La Società della Cura non si accontenta di distribuire la ricchezza. Si impegna a crearla.

Un Contributo di Nello DE PADOVA, Coordinatore del Gruppo Economia&Decrescita di MDF(*)

L’attuale sistema socio-economico si basa sostanzialmente sulla capacità del sistema produttivo di creare la ricchezza e di quello redistributivo di rendere disponibili le risorse necessarie alle attività riproduttive.

Ciò determina una subordinazione di tutte le attività di cura (individuali familiari collettive politiche ambientali territoriali sociali eccetera) non solo all’esistenza ma alla continua espansione del sistema produttivo “privato”, quello basato cioè sulla vendita dei suoi prodotti. Solo in questo modo infatti è possibile garantire la retribuzione del lavoro (ed eventualmente il profitto) dalla tassazione dei quali si ricavano le risorse per retribuire il lavoro di chi opera nelle attività di cura.

L’insostenibilità di un simile modello socio-economico è sotto gli occhi di tutti poiché anche in presenza del più perfetto stato stazionario per l’economia, e quindi il superamento da un lato del debito e dall’altro della crescita, non sivpotrebbe garantire altro che una stazionarietà della stessa società della cura.

Perché la proposta della società della cura non si limiti quindi ad un rientro nei limiti della sostenibilità socio-economica e possa essere accettata in quanto capace di generare progresso, occorre liberarla dalla dipendenza da sistemare redistributivo.

Ovviamente ciò non significa che il sistema redistributivo non sia, almeno per tutta la fase transitoria, da tenere in piedi. Anzi esso è da potenziare innanzitutto con energiche redistribuzioni della ricchezza accumulata nei Nord del mondo verso i Sud del mondo, intesi non soltanto in senso geografico ma, come abbiamo scoperto negli ultimi decenni, sempre più presenti anche all’interno dell’Occidente nel quale la forbice proprietaria è reddituale continua inesorabilmente ad allargarsi.

Allo stesso modo occorre ampliare i meccanismi redistributivi dei redditi innanzitutto per penalizzare tutti quelli non derivanti da lavoro retribuito ma appunto da quelle ricchezze iniquamente accumulate, ma anche per ridurre la sperequazione fra le retribuzioni di manager super pagati e quelle di rider precari.

Ma contemporaneamente occorre costruire le condizioni sociali, culturali ed infine economiche per superare la centralità e la dipendenza della prosperità della specie umana dal meccanismo redistributivo. O per meglio dire dal meccanismo redistributivo mercificato.

Sì perché come Karl Polanyi ci ha aiutato a comprendere è l’idea di centralità del mercato che rende insostenibile il nostro sistema socio-economico.

Per dirla appunto con Polanyi occorre quindi perorare da un lato il recupero della centralità della cultura del dono e di meccanismi socio-economici basati sulla reciprocità e dall’altro la riduzione della centralità di quelli di scambio (e della redistribuzione mercantile che dipende come si diceva in apertura dall’economia dello scambio) e quindi ampliare gli spazi della redistribuzione (non solo nello spazio e fra coevi ma anche e forse soprattutto verso le future generazioni) non mercantile.

Tutto ciò si traduce nel riconoscimento della centralità del 2° capoverso dell’art. 4 della nostra costituzione che recita “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”

Senza con ciò disconoscere l’importanza del primo capoverso che recita:

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.” al quale è correlato quanto previsto dall’art. 36 ove stabilisce che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa…..”.

In sostanza si tratta di aver presente che il “lavoratore” a cui si riferisce l’art.36 è il cittadino che ha il diritto a quel “lavoro” (retribuito) previsto dal primo comma dell’art. 4, ma che lo stesso cittadino ha il dovere di svolgere attività o funzioni (non necessariamente retribuite)  che concorrano “progresso materiale o spirituale della società”.

Per dirlo in altro modo si tratta di sancire che essere un onesto lavoratore (retribuito) non è condizione sufficiente per essere un buon cittadino.

Nella pratica quotidiana il cittadino della Società della cura sarà impegnato non solo in attività retribuite per soddisfare le proprie (ridotte) esigenze di reddito ma anche in attività di autoproduzione e mutuo scambio di vicinato capaci di ridurre la propria necessità di reddito e dipendenza dal mercato (molte delle quali riconducibili alla sfera produttiva della cura),  e infine soprattutto in attività (gratuite) di cura della collettività e del territorio. Queste ultime attività, che saranno decise, organizzate e distribuite collegialmente, saranno in grado di abbattere significativamente i costi di realizzazione, gestione, manutenzione e fruizione di infrastrutture, beni e servizi collettivi, molti dei quali pubblici, in modo da ridurne la dipendenza dal sistema redistributivo mercantile.

Ovviamente questo non significa che ci saranno ospedali autogestiti in cui la cura dei malati sia affidata a cittadini tanto volenterosi quanto incompetenti, ma che grazie alla completa revisione del concetto di cura sanitaria (e più in generale di cura della salute) si  dovranno creare le condizioni per garantire il funzionamento degli ospedali con molto minore lavoro retribuito grazie al contributo di attività di cura svolte (gratuitamente) dai cittadini.

Ivan Illich con la sua idea di “Tecnologia Conviviale” ha dato ottimi spunti su come ciò possa realizzarsi. Sarà, ad esempio, possibile ridurre il numero di scuolabus e retribuzione dei relativi autisti, sostituiti da pedibus e bicibus autogestiti di condominio, o mettere in piedi  comunità energetiche di quartiere i cui impianti siano per buona parte autocostruiti, oltre che autogestiti, ma anche sistemi formativi in cui “docenti” professionalmente qualificati (e retribuiti per l’attività svolta), avranno prevalentemente il compito di facilitare l’apprendimento, e saranno affiancati e coadiuvati da cittadini (genitori, nonni, fratelli maggiori) in modo che si possa realizzare una vera comunità educante, assolutamente vitale per la crescita armonica del bambino/a e del ragazzo/a e per il suo buon inserimento nel tessuto comunitario.

In una società del genere quindi è l’attività di cura che produce ricchezza lasciando in secondo piano quella tradizionalmente considerata “produttiva”. Anzi non ha più senso la divisione fra lavoro produttivo e riproduttivo o se lo conserva è perché subordina il primo al secondo. Si riduce l’importanza dell’occupazione retribuita e, contestualmente, si riduce la necessità di produzioni e consumi superflui, quando non dannosi, che invece oggi siamo costretti a continuare a produrre unicamente  per sostenere l’occupazione.  Solo in questo modo potremo garantire a tutti i beni necessari e i diritti sociali in modo che possiamo vivere con tranquillità e senza l’ansia di poter perdere tutto da un momento all’altro ma contemporaneamente saremo in grado di ricondurre i nostri consumi entro i limiti della ragionevolezza e della capacità di carico di questo nostro martoriato pianeta.

Foto di Aksh Kinjawadekar da Pixabay

(*) Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

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