Un commento sul position paper di B’Tselem che bolla Israele come “Stato di apartheid” di Norman G. Finkelstein. Traduzione a cura di Dario Fichera. In seguito il link dell’articolo originale.
Negli ultimi due decenni, molti individui e rispettabili organizzazioni hanno etichettato il regime che Israele ha stabilito nei territori palestinesi occupati – la Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza – come una forma di apartheid. Alcuni di questi individui ed organizzazioni hanno spesso etichettato come apartheid il regime che Israele utilizza in tutta la Palestina storica, vale a dire dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo.
Chi scrive ha esitato a lungo nell’utilizzare quest’ultimo concetto, andando oltre l’ampio consenso che designava i Territori Palestinesi Occupati un regime di apartheid, continuando a ritenere più corretta la descrizione giuridica del regime all’interno della “Green Line” (confine dell’accordo di armistizio del 1949, ndt).
Tuttavia, durante il lungo processo di ricerca di Diritto Internazionale per la redazione dell’appendice al mio ultimo libro “Gaza: An Inquest into Its Martyrdom”, alla fine mi sono convinto che l’intera area “dal fiume al mare” dovesse essere definita un regime di apartheid.
Alla base di questa conclusione ci sono tre osservazioni semplici e dirette:
A) la caratteristica distintiva di un’occupazione secondo il diritto internazionale è che questa sia temporanea, altrimenti ci troviamo davanti ad un’annessione illegale;
B) dopo più di mezzo secolo di “occupazione” israeliana, e dopo ripetute prese di posizione del governo israeliano sul non avere alcuna intenzione di ritirarsi dai Territori Palestinesi Occupati, come prevederebbe il diritto internazionale, l’unica deduzione ragionevole è che i Territori Palestinesi Occupati siano stati annessi de facto, indipendentemente dall’etichetta legale formale de iure che Israele ha apposto;
C) Israele “dal fiume al mare” costituisce così un’unica entità. Se il regime che presiede quest’entità priva, però, dei diritti civili la sua popolazione non ebrea e gli nega la possibilità di voto, è ancor più chiaro che si tratta di un regime di apartheid.
“B’Tselem”, rispettabile organizzazione israeliana per i diritti umani, è recentemente giunta in maniera ufficiale a questa conclusione: “L’intera area tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano è organizzata secondo un unico principio: promuovere e rafforzare la supremazia di un gruppo etnico, gli ebrei —a discapito di un altro — i palestinesi ”; “Un regime che utilizza leggi, pratiche e violenza organizzata per rafforzare la supremazia di un gruppo su un altro è un regime di apartheid”.
Il position paper di B’Tselem si concentra su quattro aspetti dell’apartheid israeliano.
Le conseguenze dei primi due aspetti -l’immigrazione per i soli ebrei e la valorizzazione della terra e lo sviluppo tecnologico dell’area geografica per i soli ebrei – si riflettono su tutto il territorio dello stato suprematista ebraico, mentre le conseguenze degli altri due aspetti – le restrizioni alla libertà di movimento ed alla partecipazione politica – sono più visibili in Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza.
È opinione di chi scrive, tuttavia, che, per quanto disgustose siano queste caratteristiche del regime israeliano, l’aspetto che più manifesta il suo carattere suprematista ebraico è l’inutilità che esso attribuisce alla vita dei palestinesi.
Come B’Tselem e altre importanti organizzazioni per i diritti umani hanno documentato e documentano quotidianamente, i palestinesi vengono regolarmente e sistematicamente assassinati impunemente da privati cittadini israeliani, polizia civile e personale militare. Questi omicidi non fanno scalpore e non suscitano alcun interesse da parte del pubblico e della stampa ebraico-israeliane, per non parlare delle proteste che poi ne scaturiscono.
Lo scarso valore che Israele attribuisce alle vite dei palestinesi è emerso chiaramente durante la Grande Marcia del Ritorno a Gaza. Una commissione di inchiesta delle Nazioni Unite ha rilevato che “i manifestanti che si trovavano a centinaia di metri di distanza dalle forze israeliane e visibilmente impegnati in attività civili sono stati uccisi intenzionalmente. Giornalisti e operatori sanitari chiaramente contrassegnati come tali, sono stati fucilati, così come bambini, donne e persone con disabilità”; ha rilevato inoltre che “ci sono ragionevoli motivi per credere che le forze di sicurezza israeliane abbiano ucciso e mutilato dimostranti palestinesi che non rappresentavano una minaccia imminente nel momento in cui sono stati uccisi”.
L’ex ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, ha dichiarato a proposito di questa lunga serie di omicidi, che “i soldati israeliani hanno fatto ciò che era necessario. Penso che tutti i nostri soldati meritino una medaglia”.
Il documento di B’Tselem e le conseguenti reazioni fanno luce in maniera interessante sui procedimenti in corso (o, sarebbe meglio dire, non in corso) presso la Corte penale internazionale.
