di Sandro Moiso
Ho scritto recentemente, a proposito del pensiero di Carl Schmitt, che il concetto di “eccezione” è fondativo della sovranità ovvero del potere dello Stato, qualsiasi sia la forma politico-istituzionale che questo assume: «Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione»1.
Da questa affermazione è possibile far derivare che l’eccezionalità, o stato di eccezione, e la facoltà/forza di deciderne gli aspetti formali e strutturali costituiscono le condizioni che devono sostanziare ogni governo poiché, se nelle fasi “normali” la normativa vigente è sufficiente a governare l’esistente e a dirimerne le contraddizioni, è proprio nella gestione di una fase inaspettata, e dunque potenzialmente pericolosa, che si esprime la vera autorità, riconosciuta come tale.
Se questo risulta essere piuttosto significativo dal punto di vista meramente politico, soprattutto in una fase come quella che stiamo attraversando e che abbiamo precedentemente definito come “epidemia delle emergenze”2, assume un’ulteriore importanza una volta che lo si associ alle riflessioni di Michel Foucault sul “potere di disciplina”.
In che consiste un simile potere? L’ipotesi che vorrei avanzare è che esiste, nella nostra società, qualcosa che potremmo definire un potere disciplinare. Con tale espressione mi riferisco, semplicemente, a una certa forma, in qualche modo terminale, capillare, del potere, un ultimo snodo, una determinata modalità attraverso la quale il potere politico – i poteri in generale – arrivano, come ultima soglia della loro azione, a toccare i corpi, a far presa su di essi, a registrare i gesti, i comportamenti, le abitudini, le parole; mi riferisco al modo in cui tutti questi poteri, concentrandosi verso il basso fino ad investire gli stessi corpi individuali, lavorano, plasmano, modificano, dirigono, quel che Servan chiamava “le fibre molli del cervello”3. Detto in altri termini, credo che il potere disciplinare sia una modalità, del tutto specifica della nostra società, di quel che si potrebbe chiamare il contatto sinaptico corpi-potere.
La seconda ipotesi che vi sottopongo è che tale potere disciplinare, in ciò che presenta di specifico, abbia una storia, e dunque non sia sorto all’improvviso, ma neppure sia esistito da sempre. Esso si è piuttosto formato a un certo punto e a seguito una traiettoria, in un certo senso trasversale, lungo le vicende della società occidentale4.
Se la sovranità si fonda sull’eccezione, la sua dichiarazione e direzione, e il potere disciplinare sulla permeazione dei corpi e delle menti da parte del potere “sovrano”, sembra piuttosto evidente che la situazione attuale, determinata dalla pandemia e dalla sua gestione politica, sanitaria ed economica, porti a compimento, in maniera impensabile anche nei regimi totalitari del ‘900, una forma “totale” e generalizzata in quasi tutto l’Occidente (ma non solo) di controllo sociale e dirigismo economico-sanitario.
Una forma di totalitarismo emergenziale che della “sicurezza” ha fatto il centro del suo discorso, facendo addirittura impallidire i precedenti discorsi in tal senso fatti a proposito del terrorismo o dei fenomeni migratori, che, a questo punto, sembrano soltanto aver costituito i presupposti discorsivi della nozione attuale di “sicurezza” e “controllo” (sociale)5.
Lo stesso Foucault, a proposito di un potere che neppure cercava più di salvare le apparenze, aveva affermato in una conversazione del novembre del 1977:
[Il potere] Ha ritenuto che l’opinione pubblica non fosse temibile, o che potesse essere condizionata dai media. Questa volontà di esasperare le cose fa parte d’altro canto del gioco della paura che il potere ha messo in atto ormai da anni. Tutta la campagna sulla sicurezza pubblica deve essere corroborata – perché sia credibile e politicamente redditizia – da misure spettacolari che provino la capacità del governo di agire velocemente e ben al di sopra della legalità. Ormai la sicurezza è al di sopra delle leggi. Il potere ha voluto mostrare che l’arsenale giuridico è incapace di proteggere i cittadini6.
