Tutti i colori dell’idrogeno

Se è vero che il capitalismo è l’insieme di molteplici capitali in concorrenza tra loro, allo scopo di strapparsi l’un l’altro quote sempre più residue di profitto, questo a volte si nega quando c’è da spartire una torta molto grossa. È il caso del Recovery Fund europeo, che dispensa miliardi di euro a pioggia sul presunto passaggio alla green economy da parte dell’industria estrattiva.

Emblematica, in tal senso, la corsa all’oro “verde”, vale a dire l’idrogeno, spiegato e raccontato come nuova fonte energetica compatibile con l’ambiente. Per sua natura l’idrogeno è un elemento totalmente ecologico e sarebbe di per sé una fonte energetica inesauribile e pulita. Cambia “colore” quando entra nei condotti del capitalismo estrattivo, negli impianti chimici e nelle reti gas delle compagnie petrolifere. E diventa blu, grigio e nero, a seconda della materia composita da cui lo si vuole estrarre, isolare e poi immetterlo nel circuito monopolistico, a tutto profitto delle multinazionali.

Come un Re Mida esse trasformano in letame luccicante un bene proprio del Bios, appropriandosene in maniera fraudolenta per il solo fatto di possedere investimenti e mezzi di produzione e trasformazione[1]. Il liberismo ha creato mostri predatori capaci di strappare la vita dal vivente: è di pochi giorni fa la notizia che l’acqua, nel suo concetto astratto, è stata quotata in borsa come elemento primario, al pari del vento che spira sulle pianure o del fuoco scaturito dalla scintilla del fulmine, della terra in quanto manto geologico. Siamo al teatro dell’assurdo per quanto appena scritto e per quanto ipocritamente dichiarato dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che fissa al 2050 la soglia temporale entro la quale tutta la produzione energetica europea verrà convertita a idrogeno verde.

Nel frattempo, però, esso potrà essere prodotto con la filiera del fossile a partire dal gas, ovviamente per non intaccare gli investimenti fatti in questi ultimi dieci anni da parte di Eni & Co. Il Consiglio Europeo dello scorso 11 dicembre ha quindi ripiegato sull’idrogeno “ricompensato” dal gas, in attesa del grande passo che avverrà nel futuro remoto. Da ciò è facile intendere e smascherare il progetto dell’Eni di costruire nel sottosuolo a ridosso di Ravenna il più grande deposito europeo di stoccaggio di CO2, cioè il principale prodotto della combustione del carbone, degli idrocarburi e in genere di tutte le sostanze organiche.

Dunque l’idrogeno da verde diventa blu con un colpo di mano del tutto pretestuoso, capace però di alludere e illudere coloro, sindacati in testa, che intendono ancora una volta delegare salute, cura e beni comuni.

Da questo punto di vista non viene scalfito minimamente il concetto di proprietà dei mezzi di produzione: anzi, dentro questo panorama di crisi generale dovuto alla sindemia da virus, questi vengono sovrapposti letteralmente ai beni primari del pianeta diventandone “custodi protempore” di un tempo x, a spregio di milioni di persone che in questi anni hanno manifestato per una giustizia climatica. Ecco servito il Green Deal a immagine e somiglianza del processo storico al tempo dei virus: sfruttamento intensivo delle risorse naturali spacciate come cura del pianeta malato. In realtà il capitalismo estrattivo non ci pensa minimamente ad abbandonare il fossile: carbone, petrolio e recentemente il gas rimangono saldamente in testa nei rapporti di interdipendenza tra imperi, nonostante la profonda crisi che attraversa il mercato a dispetto degli sforzi, spesso drogati, a sostegno del prezzo del greggio al barile fatti da parte dei vari Stati-impresa.

Altra cosa è la ricerca affannosa della indipendenza energetica tutta interna alle dinamiche competitive che investe il carattere proprio degli Stati-impero. La Germania liberal-democratica della Merkel/Von der Leyen ha impresso una forte spinta a favore delle fonti gas ed è in programma a breve termine dotare il porto di Amburgo di energia non prettamente derivata dal petrolio. Da questo punto di vista si può intravedere una Europa a due velocità, dentro cui si dipana l’interesse strategico proprio per l’oro blu – l’acqua – il cui accaparramento riguarda tutto il settore estrattivista, dagli allevamenti alle monocolture intensive (olio di palma, vigneti, grano e sementi trans genici e relativo processo di desertificazione), dalle megalopoli assetate passando per la produzione energetica e lo smaltimento dei rifiuti (vedi termovalorizzatori e impianti di raffreddamento). Fa impressione sentire il silenzio assenso creatosi attorno alla indicibile azione borsistica dell’acqua, una vera e propria infamia per come è venuta a cadere dentro il contesto storico in cui viviamo. Fu profetico chiamare i capitalisti «padroni del vapore»!

Il panorama che si sta delineando è davvero impressionante e paurosamente catastrofico, alla faccia di tutti gli accordi farsa mondiali volti ad impedire il surriscaldamento globale. Tutti i gas serra ne sono responsabili, a partire dal gas metano e tutti i gas di scarico emessi dalle ciminiere degli altoforni, compresi gli inceneritori che presto o tardi richiederanno la messa in funzione di nuove linee sempre più performanti ed a bassissimo indice di emissioni.

Il panorama che si sta delineando è proprio ciò che il capitalismo estrattivo chiama già oggi Green Deal.


Condividi questo contenuto...

Lascia un commento