Attualmente, infatti, la Corte penale internazionale si sta interrogando se la Palestina costituisca o meno uno stato, perché solo uno stato può presentare un reclamo alla Corte.
Il position paper di B’Tselem afferma correttamente che “l’Autorità Palestinese è ancora subordinata a Israele e può esercitare il suo potere limitato solo con il consenso di quest’ultima”, e che Israele mantiene sui palestinesi il “controllo dei confini e dell’immigrazione, il registro della popolazione, le politiche territoriali e di sviluppo, l’acqua, le infrastrutture, le vie di comunicazione, il commercio e l’import-export ed infine il controllo militare sul suolo, sul mare e sullo spazio aereo “.
Un avvocato fautore della supremazia ebraica, Eugene Kontorovich, sostiene in opposizione a B’Tselem, che i palestinesi hanno il loro governo, e questo renderebbe infondato qualsiasi discorso sull’apartheid.
Ma, com’è palese, i palestinesi un loro governo non ce l’hanno, il che rende tutti i discorsi sull’apartheid ancor più fondati.
Per ironia della sorte, illustri avvocati sionisti di tutto il mondo hanno inviato dichiarazioni di sostegno ad Israele presso la Corte penale internazionale, sostenendo che l’Autorità Palestinese non aveva alcun ruolo giurisdizionale e quindi non si qualificava come uno stato in grado di presentare alcun reclamo.
Ora, di fronte al position paper di B’Tselem, questi sostenitori della supremazia ebraica sono costretti a fare marcia indietro per difendere le loro posizioni, sostenendo che i palestinesi possiedono il proprio governo, quindi Israele non può essere uno stato di apartheid!
D’altro canto, molte delle dichiarazioni di supporto in favore dei palestinesi sostenevano che l’Autorità Palestinese esercita in maniera consolidata alcuni poteri che la qualificherebbero come uno stato ai sensi del diritto internazionale. Tutto ciò è palesemente ridicolo.
La migliore delle argomentazioni, invece, sarebbe stata che, se la Palestina non è uno stato è perché Israele ha brutalmente negato ai palestinesi il loro diritto all’autodeterminazione, internazionalmente sancito.
La Corte penale internazionale, quindi, non dovrebbe premiare le violazioni israeliane del Diritto internazionale, negando l’accoglimento della denuncia palestinese.
D’altra parte l’Autorità Palestinese è ormai tragicomica (ndt). Un alto funzionario dell’Autorità Palestinese, il corrotto Nabil Shaath, ha reagito al documento di B’Tselem affermando con sicumera: “Non c’è paese al mondo che sia più chiaro nelle sue politiche di apartheid di Israele”. Ma se Israele è uno stato di apartheid, cosa sono lui e la sua Autorità Palestinese se non subagenti (Bantustan) collaboratori?
Sul piano pratico-politico, è abbastanza discutibile se apporre ad Israele finalmente l’etichetta di regime di apartheid possa servire davvero a scuotere l’opinione pubblica in favore della causa palestinese.
In Sud Africa l’apartheid è stata sconfitta tre decenni fa. La memoria storica della maggior parte delle persone è breve.
È vero, l’apartheid è un crimine ai sensi del Diritto internazionale, ma Israele ha commesso così tanti crimini internazionalmente riconosciuti, come crimini di guerra e crimini contro l’umanità, che l’aggiunta di uno in più alla sua lunga lista di di accuse non farà molta differenza.
Tuttavia, iniziare a chiamare pubblicamente Israele uno stato suprematista ebraico sicuramente inizierà ad avere una certa risonanza nel dibattito pubblico e di certo metterà in stato di agitazione i rappresentanti della supremazia ebraica e i sostenitori di questo stato.
Questa definizione porta adesso l’imprimatur di B’Tselem!
Così come i media dell’establishment continueranno a mettere in guardia: “Hamas, che chiede la distruzione dello stato di Israele…”, allo stesso modo, d’ora in avanti, i sostenitori dei diritti dei palestinesi non dovrebbero lasciarsi sfuggire nessuna occasione per replicare: “Israele, uno stato suprematista ebraico…” o ancora: “Benjamin Netanyahu, il primo ministro suprematista ebraico di Israele… ” e perché no: “l’Anti-Defamation League e il Consiglio dei deputati britannico, che sostengono lo stato suprematista ebraico di Israele…”.
Se queste risposte fossero seriamente prese in considerazione (e, com’è già accaduto ed accadrà nuovamente, i sostenitori dei diritti dei palestinesi fossero accusati di antisemitismo, ndt), la più semplice delle risposte dovrebbe riprendere le parole stesse di B’Tselem cioè che proprio “una delle principali organizzazioni israeliane per i diritti umani è arrivata alla conclusione che Israele sorge sul principio della supremazia ebraica!”.
** Pic credit: in copertina Oded Balilty