Non si stupisca il lettore per il riferimento ad un testo che in realtà si ricollegava all’estradizione dalla Francia dell’avvocato Klaus Croissant, difensore della Frazione Armata Rossa (RAF) e accusato di complicità con i suoi clienti, verso la Repubblica Federale Tedesca dopo che i membri del gruppo Baader erano stati “ritrovati” morti nelle celle del carcere di Stammhein. La “sproporzione” sta soltanto nell’occhio disattento, una volta considerato come la strategia di demonizzazione dell’avversario politico e sociale e dell’istituzione di un “diritto penale del nemico” sia stata traslata, neppure in tempi troppo lunghi, dall’applicazione ai processi per terrorismo e banda armata a quelli destinati a reprimere e criminalizzare movimenti quali quelli No Tav e No Tap 7 fino ai Dpcm, autoritari e, come vedremo tra poco, incostituzionali, destinati a regolare, ancor più che la salute (intesa dal punto di vista sanitario) pubblica, i comportamenti sociali e individuali.
Intanto è di pochi giorni or sono la notizia che un magistrato di Reggio Emilia ha annullato le multe inflitte, dai carabinieri di Correggio, ad una coppia per un’autocertificazione falsa, in violazione delle norme di divieto di circolazione imposte dal primo dpcm emesso dall’ex-premier Giuseppe Conte l’8 marzo 20208. La decisione del magistrato, Dario De Luca, sottolinea come un dpcm non possa limitare la libertà personale perché è un atto amministrativo, motivo per cui un decreto del premier è illegittimo se viola i diritti costituzionali.
Il giudice emiliano ha infatti assolto gli imputati «perché il fatto non costituisce reato» visto che il falso è un «falso inutile, configurabile quando la falsità incide su un documento irrilevante o non influente», aggiungendo inoltre che la norma che impone l’obbligo dell’autocertificazione sia da ritenersi costituzionalmente illegittima e quindi da disapplicare. Poiché, spiega ancora, la limitazione della libertà personale può avvenire solo a seguito di un atto dell’autorità giudiziaria e non di un atto amministrativo qual era il decreto in questione di cui si rileva «l’indiscutibile illegittimità come pure di tutti quelli successivamente emanati dal capo del governo».
Ciò che importa, di tale sentenza, è il fatto che questa riveli come ormai i governi, approfittando dello stato di emergenza o di eccezione, possano operare in totale antitesi alle costituzioni così spesso presentate come “carte dei diritti”, ci sarebbe da aggiungere quasi mai applicati e quasi sempre ignorati. Ma la stessa può anche costituire un precedente giuridico importante per tutte quelle situazioni, come quella dei No Tav valsusini che stanno ricevendo multe individuali di centinaia di euro per essersi allontanati senza valide ragioni dal proprio domicilio, in cui la limitazione della libertà di movimento possa coincidere con la limitazione della libertà di espressione e di manifestazione.
Il caso è circoscritto, ma ciò non vuol dire che sia insignificante dal punto di vista giuridico nel rilevare come i governi si stiano muovendo nella totale illegalità, approfittando dell’occasione fornita loro dall’epidemia da Covid-19. Sulla quale ultima non è certo il caso di fare del complottismo o di adulterarne la gravità, dal punto di vista della salute e dell’economia, sminuendola. Piuttosto si rende necessario smontarne, pezzo dopo pezzo, tutta la narrazione che ne viene fatta a livello politico e mediatico.
Tornando a Foucault, val forse la pena di ricordare che il filosofo francese definì l’immaginario «segno di trascendenza» e il sogno «esperienza di questa trascendenza sotto il segno dell’immaginario»9. Poiché, come riassume Alessandro Fontana: «L’immaginario è dunque non tanto il ridotto della ragione, né il deposito dei suoi archetipi, quanto lo spazio delle direttrici costitutive e primarie dell’esistenza, delle sue virtualità trascendentali, prima del suo oggettivo esplicarsi nelle forme della storicità»10.
L’immaginario pubblico o collettivo, soprattutto a partire dalla fondazione dello Stato moderno tra XVI e XVII secolo, deve essere corretto e contenuto per il tramite di norme che siano corroborate da “verità evidenti” e da saperi che, a partire dalla fine del XVIII secolo:
avranno soprattutto il compito di stabilire ed enunciare come verità di natura la regolarità delle condotte prescritte dal potere disciplinare. Nasce così, sostiene Foucault, un nuovo regime di verità, quello di una verità normalizzatrice, la cui forma è fondamentalmente definita dal modo di funzionamento dell’esame, vero e proprio «rituale di verità della disciplina», grazie al quale potrà venir effettuato l’investimento pubblico dell’individualità normalizzata, e nelle cui tecniche le nascenti scienza umane e le stesse «scienze “cliniche”» cercheranno, secondo lui, l’essenziale dei propri metodi e delle proprie procedure […] la nuova economia del potere disciplinare, con il suo controllo permanente dei corpi, la normalizzazione delle condotte, le tecniche infime e minuziose di estrazione e di costituzione dei saperi (e di «saperi veri», precisa Foucault), rappresenta un tentativo di potenziamento degli effetti di potere in estensione, intensità e continuità. Si tratta, insomma, di una meccanica di potere che mira a penetrare la totalità del «corpo sociale» (che ha cessato di essere una semplice metafora per il pensiero politico, dirà nel 1976 al Collège de France) per produrre quei «corpi utili» funzionali ai nuovi meccanismi di produzione sviluppati dal capitalismo11.
