Recovery Plan e diritti delle donne: un’altra occasione persa

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Photo credits: Wikimedia Commons

di Nicoletta Pirotta IFE Italia

Il Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza (PNRR) / Next Generation Italia, cioè il Piano con il quale si vorrebbe far ripartire il paese utilizzando le risorse messe a disposizione dalla Commissione Europea, riconosce le differenti condizioni materiali di donne e uomini e, su questa base, individua strategie e proposte capaci di rispondere ai bisogni concreti dei soggetti in carne ed ossa? Dalla lettura che ne ho fatto, anche insieme ad altre donne che come me partecipano al percorso per una “società della cura”, mi pare si possa affermare che il PNRR rappresenta l’ennesima occasione persa. In particolare nei confronti delle donne.

Vediamo perché.

La pandemia, insieme all’emergenza sanitaria, sta producendo una “crisi economica e sociale di proporzioni bibliche”. Questa crisi, dentro una società in cui le appartenenze di genere, di classe e di “razza” determinano asimmetrie di potere e di status, non colpisce tutte e tutti allo stesso modo.

Le donne, di più se di classe sociale impoverita e/o migranti, pagano e pagheranno a livello globale un prezzo altissimo in termini di diritti e quindi di condizioni di vita.

Alcuni esempi. Dentro la pandemia le donne sono state, e continuano ad essere, in prima fila nei lavori legati alla cura, in ospedale come a casa, e nelle attività produttive. La pandemia ha acuito le disuguaglianze per quanto riguarda il lavoro domestico. Un lavoro, del resto, mai equamente distribuito fra generi e spesso affidato a donne migranti.

Oxfam, una rete internazionale di organizzazioni no-profit, denuncia come la contrazione dei salari e dei redditi causata dallo shock pandemico rischia di ridurre in povertà tra il 6 e l’8% della popolazione mondiale. Le più colpite saranno le donne perché, oltre al fatto che in ogni parte del mondo le donne sono oggettivamente più povere degli uomini, gli studi che si concentrano sull’impatto economico della pandemia prevedono che esso possa essere particolarmente negativo per il genere femminile, poiché  la maggior parte di coloro che lavorano part time e nell’economia informale sono donne.

Anche in Italia, come nel resto del mondo, il confinamento ha determinato un aumento esponenziale della violenza maschile domestica. Le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza della rete Di.Re, Donne in Rete contro la violenza, sono state il 74,5% in più della media mensile degli anni precedenti.

Sul versante IVG (interruzione volontaria della gravidanza) la situazione è molto preoccupante. Alcuni ospedali, impegnati contro il virus, durante il confinamento della prima ondata ne hanno sospeso la pratica (solo per fare un esempio, in Lombardia è successo a Codogno, Casalpusterlengo, Alzano Lombardo e Seriate). Con il rischio concreto di un aumento di IVG clandestine. Ciò non significa fare del vittimismo ma avere chiaro quali sono le soggettività più colpite per poter agire di conseguenza.

Come affronta e cosa propone il PNRR per migliorare la condizione delle donne?

“Visione di insieme”: già si comincia male.

Mentre vengono indicate come prioritarie digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione/coesione sociale, si considerano trasversali le Donne, i Giovani e il Sud, mettendo insieme soggetti e territori senza che se ne capisca il senso (le donne non possono essere anche giovani e vivere al sud?). Le politiche per il lavoro indirizzate alle donne sono contemplate nella parte che riguarda l’inclusione e la coesione. Quindi per le donne il lavoro non è un diritto in sé e per sé, né uno strumento di autodeterminazione, ma una possibilità per essere incluse (ma incluse dove?) e per garantire coesione (è possibile una coesione in presenza di asimmetrie e diseguaglianze oggettive?)

Nei confronti delle donne in tutto il Piano riecheggiano i soliti ritornelli che ascoltiamo da anni (empowerment, gender mainstreaming, impatto di genere, parità) e la riproposizione di proposte politiche che poco o nulla di buono hanno prodotto sulla condizione di vita delle donne (il gap occupazionale non è diminuito, le differenze salariali neppure, così come la segregazione settoriale tanto che le donne continuano ad essere oggettivamente più povere degli uomini).

Una delle misure più necessarie sarebbe l’aumento dell’occupazione femminile, oggi in Italia al 49,5% (una donna su due non ha un lavoro retribuito). La UE si proponeva l’obiettivo di raggiungere un tasso di occupazione femminile al 60% entro il 2020. Il PNNR vuole adottarlo?  E se sì, come si pensa di riuscirci? Non è dato sapere.

A dire il vero nel PNRR si prevede un aumento degli organici della Pubblica Amministrazione, proposta che potrebbe favorire un aumento di occupazione femminile, ma non si specifica quante saranno le assunzioni né quali settori potenziare. Inoltre, poiché le risorse che arriveranno dall’Europa potranno finanziare gli investimenti e non la spesa corrente, non si capisce con quali risorse si pensa di aumentare gli organici della P.A..

Per quanto riguarda le politiche di welfare, il PNRR riconosce l’esigenza di redistribuire il lavoro di cura fra generi, ma rimane ancorato all’approccio familistico e all’angusto recinto della “conciliazione casa/lavoro” che dà per scontato che chi deve conciliare due lavori, quello dentro e quello fuori casa, sono le donne. Conciliazione che, finora, non ha prodotto alcun cambiamento sostanziale perché il vero nodo risiede nell’asimmetria di potere fra generi, sostenuta dal capitalismo a braccetto col patriarcato.

Inoltre non si considera per nulla che i lavori domestici e di cura, così come molti lavori precari o informali, spesso sono svolti da donne migranti, ultime fra le ultime.

Infine il piano sottolinea l’importanza di favorire “l’autonomia economica delle donne” principalmente in relazione alle politiche di sostegno all’auto-imprenditorialità femminile, mentre invece dovrebbe rappresentare l’obiettivo di fondo per tutte. Siamo al mito del “farsi da sé” che, per la stragrande maggioranza delle donne, suona come una beffa!

Alcune proposte concrete

Chiudo su alcune proposte che andrebbero immediatamente realizzate.

* Nel piano si prevede il raddoppio dei finanziamenti per gli asili nido. Bene. Vi sono però due questioni di fondo: la prima è che questo servizio educativo è un diritto delle bambine e dei bambini e non una stampella per la conciliazione casa/lavoro. La seconda riguarda la natura di questi servizi: se i nidi continueranno ad essere considerati “servizi a domanda individuale” (come le piscine per intenderci) i cui costi ricadono anche sulle famiglie, non solo resteranno sempre confinati nel sottoscala e non assumeranno quella valenza educativa che meritano ma le rette di frequenza resteranno tanto alte da limitarne sia la diffusione sia l’utilizzo;

* va espressamente garantita l’esigibilità del diritto all’IVG, minato da un’obiezione di coscienza che ha raggiunto livelli insopportabili, prevedendo sanzioni per gli ospedali che non ne garantiscono la pratica. Nel piano non se ne fa cenno;

* i centri anti-violenza vanno sostenuti con aumenti consistenti di risorse (senza vincoli di sorta e non su scala regionale) per far fronte all’aumento esponenziale della violenza maschile contro le donne di cui il Piano non sembra cogliere la dimensione strutturale e non emergenziale.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 45 di marzo-aprile 2021:  “Recovery PlanET: per la società della cura

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