Fin da bambino sono stato un amante dei boschi. Più sono fitti e antichi, più sono vasti e silenziosi, maggiore è il mio interesse e la mia curiosità. Durante la mia infanzia, grazie alle vaste esplorazione del mondo selvatico, avevo imparato a conoscere palmo a palmo un grande e vecchio bosco non distante dalla mia abitazione.
Sotto la volta degli alberi si accumulavano grandi ammassi di foglie e il buio creato dalle chiome impediva la crescita di arbusti ed erbe, fatta eccezione per alcuni ellebori e, di tanto in tanto, qualche pianta di primula. Mi fermavo spesso ad osservare il fusto slanciato dei grandi carpini neri un tempo usati per fare il carbone e diventati ormai vecchi ed altissimi.
In ampi tratti le piante prevalenti erano querce della specie Quercus cerris, riconoscibili per le venature rosate all’interno della corteccia, assai rugosa, che permetteva ai molti licheni e muschi di crescere rigogliosi. Ma la magnificenza del bosco spettava a delle grandissime roverelle vecchie di oltre 100 anni, che allungavano rami scuri e contorti, accogliendo così i nidi di colombacci e poiane, rigogoli e ghiandaie. Ricordo nitidamente l’emozione che provai un pomeriggio di inizio luglio, quando scoprii tra le chiome una famiglia di sparvieri i cui tre piccoli avevano da poco spiccato il volo e chiamavano insistentemente i genitori, saltellando e svolazzando da un ramo all’altro. Fu invece una mattina d’autunno che, esplorando un ripido pendio ricoperto da carpini, mentre seguivo una pista di animali, mi imbattei in un “villaggio” di istrici. Numerose tane collegate tra loro da gallerie si aprivano di fronte a me. Le aperture, pulite diligentemente dalle foglie, mi mostravano che il luogo non era abbandonato e presto ne ebbi la conferma. Mentre ero accovacciato al fianco di una possente roverella ricoperta di muschio e piccole felci dal verde brillante, fui testimone di una rapida sbirciata: uno degli istrici fece capolino dalla tana appena il tempo di vedermi e si rituffò nell’oscurità profumata di humus.
Il bosco costellò gli anni della mia infanzia e oltre di scoperte e sorprese, dagli incontri con i cinghiali all’inaspettata visione di una martora in corsa su un tronco abbattuto, alla scoperta di grandi e curiosi talli di un raro lichene, la Lobaria pulmonaria, importante indicatore di biodiversità che si trova nei boschi antichi e in buona salute.
Oggi quel bosco non c’è più, quel bosco che appartiene alla curia di Fiesole è stato tagliato in modo increscioso. Annientati i carpini e i cerri, sparite le maestose roverelle. Al loro posto sono stati lasciati i più piccoli e fragili alberi, cresciuti per ultimi e con scarsa luce, dunque alti e sottili ed esposti al rischio di crollo a causa del vento , perché ormai soli e senza ripari. Il suolo un tempo ricco di foglie e humus sul quale crescevano funghi in abbondanza ora è ricoperto di ginestre e graminacee, segno inequivocabile di grande squilibrio, a causa del quale ci vorranno decenni prima della ricrescita di un bosco degno di chiamarsi tale.
Non volano più gli sparvieri e ha fatto la sua comparsa la robinia, albero alloctono e molto invasivo. Ceppi morti o moribondi spuntano qua e la dall’erba ricordando il passato glorioso di un bosco ormai perso. Niente più nidi per sparvieri, picchi, uccelli notturni; niente più tane per istrici e martore; niente più cibo e riparo per centinaia di animali e specie vegetali che solo in boschi vetusti possono trovare il loro habitat. Perché? Che fine hanno fatto i possenti alberi che ospitavano rigogoli e martore? Semplice: sono stati bruciati in qualche centrale a biomasse delle molte sparse in Toscana.
Giusto per completare il quadro, il bosco tagliato si trova in un Sito di Interesse Comunitario, costituito per valorizzare e proteggere numerose specie e il paesaggio unico, costituto proprio dai boschi e i campi del territorio chiantigiano. I terreni della Curia Fiesolana sono tanti e i boschi che ne fanno parte continuano a venire ancora tagliati. Per questo occorre farsi sentire e per questo occorre ancora indignarsi.
Qualche dato a livello regionale e nazionale è d’obbligo per far capire quanto in realtà gli ecosistemi forestali siano in grave pericolo e quanto la fame di biomasse possa trasformare ecosistemi pregiati in lande desolate: prendendo ad esempio la “verde e naturale” Toscana, ogni anno vengono tagliati molte migliaia di ettari di territorio (18 000 ettari nel solo 2016) sia di boschi privati che di boschi pubblici (ma se sono pubblici non dovrebbe essere un patrimonio di tutti?).
La maggiore percentuale dei tagli interessa boschi “governati” a ceduo, proprio come quello della curia di Fiesole (8 500 ettari di cedui in boschi privati nel solo 2016 ma il dato è in crescita) e, aprite bene le orecchie, il 19% di questi ricadeva in territorio sottoposto a tutela (tutela di che cosa? Degli interessi economici?), esattemente come il bosco appena descritto.
A livello italiano le superfici di boschi tagliati sono sull’ordine delle centinaia di migliaia di ettari e se a questi si aggiungono gli oltre 100 000 ettari di bosco inceneriti dagli incendi ogni anno, il dato di perdita di biodiversità e boschi è davvero impressionante. Dunque, come mai si parla sempre più spesso di un aumento dei boschi in Italia? Semplice, perché viene considerata la superficie dei boschi tagliati come se i boschi ci fossero ancora, quando in realtà ci vorranno almeno 20-30 anni nel migliore dei casi e quando vengono rispettate le regole legislative del taglio, per poter definire il luogo di nuovo un bosco. Tali regole però, benché siano ormai molto permissive, il più delle volte non vengono nemmeno rispettate: le imprese dei “tagliatori” contano sul fatto che i controlli sono rarissimi e le sanzioni pecuniarie così basse che, comunque, tagliare più alberi di quelli consentiti è in ogni caso redditizio.
Dunque il nostro paese è davvero “ricco di boschi poveri “ e il trend non accenna a diminuire. Mentre incombe su di noi la crisi climatica ed ecologica, nonostante la possibilità di approcci selviculturali nettamente differenti, si persegue la distruzione sistematica. Dunque Laudato si’ chi protegge i boschi, chi li tutela davvero, chi preferisce al denaro una vecchia roverella, chi al profitto preferisce il lavoro meticoloso e la cura del Creato.