Si torna qui, dunque, alla necessità per il potere di plasmare, a sua immagine e somiglianza, la società e i corpi, normalizzando il prodotto di quelle fibre molli del cervello di cui parlava Servan proprio alla fine del ‘700. E si torna anche alla necessità, per le forze che si vogliono antagoniste, di controbattere colpo su colpo alle vertiginose, o abissali, costruzioni dell’immaginario capitalistico con cui sempre più occorre fare i conti. Non lasciandosi abbindolare né dalla “razionalità” delle scelte dei governi, delle imprese e delle loro scienze, né, tanto meno, dalle disordinate e confuse, ma soprattutto fuorvianti, ricostruzioni dei complottisti di ogni ordine e grado.
La realtà è lì, pronta a dischiudersi davanti ai nostri occhi, in ogni momento.
Basti pensare alla campagna di vaccinazione, trionfalisticamente annunciata e descritta in ogni dove eppur così misera e tardiva. Mentre gli Stati Uniti annunciano che l’Alaska sarà il primo stato ad essere completamente vaccinato, i media si dimenticano di aggiungere che la stessa ha poco più di 700.000 abitanti e una densità di popolazione pari a 0,4 abitanti per chilometro quadrato12, in Italia e in Europa ai guai legati a piattaforme mal funzionanti per le prenotazioni e ai numeri delle fiale di vaccino assolutamente non sufficienti si è aggiunto anche il “grosso guaio” causato, in diversi paesi europei, compresa l’Italia, dai casi di trombosi verificatisi dopo la somministrazione del vaccino Astra-Zeneca13.
Vaccino che fin dall’inizio aveva suscitato dubbi sulla sua effettiva funzionalità e che solo per l’emergenza vaccinale, legata alla scarsità di dosi disponibili come si è già detto poc’anzi, è stato approvato dall’EMA, prima solo per gli under 65 e successivamente anche per gli over. Confermando così come la vera sperimentazione di vaccini (sviluppati forse troppo in fretta per motivi di mercato) si stia svolgendo sui corpi dei vaccinati. Motivo per cui oggi, dopo diverse morti sospette, siamo costretti ad ascoltare ministri e generali, rappresentati dei governi e della “scienza” (oltre che di Big Pharma, dell’OMS e dell’AIFA) che affermarno che quel vaccino è sicuro ed efficace come tutti gli altri, nonostante la sospensione “in via precauzionale” della sua somministrazione sia stata resa operativa in quasi tutti i paesi europei (buona ultima l’Italia, lasciata sola anche da Germania e Francia) fino a giovedì 18 marzo.
Ora, al di là della facile ironia che si potrebbe fare su quell’”essere sicuro ed efficace come gli altri”, che non si sa se sia una constatazione dell’effettiva efficacia di Astra-Zeneca oppure una svalutazione di fatto dell’efficacia degli altri vaccini, ciò che c’è, molto semplicemente, da rilevare non è il solito big complotto, ma piuttosto il fatto che, come il “nostro” Marx aveva già rivelato, non è la domanda a creare l’offerta ma, piuttosto, il contrario. Ovvero questo c’è, 400 milioni di dosi di Astra Zeneca già acquistate dall’Unione Europea (che sicuramente, nei prossimi giorni, contribuiranno a spingere l’EMA nella direzione di una ripresa delle vaccinazioni con lo stesso siero)14, questo vi beccate e questo deve pure piacervi (anima santa di ogni pubblicità, dal detersivo per i piatti ai segretari del PD fino a ciò che dovrebbe difenderci dalla morte e dal Male), altrimenti niente “miracolo”.
