in piazza non solo la capitale ma anche le principali città del paese, come Quetzaltenango, Huehuetenango, Antigua Guatemala e altre, dove sono stati indetti presidi e marce di protesta, in alcuni casi sfociate anche qui in scontri tra polizia e manifestanti. Ma la manifestazione più importante e partecipata è avvenuta proprio a Città del Guatemala dove, già diverse ore prima dell’appuntamento migliaia di persone hanno riempito la centrale Plaza de la Constitución. Secondo fonti locali almeno 15 mila persone sono scese in strada a protestare.
La rabbia dei manifestanti si è subito rivolta verso il Congresso, considerato il simbolo della casta di corrotti, che è stato dato alle fiamme dai manifestanti. Nel corso delle proteste, anche una stazione del trasporto pubblico è stata data alle fiamme,
#GUATEMALA‘S CONGRESS IS LITERALLY ON FIRE RIGHT NOW: pic.twitter.com/A51CDLkzSI
— Sandra Cuffe (@Sandra_Cuffe) November 21, 2020
L’incendio, presto domato dai vigili del fuoco, ha scatenato la durissima repressione della polizia che con cariche e lacrimogeni ha attaccato i manifestanti in vari punti della città, compresi i manifestanti che pacificamente stavano manifestando in Plaza de la Constitución.
Gli scontri attorno al Congresso sono proseguiti per diverse ore. Secondo le notizie, ancora incerte, sarebbero numerose le persone rimaste ferite, El Periodico riporta almeno 14 feriti, dalle cariche e dai lacrimogeni della polizia e ci sarebbero anche diverse persone arrestate, almeno 40. A manifestazione ancora in corso, la Croce Rossa guatemalteca ha informato di aver assistito almeno trenta persone (saranno il doppio a fine manifestazione), di cui due sono state successivamente trasportate in ospedale. Secondo la Procuradoria de Derechos Humanos, una persona ha perso un occhio mentre una seconda ha subito un intervento chirurgico alla testa per fermare un’emorragia cerebrale e per cercare di recuperare un occhio ferito.
Enfrentamiento frente al congreso pic.twitter.com/YJxClKNkmC
— Sonny Figueroa (@Sonny_Figueroa) November 21, 2020
Il presidente Giammattei dal canto suo diverse ore prima della manifestazione ha provato a spegnere il fuoco della rivolta annunciando l’incontro con settori sociali per discutere insieme le proposte di modifica della legge. Le sue parole tuttavia non hanno ottenuto nessun risultato, tanto che tra le prime azioni di giornata c’è stata proprio la presa e il successivo incendio del Congresso. A seguito di questo fatto ha dichiarato che, pur riconoscendo il diritto di manifestare, la legge punirà duramente i responsabili dell’incendio. Parole, come sempre, piene di retorica che contraddicono l’azione sul campo delle forze dell’ordine che hanno deliberatamente attaccato soprattutto quei settori che pacificamente manifestavano in Plaza de la Constitución: la Procuradoria de Derechos Humanos ha infatti denunciato la repressione violenta delle forze dell’ordine e chiesto la destituzione del Ministro di Governo e del Direttore Generale della Polizia.
Lo scoppio di questa nuova rivolta sembra solo l’inizio di un altro lungo processo di cambiamento dal basso, molto simile per le caratteristiche presentate, a quelli che nell’ultimo anno sono scoppiati in altri stati della regione, a cominciare dal Cile. A determinare il malcontento sfociato in rabbia infatti vi è una situazione economica e sociale disastrosa, il persistere dei privilegi e l’arricchimento sfrenato di pochi eletti, la corruzione dilagante. La contemporanea “chiusura” delle frontiere, o per meglio dire la criminalizzazione delle carovane migranti degli ultimi anni come ordinato dall’amministrazione Trump, ha di fatto costruito una trappola di miseria, e spesso violenza, per la popolazione che ora, non avendo più nulla da perdere forse ha capito che l’unica speranza di costruire un futuro più dignitoso è la lotta. Tutti questi elementi, hanno determinato l’inizio della protesta che vede nell’attuale presidente il simbolo da contestare ma che ha ben chiaro che è il sistema di sfruttamento delle classi più deboli che si perpetua da anni il nemico da combattere.
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