Tonguessy
Tic tac, tic tac, cosa sta misurando esattamente l’orologio? Mentre un contatore Geiger emette un tic ogni qualvolta una particella carica attraversa il sensore, nel caso dell’orologio non vi è nulla di fisico né vi sono sensori. È un esempio straordinario di cosa significhi la reificazione, ovvero il portare sul piano reale cose che reali non sono né possono esserlo. Peraltro con una linearità di parametri da lasciare interdetti: doppia base dodecimale per le ore suddivise in antemeridiane e postmeridiane, poi divisione sessagesimale per i minuti e per i secondi per poi passare finalmente alla base centesimale. Aumentando la scala assistiamo a numeri di giorni variabili in funzione dei mesi e di nuovo l’anno diviso in modo dodecimale, con tutti i problemi legati ai vari calendari. Mi ricorda la vecchia divisione delle monete inglesi, impossibile da memorizzare per un turista degli anni passati. Mi chiedo: visto che è tutto virtuale, farlo più semplice non era proprio possibile? Capisco che ogni evento importante come solstizi ed equinozi contino un numero più o meno preciso di giorni tra un evento ed il successivo, ma tutto il resto?
L’evoluzione del concetto di tempo è un processo storico molto chiaro: il passaggio da circolare a lineare frazionato in modo improbabile è legato all’inurbamento ovvero alla nascita e creazione di quella borghesia che porterà il capitale ed il mercato a regolare le nostre esistenze. Le torri con gli orologi iniziano a svettare per scandire i ritmi urbani, sempre più distanti da quelli rurali già nel ‘200. L’epoca dei comuni favorisce questo tipo di approccio al tempo grazie alle disponibilità economiche e alle volontà di sfoggio delle signorie di quei secoli. Questo è il motivo per cui in Italia è presente circa il 50% dei tesori architettonici mondiali.
L’inurbamento porta a città fortificate regolate da precise economie sempre meno cicliche e sempre più lineari. Talete diede alla vita urbana la misurazione dello spazio: i mercanti di Mileto volevano conoscere la distanza delle navi dal porto e Talete riuscì con il suo teorema a misurarla. È lì probabilmente che nasce la relazione tempo-spazio: conosciuto lo spazio e la velocità si calcola il tempo di percorrenza. Parlando di navigazione: nell’Inghilterra del ‘700 le rotte verso le indie erano quanto meno difficoltose a causa dell’imprecisione nel calcolo della longitudine, fatto che convinse il parlamento a stanziare una somma favolosa per chi fosse in grado di produrre un cronografo, ovvero un orologio molto preciso. Il premio andò a John Harrison, e da allora le navi si muovono con precisione verso le mete grazie al calcolo del tempo unito alle bussole.
Il capitalismo ha bisogno del tempo lineare, misurabile e spesso miserabile, che permetta alla freccia della modernità e postmodernità di sfrecciare verso un futuro sempre più radioso e tecnologico, zeppo di scienza con o senza virus. Senza tempo il capitalismo è morto perché, come ricordava B. Franklin, il tempo è denaro, dando la stura a quel processo di neoliberismo legato al puritanesimo da destino manifesto che ha sempre visto i paesi anglosassoni in prima fila nel tessere quella tramatura che attraverso thatcherismo e reaganomics ci ha condotti fino a qui. Tramontato grazie a costoro il bel sol dell’avvenir, ecco a voi il bel sol della crescita continua, zeppa di costanti e rutilanti novità tecnologiche che permetteranno di sostituire nel giro di pochi anni il 36,8% dei lavoratori con macchine, arrivando al 49% nel 2065 e con una crescita di produttività.[1, 2]
Il tempo è denaro perché le HFT (High Frequecy Trading, grosse speculazioni borsistiche che avvengono sul filo dei nanosecondi), possono avere luogo solo se la distanza dalla borsa centrale (e quindi il tempo di intervento tramite algoritmi) è la più piccola possibile, dimostrando ancora come tempo e spazio siano indissolubilmente legati al capitale.
