di Armin Ferrari
[La prima puntata è qui. A Noi Rimane il Mondo è un documentario diretto da Armin Ferrari con la partecipazione di Wu Ming & Wu Ming Foundation. Fotografia: Harald Erschbaumer. Presa diretta: Maurizio Vescovi. Montaggio: Marina Baldo. Musiche: Simonluca Laitempergher. Prodotto da Roberto Cavallini per Altrove Films, in associazione con Albolina Film e Kinè, con il sostegno e il supporto di IDM Film Funding e di Emilia Romagna Film Commission.]
21 – 23 ottobre 2020
Antar Mohamed arriva una sera di ottobre. Provo una sensazione strana quando lo incontro a cena e associo un viso ed un corpo a quello che fino a poco tempo fa era il nome di un autore sulla copertina di un libro, oltre che un personaggio contenuto al suo interno.
Il libro è Timira, che ha scritto assieme a Wu Ming 2.
Basta poco per capire che la versione reale di Antar, ammantata di un’aura magica e inafferrabile, invece che diminuirne il fascino rispetto alla versione immaginata, lo aumenta.
È venuto da noi per raccontarci la storia di suo zio, Giorgio Marincola, e della brevissima parabola che lo portò dal Lager di Bolzano, liberato dagli Alleati il 30 aprile 1945, fino a Stramentizzo, in Val di Fiemme, dove morì durante un vile rastrellamento nazista una manciata di giorni più tardi.
Una storia ricca di suggestioni, di poesia, di luoghi e di contraddizioni, in pieno spirito con il documentario.
L’indomani mattina siamo all’ex lager di Bolzano, di cui sopravvivono intatte le mura perimetrali. Sebbene ricordi questi posti sin da ragazzino, che i miei nonni abitavano lì vicino, oggi le sensazioni cambiano, perché rapportarsi ai luoghi con la coscienza di storie che vi si sono consumate dentro li carica di una portata emotiva differente.
Davanti a quel muro impregnato di storia cerchiamo il registro più congeniale al nostro racconto e decidiamo che Antar parlerà con lo spettro di suo zio.
Sembra una scelta un po’ folle, ma già dalle prime scene capiamo che non c’è approccio migliore e che Antar affronta tutto con la giusta naturalezza, perché è il primo a crederci.
Trascorriamo l’intera mattinata muovendoci attorno alle mura fino a che, appagati dal risultato, ci allontaniamo dalla città dirigendoci verso sud, cercando di immaginare il percorso compiuto da Giorgio Marincola una volta uscito dal Lager. Un viaggio di cui le cronache, salvo qualche passaggio documentato, non ci danno conto.
Decidiamo di riempire questo vuoto con un percorso sospeso tra l’onirico e il reale, ancorché geograficamente plausibile. Ci facciamo guidare dal fascino dei luoghi. Immaginiamo Giorgio che percorre tal sentiero, seguendo il fiume Adige verso sud, lo pensiamo che si eleva ad osservare panorami, per inoltrarsi poi su per la Val di Fiemme, speranzoso e idealista, mentre l’assurdo epilogo della sua vita lo attende poco oltre l’orizzonte.
Antar continua a regalarci emozioni non pianificate, a tratti struggenti. I luoghi, velati di autunno, si prendono ancora una volta la scena, ma solo per restituirla piena di significati.
Concludiamo le riprese nel “non luogo” in cui Giorgio è andato incontro alla morte, un altro spettro, sepolto ormai da tempo sotto lo specchio d’acqua di un lago artificiale. La mano pesante del progresso. Non possiamo che fermarci lì, a riva, ad osservare. L’emozione è palpabile.
Salutando Antar capiamo che il documentario sta prendendo vita propria. È una sensazione incredibile.
Fine ottobre
È nelle radio, in TV, sulle bocche di tutti. La pandemia, dopo la sbornia estiva, promette di tornare presto per fare a brandelli il quotidiano.
Non c’è tempo da perdere. Con i DPCM alle calcagna organizziamo la prossima scena che sarà anche quella che concluderà il film. Gireremo a Sabbiuno, luogo perfetto allo scopo, oltre che teatro di un eccidio di partigiani per mano nazista. La Storia ci perseguita, o forse siamo noi a inseguirla.
31 ottobre
Un finale non si rivela in anticipo, ma l’esperienza fatta per realizzarlo merita menzione.
