Il “crackdown” sulle libertà individuali in Turchia è in corso da molto tempo ma nell’ultima settimana 3 pesanti accuse hanno risvegliato l’attenzione verso il paese anatolico e la sua pratica di privazione indiscriminata delle libertà fondamentali.
Lo scorso mercoledì 23 Dicembre una corte del tribunale di Istanbul ha condannato il giornalista Can Dündar a 27 anni di prigione con l’accusa di supportare il terrorismo e di spionaggio politico e militare. La sua colpa? Aver pubblicato nel quotidiano Cumhuryet, di cui era capo editore, un reportage che mostrava il passaggio di attrezzature militari e armi dalla Turchia alle zone controllate dagli jihadisti e dall’Isis in Siria. Con quell’inchiesta svelò al mondo una verità che molti già sapevano ovvero che la Turchia, attraverso i suoi Servizi Segreti, forniva aiuto concreto alle milizie che oltre confine si opponevano al regime di Assad e, allo stesso tempo, assediavano la Rivoluzione Confederale nel Nord Est della Siria.
Il caso di Can Dundar è da anni il paradigma dell’assenza totale di tutele e diritti per chi in Turchia, e in tutto il mondo in generale, prova a raccontare la verità senza i filtri imposti dai governi e dalle censure. Il suo caso è molto esemplificativo anche di come un regime come quello del Presidente Erdogan non deponga le armi e cerchi di andare fino in fondo in tutte le questioni che riguardano la sua immagine, e l’immagine della Turchia stessa verso l’esterno. Ma soprattutto dimostra come venga perseguito sistematicamente ogni tentativo politico di messa in discussione della linea politica imposta dal presidente e dal suo partito.
Il caso giudiziario di Dundar è forse l’esempio più fulgido di quanto la stampa libera possa far male ad una stretta di regime. Dündar, infatti, era già stato colpito più volte dalla giustizia turca in quanto penna dissidente: una prima condanna a 18 anni e 9 mesi, con l’accusa di spionaggio, ed un’altra a 8 anni e 9 mesi per l’aiuto ai seguaci del religioso in esilio Fethullah Gulen, il mandante, secondo il governo di Ankara, del fallito colpo di stato del 2016.
Per la questione riguardante il reportage sul passaggio delle armi in Siria Can Dündar è stato arrestato nel 2015 insieme al capo della sezione di Ankara del suo giornale Erdem Gul: entrambi sono stati condannati inizialmente a 5 anni.
Il servizio fece andare su tutte le furie il presidente Erdogan, che promise una durissima punizione per gli autori della notizia che svelava di fatto la linea politica turca in Siria. La coppia di giornalisti venne poi rilasciata in attesa di appello, ma Dündar ricevette nel mentre una nuova condanna, questa volta di 6 anni, nel maggio 2016, per aver ottenuto e rivelato documenti relativi alla sicurezza dello Stato. Ancora più clamoroso fu, se già ce ne fosse bisogno, il tentativo di omicidio avvenuto nei suoi confronti davanti al tribunale di Istanbul mentre si recava ad un’udienza: un uomo armato di pistola esplose due colpi nella sua direzione, ma solo il pronto intervento della moglie evitò un tragico epilogo.
Nel contesto di una crescente minaccia alla sua incolumità personale e l’ombra di nuove condanne all’orizzonte hanno spinto Can Dündar all’esilio forzato in Germania, dove vive da qualche anno braccato da una richiesta di estradizione che finora non è stata accolta dal governo tedesco.
Il caso di Dündar, e l’ultima condanna a 27 anni, sono un chiaro esempio di come il potere possa mettere il bavaglio alla stampa e ai mezzi di informazione in generale. La Turchia al momento è il secondo paese al mondo per numero di giornalisti detenuti nelle carceri con 37, seconda solo alla Cina. Ma questa non è una novità in un paese che da anni combatte una guerra senza esclusione di colpi contro chi si oppone al pensiero del presidente Erdogan. Abbiamo innumerevoli volte assistito a chiusure forzate di redazioni, ad arresti arbitrari e condanne per fantomatico terrorismo di centinaia di reporter e media attivisti.
Ma tutto ciò non può più essere una sorpresa. La condanna di Dundar avviene nella stessa settimana in cui Leyla Guven, parlamentare del Partito Democratico dei Popoli HDP, all’opposizione, viene condannata a 22 anni di carcere per partecipazione ad un’organizzazione terroristica e per incitamento alla partecipazione di riunioni illegali e nella stessa settimana dove la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condanna la Turchia all’immediata liberazione di Selahattin Demirtas, ex co-presidente dell’HDP, in carcere dal novembre 2016 con diversi capi di accusa sempre legati al terrorismo, ma senza una condanna formale.
È sempre più chiaro che le false democrazie del Medio Oriente e del Mediterraneo orientale si sono trasformate in autocrazie nelle quali la pratica della lesione dei diritti è pane quotidiano. È altresì vero che senza un’opposizione libera di denunciare i malaffari della politica di governo non ci sarà mai una vera e propria libertà. In questo contesto la libertà di stampa, sancita come manifestazione fondamentale delle libertà individuali, ricopre un’importanza ancora maggiore.
Preservare la libertà di cronaca e quindi la libertà di Can Dundar diventa un dovere di coloro che credono nelle libertà.