È il tempo disumano che dall’avvento della Modernità regola le nostre esistenze così come magistralmente descritto da Chaplin in “Tempi moderni”, realizzazione del fordismo-taylorismo ovvero delle buste paga che permettono ai lavoratori di acquistare le merci prodotte da loro stessi mentre vengono ottimizzati i loro tempi di esecuzione, sempre più frenetici.
Mentre il tempo circolare ritorna, quello lineare no, se ne va lì dove vuole la narrazione manovrata dal capitale e dai desiderata delle elites, ammantando il proprio percorso di meravigliosi effetti speciali.
La ragione è sufficientemente semplice: il tempo circolare appartiene all’agricoltura, alle stagioni di semina e raccolta, ai cicli di vita e morte che il tempo lineare dell’industria e ancor più del terziario rifugge spianandolo. E l’agricoltura è passata da assorbire il 90% della forza lavoro all’attuale 2%, con tutte le conseguenze anche filosofiche del caso. La crescita infinita non è ciclica, ma tende all’infinito appunto, una quantità che non esiste ed è umanamente impossibile da realizzare nonostante Platone e le sue manie. Oggi si parla spesso del Grande Reset, indicando ancora una volta una qualità espressamente virtuale, quella dell’evitata morte (bancaria e borsistica in questo frangente) figlia legittima dei sermoni sull’immortalità e sull’eternità di Platone; ovvero la capacità tutta digitale di morire per finta e vivere per sempre. Il tempo lineare esegue magistralmente il compito assegnatogli, ed esorcizza una volta per sempre l’unico evento che mette sullo stesso piano re e pezzenti: la morte.
La cosa stupefacente è che tutto questo nasce dal nulla. Lucrezio afferma che “il tempo non esiste di per sé” e secondo E. Klein, professore presso l’Ecole Centrale di Parigi, “si postula che esista, indipendentemente dai fenomeni; si prende atto che scorre senza precisare né la sua natura, né cosa lo faccia scorrere”. Per H. Bergson “il tempo è un’invenzione o non è assolutamente nulla”. L’astrofisico Thibault Damour poi ha un’idea chiara: “il corso del tempo non dipenderebbe dalla fisica, bensì dalle scienze cognitive”[3] fatto che rende poco chiaro il Big Bang, un avvenimento successo ipoteticamente 14 miliardi di anni fa e che 10^-37 secondi dopo diede inizio all’espansione dell’universo. Nel pensiero di A. Einstein: “Il tempo non è affatto ciò che sembra. Non scorre in una sola direzione, e il futuro esiste contemporaneamente al passato”. Non solo: “Ci sono molte ragioni per essere attratti da una teoria che non contenga né spazio né tempo. Tuttavia nessuno sa come costruirla”. Peccato, forse sarebbe stato il rimedio perfetto.
Tempo umano e tempo disumano: miliardesimi di secondo di miliardi di anni fa sono più fenomeni da “Cogito ergo sunt” (li penso quindi esistono) che umana percezione. Quindi ha ragione Damour, è tutto un costrutto mentale dai risvolti sociologici impressionanti: tutto ciò che ci sta attorno è solo frutto del lavoro delle nostre menti, peraltro facilmente manipolabili come il Covid dimostra.
Il tempo della modernità è il tempo/tempio della velocità (record sportivi sul filo dei centesimi di secondo, vite impacchettate per riuscire a timbrare il cartellino, pranzi veloci per rientrare subito in ufficio etc.) e la velocità è sempre una derivata rispetto al tempo, il che rende l’argomento circolare: non si sa cosa sia ma lo trascorriamo con angosciato impegno. Viviamo velocemente perché crediamo nel tempo, perché dal medioevo ci hanno insegnato a conoscere ciò che non esiste per creare la base a quell’immensa serie di credenze e valori che si chiama capitalismo. Il tempo è denaro, e tutto ruota attorno al denaro. Cioè al tempo.
“Il tempo è sempre di più la manifestazione chiave dei processi di estraniamento ed umiliazione che caratterizzano la vita moderna”
John Zerzan
[2]https://www.lettera43.it/robotizzazione-i-numeri-della-rivoluzione/?refresh_ce
[3]E. Klein: “Il tempo non suona mai due volte”