Un’intera giornata per girare un’unica sequenza. Fare 300 km, scaricare il furgone, assistere al rituale montaggio della tecnica necessaria ad ottenere l’effetto desiderato, incontrare tutti coloro che parteciperanno alla scena. Provare, riprovare, risolvere problemi, portare a casa il risultato un istante prima che il sole si congedi oltre i colli. Smontare, caricare, fare altri 300 km verso nord.
Ne è valsa la pena. Si racconta una storia importante, la responsabilità è grande, la portata emotiva notevole, e bisogna chiudere le danze con qualcosa di proporzionato, di simbolico e affascinante. Un messaggio di speranza collettivo. Un grazie va a tutti quelli che sono venuti a Sabbiuno per permettere alla ripresa di esistere.
Novembre – dicembre 2020
La seconda ondata è diversa dalla prima, ovattata, attutita. Rassegnazione o abitudine? Ipotesi parimenti inquietanti. La pandemia costringe alla sintesi. La società, spogliata di ogni orpello, diventa la sinossi di sé stessa. Una trama poco invitante.
La mia compagna ed io osserviamo nostra figlia crescere, giorno dopo giorno, grati che ancora non si accorga di nulla. Ma di questi tempi è d’obbligo domandarsi che mondo stiamo consegnando alle generazioni a venire.
11 – 12 dicembre 2020
Da giorni ho premonizioni di nebbie. Girando in pianura alle porte dell’inverno suona un po’ come arte divinatoria da quattro soldi, ma quando arriviamo nell’Imolese e le vedo tutt’attorno, intente a occultare gli scenari alla vista, penso comunque che sia un po’ una magia.
Stavolta siamo con Wu Ming 4 per perlustrare la sfumatura di poetica wuminghiana che si occupa dell’utilizzo del fantastico nell’ambito delle narrazioni storiche. E la nebbia è l’equivalente paesaggistico dell’imponderabile. Altera la realtà, sospende spazio e tempo.
Il primo giorno ci muoviamo attorno al paese di Mordano, sulle tracce di antiche leggende. La bruma ci accompagna lungo tutta la giornata permettendoci di catturare immagini affascinanti, ideale compendio per il racconto del nostro accompagnatore, impregnato di immaginazione.
Mentre giriamo sulle rive di uno specchio d’acqua, avvistiamo addirittura un mostro in lontananza, ma forse è solo un’immensa fabbrica intenta a fagocitare quiete. Già non sappiamo più scindere il reale dal fantastico.
La giornata finisce in un attimo. Ci spostiamo a Dozza, il nostro scenario di domani.
Una cena conviviale e a letto presto che c’è il coprifuoco.
Al mattino spalanco le finestre e vengo salutato da un muro di nebbia. Il paesaggio, più che occultato, è cancellato.
Prima ancora di far colazione siamo in giro per i vicoli deserti del borgo a girare. Pare che qualcuno abbia calcato troppo la mano con la macchina del fumo. Suggestioni felliniane.
Il resto della mattinata lo trascorriamo nel ventre della Rocca di Dozza, gioiello del borgo nonché luogo intriso di storia e di fantasmi. Ci aggiriamo per le sue sale disabitate, meravigliati e inquieti. Ogni angolo chiede un’inquadratura. La nebbia s’insinua ovunque, avvolgendoci.
Usciamo quasi storditi. Resta il tempo per qualche veduta paesaggistica e per raccogliere qualche dettaglio della Tana del Drago, il centro studi dedicato a J. R. R. Tolkien, autore caro a Wu Ming 4, grande ispiratore della poetica del fantastico che stiamo sviscerando e la cui importanza ci facciamo raccontare.
Camera e registratore si spengono, saturi di input. Anche stavolta c’è tanto da assorbire.
Quando ripartiamo, guardo fuori dal finestrino. Delle nebbie non c’è più traccia.
Fine dicembre 2020 – inizio gennaio 2021
L’anno nuovo entra in scena nel disinteresse generale. Il 2020 finirà soltanto quando finirà la pandemia.
L’elenco di scene da girare si assottiglia, il linguaggio è sempre più definito. È tempo di fare un lungo respiro e affrontare uno degli snodi più complessi.
Una scena che richiede ripetuti sopralluoghi, discussioni, pianificazione tecnica.
