Cosa conta di più, una vittoria schiacciante con il 68% delle preferenza o un’affluenza del 31% ai minimi storici? Le elezioni amministrative per il rinnovo dell’Asamblea Nacional venezuelana che si sono svolte domenica scorsa hanno lasciato irrisolto il problema centrale: la crisi venezuelana è ben lontana dall’essersi risolta con questa ultima tornata elettorale.
La giornata elettorale si è svolta senza particolari problemi legati all’ordine pubblico. A farla da padrone è stato, come detto, l’astensionismo anche se lo stesso presidente Maduro, ad elezioni in corso, aveva annunciato pubblicamente di posticipare di due ore la chiusura dei seggi per permettere a tutte le persone in coda ai seggi di poter esercitare il diritto di voto.
La vittoria del Gran Polo Patriotíco, l’alleanza che sostiene Maduro, era abbastanza prevedibile per l’oramai conclamata incapacità della divisa e litigiosa opposizione venezuelana di rappresentare un’alternativa credibile. Come ricorda l’analista politico Lucio Garriga Olmo in questo articolo, l’opposizione era divisa in tre settori: «il primo è quello di Guaidó che può contare nell’appoggio internazionale ma che ha perso il sostegno sociale di fronte alle promesse non compiute di far cadere Maduro dopo tentativi falliti di golpe e di incentivare sanzioni internazionali che hanno solo peggiorato la vita quotidiana. Il secondo è quello del presidente – come Guaidó – di una conduzione parallela dell’Asamblea Nacional, Luis Parra, che ha mantenuto contatti con il chavismo attraverso la “Mesa de Diálogo Nacional” e che ha partecipato ai comizi. Il terzo è quello dell’ex candidato presidente Henrique Capriles, che aveva annunciato di presentarsi ma che alla fine ha desistito perché il comizio elettorale non è stato posticipato come richiesto sotto la supervisione dell’Unione Europea».
Oggi Maduro canta vittoria: «noi sappiamo vincere e perdere, e oggi abbiamo vinto, Venezuela ha vinto una nuova Asamblea Nacional». E dal suo punto di vista ha ragione dal momento che la vittoria alle amministrative segna un punto strategico molto importante per il suo governo, che in questo modo ritorna a controllare il potere legislativo sfuggitogli di mano cinque anni fa quando le opposizioni di destra riuscirono a vincere le elezioni con il 56% dei voti. A quella sconfitta Maduro rispose creando un’assemblea nazionale costituente che aveva l’unico scopo di depotenziare il consesso appena perso e l’anno scorso organizzando un’imboscata al rivale Guaidó per il rinnovo della presidenza dell’Asamblea con il risultato di creare due presidenze – quella di Guaidó e quella di Parra – e due assemblee contrapposte, divise e più deboli.
Risultati che l’opposizione guidata da Guaidó rifiuta, considerando le elezioni una farsa. L’autoproclamato presidente ad interim nonché autoproclamato presidente dell’Asamblea Nacional, non si è presentato alle elezioni rifiutando ancora una volta il dialogo e di partecipare alle elezioni con le “regole” di Maduro (che controlla gli organi elettorali) ma ha lanciato per la settimana successiva alle elezioni una consulta popolare online che punta a screditare le elezioni. Ai venezuelani verrà chiesto se vogliono “elezioni presidenziali e parlamentari libere, giuste e credibili”, se “rifiutano l’evento del 6 dicembre” e se vogliono “chiedere appoggio alla comunità internazionale per salvare la democrazia”. Persa la “giustificazione istituzionale” per Guaidó si apre ora una nuova fase di opposizione “callejera” sempre tenendo conto però che sono ancora una cinquantina gli stati che lo appoggiano e sostengono. Proprio su questo appoggio è intervenuto l’ex presidente spagnolo Zapatero, in Venezuela in questi giorni nelle vesti di osservatore internazionale, secondo cui l’Unione Europea deve iniziare a riflettere sulla sua posizione per evitare l’assurdo secondo cui si arrivi a dire che in Venezuela non c’è parlamento, né presidente, né istituzioni. Parole evidentemente passate sotto silenzio dal momento che l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione, Borrell, ha mantenuto la posizione di opposizione a Maduro dichiarando che l’Unione Europea non riconosce l’esito delle elezioni per la mancanza di requisiti minimi di trasparenza richiesti.
Tuttavia è l’astensionismo il vero vincitore di queste elezioni, nonostante il tentativo di Guaidó di intestarsi il non-voto e, dall’altra parte, i proclami trionfanti di Maduro. Astensionismo che non è ascrivibile in toto a una parte politica soltanto ma è espressione di un malcontento diffuso contro la casta politica che continua a fare della crisi uno spettacolo dei propri interessi. E i dati elettorali lo dimostrano: nonostante la schiacciante vittoria, lo zoccolo duro bolivariano va riducendosi, stanco di un governo sempre più corrotto e legato a dinamiche autoritarie, clientelari e repressive, incapace di progettare una via d’uscita a una crisi economica che ha ripercussioni drammatiche sulla vita quotidiana di milioni di persone. Gli oppositori del governo di Maduro non sono solo a destra, ma crescono anche in ambienti progressisti e di sinistra: Emiliano Terán Mantovani, sociologo e membro del Observatorio de Ecología Política de Venezuela ha commentato così su Twitter la giornata delle elezioni: «Non lasciarti ricattare se la tua decisione oggi fosse quella di non votare. Non lasciare che ti dicano che non è un atto politico. E non dimenticare mai che i sistemi politici tremano nelle strade, nel fervore delle proteste e delle mobilitazioni popolari. I nostri sogni non stanno nelle loro urne».
Le elezioni, lungi dal chiudere questa fase di instabilità cominciata cinque anni fa, lasciano aperta la partita e anzi sono potenzialmente il preludio di nuove tensioni: cosa succederà il 5 gennaio quando dovrà insediarsi la nuova assemblea? Quale sarà la risposta della destra venezuelana che come abbiamo visto in questi ultimi anni ha alleati potenti, capacità di mobilitazione e nessuna remora a utilizzare la violenza? Quale sarà la contro risposta del governo di Maduro? Interrogativi che lasciano tanti dubbi e un’unica certezza: il cammino verso l’uscita dalla crisi politica è ancora lungo e passa necessariamente anche attraverso un’autocritica e un passo indietro del chavismo.