La situazione lungo la rotta balcanica è sicuramente peggiorata con il sopraggiungere dell’inverno e dopo gli incendi che hanno colpito i vari campi, in particolare quello di Lipa; ma è da anni che gli avvenimenti della Balkan Route costituiscono con il suo corollario di abusi, violenze, torture, pushback, morti una delle più lampanti vergogne dell’Unione europea.
Quindi come prima risposta ad una catastrofe umanitaria che si aggrava di ora in ora, la solidarietà spontanea ed organizzata è un’arma necessaria, imprescindibile. Per questo motivo Lesvos Calling invita a supportare le realtà operanti sul campo, le uniche in grado di comprendere la situazione in continuo mutamento e di lavorare in sinergia con la popolazione locale.
In seguito il resto del comunicato:
(..) un altro aspetto risulta impellente e necessario: provare a rompere la narrazione dei confini, fatta di periodi di emergenza e di altri di apparente normalità in cui niente e nessuno riesce a bucare il muro mediatico e a fare notizia.
Diciamo subito che non ci stiamo ad applaudire l’Unione europea che, per l’emergenza provocata dalle sue politiche, stanzia 3.5 milioni di euro alla Bosnia-Erzegovina per ripulirsi la coscienza.
Ultima goccia di circa 90 milioni erogati fino ad oggi, molti dei quali finiti nelle tasche di grandi organizzazioni come l’IOM e il Danish Refugees Council.
Questa modalità d’agire incontra il plauso di molti, noi come campagna non rientriamo tra questi.
Simili decisioni rilevano, in realtà, una duplice cattiva coscienza: da una parte evidenziano la continuità delle politiche di esternalizzazione delle frontiere portata avanti dall’Ue, di cui il patto con la Turchia del 2016 è solo la punta dell’iceberg. L’istituzione di canali sicuri per le persone in transito costerebbero forse meno di 90 milioni, ma in questo modo l’Europa copre le sue responsabilità, facendo credere agli occhi del mondo di avere a cuore la vita delle persone. Dall’altra parte si da un messaggio chiaro alla Croazia: potete continuare a intervenire con mano pesante sul controllo del confine perché con la mia azione ho spostato l’attenzione sul sistema di accoglienza del paese bosniaco.
Per noi l’unica soluzione è mettere in crisi il sistema-regime dei confini, porre sotto i riflettori le criminali politiche europee (vedi l’ultimo patto sull’immigrazione e l’asilo incentrato sul binomio detenzione-rimpatrio e una visione distorta del termine “solidarietà”), favorire con ogni mezzo necessario il movimento delle persone.
È su questo aspetto che vogliamo concentrarci, aprire una riflessione transfrontaliera e un campo di azione possibile.
Non vogliamo farlo da soli, poiché in questi anni di viaggi, staffette e relazioni abbiamo intessuto rapporti con varie ed eterogenee realtà operanti sui confini, divenendo consapevoli che la migrazione è un campo di conflitto dove è necessario costruire processi intersezionali.
Invitiamo quindi tutte le realtà sociali, le associazioni, i collettivi, le singolarità a confrontarsi su un piano di iniziativa che sia in grado di ribaltare l’ipocrisia dei confini, mettendoli in discussione e se possibile fattivamente in crisi.
Per maggiori info e ricevere il link: lesvoscalling@gmail.com