Backstop. Dopo la sospensione dell’iter da febbraio e con i nuovi scenari economici da seconda o terza ondata, l’accelerata sul Mes ha una motivazione?
A fine 2019 le cronache politiche si accorsero di un oggetto non ben identificato: il Mes, Meccanismo europeo di stabilità. Pochi si ricordavano da dove venisse e come fosse stato creato, l’unica cosa chiara era il posizionamento politico: le destre nettamente contrarie, il governo favorevole, in primis il Pd. Allora si parlava della riforma di tale istituzione (con un rimpallo di accuse piuttosto vivace) che non venne completata, anche per i tempi pachidermici delle modifiche istituzionali comunitarie. Dopo dieci mesi in cui le opposte tifoserie non ne avevano più sentito parlare, rispunta fuori: l’eurogruppo (la riunione dei ministri delle Finanze dell’eurozona) approva la riforma. Purtroppo uno dei punti salienti della riunione riguarda un’altra entità piuttosto misteriosa, il «backstop» per le banche, riguardante l’Unione bancaria. Di che si tratta?
Sia il Mes che l’Unione bancaria sono figli della crisi dei debiti sovrani del 2009-10. L’uno è il famoso fondo salva-stati istituito nel 2012 che dovrebbe innaffiare di soldi gli Stati che si trovano in una situazione di instabilità finanziaria. L’altra è un insieme di regole comuni per le banche che dovrebbero (ma ci sono tanti dubbi) renderle più sicure per i risparmiatori e più forti di fronte alle crisi. L’uno è un soggetto ben determinato, l’altra un insieme complesso di regole e di nuovi organismi articolati su tre pilastri : la vigilanza unica, una modalità di salvataggio unitaria, e una garanzia sui depositi identica per tutta l’eurozona. La logica sarebbe di rendere tutte le banche (o le più grandi) «europee», in maniera da far sparire le distinzioni fra banche di serie A e B in ragione del prestigio e della potenza del loro Stato di appartenenza.
La «modalità di salvataggio» entra in gioco quando ci sono problemi grossi, quando ci sono concrete possibilità di fallimento; in quel caso un organismo chiamato Single Resolution Board, che decide se e come salvare le banche in crisi. Ma se si decide di salvarle (che in genere significa «innaffiare di soldi») con che fondi si fa? È qui che entra in scena il «colpo gobbo» sul Mes. Vediamo come.
Per i salvataggi è stato istituito un fondo (chiamato Single Resolution Fund) finanziato dalle banche stesse che stando alle ultime comunicazioni avrebbe in pancia solo 33 miliardi di euro. In caso di una crisi bancaria molto probabilmente non basterebbe. La soluzione sarebbe di far prestare i soldi dal Mes, che potrebbe disporre in tempi brevi di somme più ingenti (la dotazione sarebbe di 700 miliardi). Uno dei punti salienti dell’eurogruppo del 30 novembre è stato proprio costruire questo collegamento, anticipando l’entrata in vigore del tutto dal 2024 al 2022. È a questo che si riferisce l’espressione backstop (che significa «rete di protezione»).
Si possono fare diverse considerazioni: quali saranno i criteri in base a cui si deciderà se salvare o no gli istituti, e se non si dovrebbe invece nazionalizzarli salvando depositanti e lavoratori ma rimandando a casa proprietari e manager ; o quanto sia controllabile democraticamente l’operato di un ente (Mes) che venendo sovvenzionato dagli Stati usa tali fondi per chiederne in prestito altri ai mercati finanziari, e poi li presta ad un altro fondo, gestito da un comitato ristretto di personaggi legati all’establishment bancario (la presidente Elke Konig viene dai vertici della autorità di vigilanza della Repubblica federale tedesca, dopo una carriera nel settore privato).
Ma la vera domanda è se dopo la sospensione dell’iter da febbraio questa accelerata abbia una motivazione: dopo la recrudescenza del Covid alcuni scenari previsti dal Fondo monetario internazionale in caso di una «terza ondata» sono così brutti da poter prefigurare una crisi bancaria con carico di insolvenze. Forse l’ottimismo sbandierato in pubblico non viene condiviso proprio da tutti nella «nuova Ue» guidata da Ursula von der Leyen.