Passate le feste arriva il momento di girare.
18 – 19 gennaio 2021
Nicoletta Bourbaki è stato a lungo un punto critico della sceneggiatura. Il collettivo, che nella Wu Ming Foundation, ma anche e soprattutto fuori di essa, ha un ruolo di enorme importanza, non è caratterizzato come altri da un riscontro “fisico”. La quasi totalità della sua attività è di ricerca, spesso in forma anonima.
Rimaneggiato più volte nel tempo, il blocco tematico risultava sempre artificioso e il rischio era di vederlo travolto dal resto. Ma Nicoletta Bourbaki doveva esserci.
La soluzione la prendiamo a prestito dal linguaggio cinematografico. Una sola scena, maestosa e onirica, a simboleggiare il senso più poetico della pratica in oggetto.
La biblioteca dell’Abbazia di Novacella è magnifica. Migliaia di antichi volumi decorano le quattro pareti dell’enorme stanzone in stile barocco. Il freddo è tanto intenso che lo possiamo toccare. È qui che gireremo.
La complessità richiede tempo e il primo giorno scivola via tra allestimento e prove.
Vediamo e rivediamo la scena, aggiustiamo il tiro, alteriamo l’ambiente piegando l’atmosfera ai nostri scopi, tanto che a un certo punto ci sentiamo scollati dal mondo.
La seconda giornata è una serie interminabile di ripetizioni della stessa scena che fagocitano la mattinata e parte del pomeriggio, fino a che la tecnica si allinea, la magia si compie, e siamo finalmente soddisfatti del risultato. Con il freddo ormai in circolo spendiamo le restanti ore a catturare dettagli e scene di contorno. I libri sono protagonisti indiscussi.
Lo smontaggio è un rituale che riporta lentamente la sala al suo stato originale. Quando ce ne andiamo è un posto lontano dalla visione in cui lo abbiamo trasformato per qualche ora.
20 – 21 gennaio 2021
Mattinata di architettura fascista a Bolzano. Il teleobiettivo depotenzia il messaggio. Scritte tagliate, linee interrotte. Tracotanza convertita in astrazione.
Il resto delle riprese sono montagne, treni in corsa, paesaggi. Free jazz su e giù per l’Alto Adige. Improvvisazione dell’immagine. Lo scopo è di raccogliere materiali di raccordo. Ponti visivi che in fase di montaggio, assieme ad altri, connettano tra loro le nostre storie.
I cieli cospirano a nostro favore, garantendoci varietà.
30 – 31 gennaio 2021
Le riprese, complice la pandemia, si sono protratte per quasi un anno. È tempo di terminare il viaggio.
L’atto conclusivo si consuma a 1.200 metri d’altitudine in una piccola e suggestiva valle nei pressi del Lago d’Iseo dove Franco, Simonetta e Andrea ci hanno dato appuntamento per raccontare Alpinismo Molotov, collettivo affollato di anime, il cui fulcro è l’escursionismo.
I tre, membri della prima ora, hanno le idee chiare su cosa dire. Non ci resta che metterci in moto. La valle ci inghiotte.
Alberi, neve e poco altro.
Scene in continuo movimento, specchio della pratica che raccontiamo. Si parla e si cammina. I tre sviscerano il passato, ricordando le urgenze che hanno dato origine al progetto. Si materializzano immagini, sensazioni, parole. C’è tantissimo da raccontare.
Fiato corto, siamo tutti in difficoltà, il fondo sconnesso non concede sconti. L’escursione simulata si rivela più vera del vero. La fatica costringe alla sintesi, rafforzando i contenuti, compattando il messaggio.
C’è tutto? C’è tutto!
Spegniamo camera e microfoni per l’ultima volta. La natura austera rende il finale quasi catartico.
Emergiamo dalla valle, un piccolo saluto rituale, poi l’ultimo ritorno verso nord.
Dopo febbraio
Il materiale girato è una deflagrazione in potenza, il montaggio l’innesco per calibrarne la portata. Marina, a lei l’arduo compito, è già all’opera.
Scampoli di emozioni s’intuiscono già dai primi tentativi. Cucire assieme esperienze, sfocare figure, amalgamare le pennellate. Ogni sessione di montaggio è un bivio, le strade possibili sono infinite.
Non sarà un lavoro semplice.
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