Se è però evidente l’uso politico del discorso medico (e scientifico) che oggi viene fatto, è proprio Foucault a spiegarci che:
Se c’è stato effettivamente un legame tra la pratica politica e il discorso medico, non è, mi pare, perché questa pratica abbia mutato prima di tutto la coscienza degli uomini, il loro modo di percepire le cose o di concepire il mondo, poi in fin dei conti la forma della loro conoscenza e il contenuto del loro sapere; non è neppure perché questa pratica si sia riflettuta prima, in modo più o meno chiaro e sistematico, in concetti, nozioni o temi che sono stati, in seguito, importati nella medicina; è perché, più direttamente, la pratica politica ha trasformato non il senso, né la forma del discorso, ma le sue condizioni di emersione, d’inserzione e di funzionamento; essa ha trasformato il modo di esistenza del discorso medico15.
Il filosofo francese situava a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo l’affermazione di una scienza medica di origine positivistica, basata sull’affidamento incondizionato e totale al metodo sperimentale16. Una medicina scientifica e razionale che, però, non si sarebbe mai allontanata del tutto dalla promozione di una fiducia o fede nella Scienza di stampo religioso, assumendo vieppiù le sembianze di un culto destinato a cancellare qualsiasi possibile “altra” eresia, grazie anche al panico oggi esasperato dai media.
Nel tentativo di spazzare via qualsiasi tipo di immaginario che veda nell’attuale modo di produzione la causa e non la salvezza per le attuali pandemie, destinate soltanto a moltiplicarsi in futuro (qui), l’immaginario medico-politico istituzionale trasforma i vaccini in una sorta di panacea universale (sanitaria, economica e sociale) e conferma le ipotesi formulate da Foucault sull’«improvvisa importanza assunta dalla medicina nel corso del XVIII secolo», a partire dagli studi di Baldinger che, nel 1782, aveva definito la medicina “scienza dello Stato”, iscrivendola così nel campo definito vent’anni prima da T. Rau come “polizia sanitaria”, articolazione della più generale “scienza della polizia” o “scienza dell’amministrazione”»17.
La funzione di quella che era stata chiamata la «polizia universale della società» non è più, insomma, di preservare «l’ordine universale dello Stato e il bene pubblico» […] ma, come mostra Foucault rileggendo il Traité de police di Nicolas de La mare e l’«immensa letteratura» sulla Polizeiwissenschaft tedesca, è diventata quella di una tecnica che investe direttamente la vita degli uomini. essa si occuperà progressivamente di tutto ciò che deve assicurare la felicità degli uomini, di tutto ciò che deve ordinare ed organizzare i rapporti sociali. Vigila, infine, su tutto ciò che è vivente […] E’ l’atto di nascita di una politica che è «necessariamente una biopolitica». Ma, aggiunge, poiché «la popolazione non è nient’altro se non ciò di cui lo Stato si fa carico, naturalmente a proprio vantaggio, lo stesso Stato potrà, se necessario, condurla al massacro. La thanatopolitica è così il rovescio della biopolitica»18.
Su questa traccia Foucault arriverà alla selezione razziale operata dagli stati in nome della razionalità scientifica e alle leggi di Norimberga, ma questo esula da questo scritto. Mentre lo stesso tema della thanatopolitica, come rovesciamento della biopolitica, lo possiamo riscontrare, pur rimanendo nell’ambito delle risposte alla pandemia, nel fatto che intorno ai vaccini si sia accesa una vera e propria guerra imperialistica per il controllo del mercato mondiale delle cure per il Covid-19. Guerra autentica che da un lato vede il ricco bottino rappresentato dal raddoppio dei profitti realizzati in un anno dalle grandi case farmaceutiche in gara per la distribuzione del siero19, da un altro lo scontro tra Occidente, Russia e Cina per il controllo geo-strategico dello stesso mercato e da un altro ancora, last but not least, quello che vede i media e i politici fingere sdegno e versare lacrime di coccodrillo su coloro che non possono usufruire di cure mediche adeguate in vaste aree del globo.
Constatare che più di sei miliardi di persone molto probabilmente non potranno usufruire dei vaccini anti-Covid e, allo stesso tempo, strombazzare l’efficacia delle campagne di vaccinazione condotte tra gli anziani dell’Occidente oppure lamentare il taglio delle forniture dei vaccini per i paesi europei, dimenticando i milioni di bambini che, semplicemente, muoiono di fame o per non poter usufruire dei medicinali più comuni, fa parte di questo indegno spettacolo20, che rende evidente come, per l’immaginario occidentale, continuino ad esistere morti dal peso diverso e non comparabile. Una forma ultima e spietata di guerra per mantenere inalterata la “povertà” degli altri e che nella difesa ad oltranza della proprietà dei brevetti vede una delle sue autentiche armi di distruzione di massa.
Oggi, in tempi di pandemia e di democrazie blindate, il ruolo del discorso medico e scientifico sembra aver rafforzato anche un’altra funzione, “interna” agli stessi paesi dell’Occidente: quella regolamentatrice del lavoro. Intendiamoci bene, non quella sempre utile della medicina del lavoro e degli organismi addetti al controllo (sempre meno numerosi e sempre meno ascoltati) degli ambienti in cui questo si svolge. No, qui si tratta delle migliori modalità per poter condurre il lavoro, senza interromperlo, anche durante un’epidemia la cui gravità dichiarata ha costretto la popolazione a rinchiudersi in casa e i giovani e i bambini a rinunciare alla scuola in presenza.
Già in articoli comparsi su «Carmilla» nella primavera scorsa21 si era parlato della radicale trasformazione del lavoro che sarebbe avvenuta a partire dall’emergenza pandemica. In particolare si parlava dello smart working che, oggi, non a caso, è diventato l’elemento centrale del nuovo contratto degli statali e della riforma della pubblica amministrazione.
Sebbene una delle motivazioni che sarà addotta, tra le altre, sarà sicuramente quella di venire incontro alle necessità femminili (famiglia, gestione dei figli e di quella che una volta si sarebbe detta “economia domestica”), che sembrano essere sempre le stesse individuabili nell’immaginario maschile e patriarcale della “famiglia felice”, certamente tale forma di atomizzazione del lavoro, sempre più collegata al raggiungimento degli obiettivi e dei risultati, andrà sicuramente a fracassare il rapporto tra contratto, orario e salario che da molto tempo costituiva una conquista per tutte le categorie di lavoratori dipendenti formalmente “garantiti” da un contratto collettivo.
Se è facile immaginare ciò che tale nuovo tipo di contrattazione, già benedetta dai rappresentanti della triplice sindacale tricolore, comporterà per i lavoratori dello Stato (mentre, nel frattempo, iniziano ad essere messe in discussione anche le ferie degli insegnanti), altrettanto facile è comprendere come essa già porti in seno quella trasformazione dei rapporti di lavoro in fabbrica che, da diversi anni a questa parte, costituisce il vero cuore o core business di ogni richiesta avanzata da Confindustria e dagli imprenditori nei confronti dei lavoratori e delle loro organizzazioni: legare il salario (e magari anche l’orario) alla produttività e al raggiungimento degli obbiettivi.
Il prossimo accordo sindacale dei metalmeccanici e di tutte le altre categorie produttive, una volta scardinata la difesa dei “privilegi” dei lavoratori dello Stato, non potrà vertere che su questo punto. Approfittando, come nel dopoguerra cui si fa così tanto riferimento citando ad ogni piè sospinto la Ricostruzione, dello sfinimento delle categorie sociali meno abbienti, della loro delusione e del loro completo disarmo politico e sindacale. E soltanto allora, dopo la fine del blocco dei licenziamenti, si comprenderanno appieno i sinistri riferimenti a Winston Churchill e alla sua promessa di “sangue, sudore e lacrime”.
Ecco allora che ciò che si diceva all’inizio sul disciplinamento dei corpi e delle menti, passato nella storia dell’Occidente prima attraverso l’istituzione dei conventi e, successivamente, degli eserciti di leva e ferma prolungata (dopo la guerra dei trent’anni, forse l’ultima guerra ad essere combattuta da eserciti quasi esclusivamente formati da mercenari), le caserme, le prigioni, i manicomi, le scuole e le fabbriche, potrebbe giungere una volta per tutte al suo coronamento: il corpo umano sfruttato come produttore/consumatore e la mente ridotta a software funzionale a tale sistema e alla sua “rete”.
Ha scritto un giorno Foucault che la sofferenza e la sventura degli uomini fondano «un diritto assoluto a sollevarsi». Viviamo oggi in un mondo in cui «tutto è pericoloso», come ripeteva spesso. Lo stesso sapere è diventato pericoloso, «e non soltanto per le sue conseguenze immediate a livello dell’individuo o dei gruppi di individui, ma addirittura al livello della stessa storia». In un mondo siffatto quel che ci resta (quel che si impone) è «una scelta etico-politica» sempre rinnovata per «determinare quale sia il pericolo principale»22.
(per Carlo, Arafat, i lavoratori di Piacenza e quelli di Prato in lotta, per Dana e la Valle che resiste, ma anche in memoria di Michel Foucault)