Finita la tempesta mediatica e la corsa a chi meglio scriveva di cosa fosse simbolo Agitu Ideo Gudeta, a distanza di più di una settimana dalla sua uccisione fanno eco titoli di testate giornalistiche che restituiscono un ritratto assolutamente oltraggiato di una donna resistente a cui sicuramente dobbiamo molto.
La sua vicenda conferma per l’ennesima volta che in Italia abbiamo un grandissimo e gravissimo problema con le narrazioni, in particolar modo quelle mainstream.
Le cose da dire sarebbero talmente tante che, per chi scrive, mettere ordine nel caos che le determina è ardua impresa.
La prima precisazione che va fatta è che è stato femminicidio. A dirlo sono i fatti: Agitu Ideo Gudeta, donna di 42 anni, è stata colpita alla testa da diverse martellate inflitte intenzionalmente da Adams Souleimani, uomo ghanese di 32 anni, che dopo averla colpita e resa agonizzante, l’ha violentata mentre moriva. Il movente: un mancato pagamento di prestazioni lavorative.
Come ogni femminicidio che si rispetti, il commentatore uomo non tarda a spettacolarizzare l’omicidio, appellandosi a una furia irrazionale e incontrollabile che scatena la violenza, giustificandola. L’uccisione di Agitu Ideo Gudeta si aggiunge così alla lista di innumerevoli esempi di narrazione tossica sessista e patriarcale tale per cui la vittima diventa carnefice, e viceversa. In fondo, era la donna che doveva al suo dipendente dei soldi.
Come ogni femminicidio che si rispetti, il caso viene portato all’attenzione dei mass media troppo tardi, quando la donna muore.
Due anni fa, infatti, Agitu Ideo Gudeta era stata vittima di persecuzioni da parte del suo vicino di casa, che la minacciava continuamente appellandosi a lei come “negra di merda”.
In questa circostanza, la vittima non trovò solidarietà alcuna, tantomeno da parte dell’istituzione legislativa italiana, cioè il tribunale di Trento, il quale negò l’aggravante razziale richiesto dalla difesa durante il processo. La condanna del molestatore, seppur parziale, non venne giudicata notizia degna d’attenzione mediatica.
La morte della donna è stata, invece, compianta da tantissime voci (quasi) tutte aventi lo stesso schema narrativo: Agitu, la ragazza-pastore della Valle dei Mocheni, ex studentessa di sociologia ha trovato asilo grazie all’Italia, che l’ha salvata dalla persecuzione del governo etiope e le ha permesso di dare forma e sostanza al suo sogno imprenditoriale. Così Agitu diventa improvvisamente un simbolo di integrazione.Ma di quale integrazione stiamo parlando? Di quale Stato accogliente e salvifico?
La vicenda di Agitu Ideo Gudeta è frutto perfettamente maturo di un sistema di “accoglienza” strutturalmente debole e fallace, fatto apposta per adeguarsi a dettami politici che lo plasmano a favore della maggioranza di turno, rendendo in ogni caso i corpi delle soggettività migranti un terreno di scontro il cui prezzo da pagare ricade su loro stessi.
E così Agitu Ideo Gudeta non è più, agli occhi del pubblico italiano, un’attivista che ha resistito attivamente al landgrabbing delle multinazionali in Etiopia (pratica colonialista molto cara agli imprenditori italiani, sarà forse per questo che non è citata dai giornalisti?).
Per normalizzarla, renderla conforme ai giusti dettami capitalistici e patriarcali, occorre dunque infantilizzarla, cioè renderla docile agli occhi di chi legge, edulcorare l’amara verità che una donna nera ce l’ha fatta con le proprie forze.
Non solo: Agitu Ideo Gudeta dimostra che per una persona qualificata, con un solido percorso di studi alle spalle, appetibile quindi al mercato del lavoro neoliberista occidentale, i porti dell’Italia sono più che aperti!
E così la morte di Agitu Ideo Gudeta per un giorno fa dimenticare a una nazione intera tutti i problemi legati agli effetti di politiche migratorie inadeguate e ai criminali accordi con Turchia, Libia e Slovenia, i decreti Salvini modificati ma mai del tutto cancellati, la relativa produzione legale di illegalità funzionale allo sfruttamento lavorativo, i diritti civili e politici da sempre negati alle seconde generazioni.
Ma forse, la storia che tristemente Agitu Ideo Gudeta più ci insegna, è che il sistema patriarcale e capitalista dall’alto del suo privilegio si arroga il diritto di categorizzare le persone migranti, di servirsi del proprio potere legislativo decidendo qual è il confine fra regolarità e irregolarità, a chi dare diritti e a chi no, e soprattutto legittima il ricatto a cui esso stesso sottopone.
Se contribuisci alla produzione di capitale e/o alla riproduzione dello stesso mercato lavorativo che ti opprime e ti censura, allora ti meriti un posto in paradiso anche se sei donna, anche se sei nera.
Fonti: