La “dottrina Mitterrand” – che negli anni Ottanta ha permesso a militanti italiani di estrema sinistra che avessero rinunciato alla lotta armata di essere accolti in Francia – deve essere protetta. Così in un appello lanciato da varie personalità del mondo culturale e giuridico francese tramite il giornale “Le Monde”, di fronte alle richieste di estradizione di molti di loro da parte del governo italiano. Un appello che assume ancora più valore dopo gli arresti avvenuti ieri a Parigi. Traduzione di Anna Viero.
Sono giunti in Francia principalmente agli inizio degli anni Ottanta, più di quarant’anni fa. Hanno preso parte all’enorme ondata di contestazione politica e sociale che ha segnato profondamente l’Italia nel corso del decennio successivo al 1968. Appartenevano a gruppi diversi, avevano delle storie diverse, erano tutti perseguitati dalla giustizia italiana per la loro attività politica. Sono stati protetti dalla cosiddetta ‘dottrina Mitterrand’: perché a volte le condizioni di funzionamento della giustizia italiana, dettate dalla necessità di una risposta pronta alle derive terroriste della contestazione sociale, lasciavano paradossalmente temere che tutte le garanzie giuridiche non venissero rispettate; perché, più in generale, gli esuli italiani avevano dichiarato pubblicamente di aver abbandonato il militarismo politico, di considerare la loro attività passata come un capitolo chiuso, e di rinunciare alla violenza.
La dottrina Mitterrand non è un testo scritto, ha valore solo in quanto decisione politica. Ma si basa su un ragionamento riconfermato successivamente da molti governi, sia di destra che di sinistra, e che secondo noi vale la pena ricordare. Non ha mai avuto l’obiettivo di sottrarre dei colpevoli alla loro giusta pena, né di rimettere in questione il diritto di uno Stato di far valere i propri sistemi di giustizia. Ha semplicemente creato, de facto, un meccanismo che consiste nel prendere la decisione politica – di fronte alla lacerazione dolorosa e totale della coesione di un Paese, e una volta che la contesa politica di tale lacerazione sembrava essere sparita – di gettare le basi per un’unità e una pace rinnovate.
Trasformare il dolore in conoscenza
Non riguarda quindi i singoli casi, ma una frattura che si è prodotta e che ha subito violenza, ma che sembra essere ormai passata: si pone il problema della ricostruzione di questa frattura. Non cancella gli errori e le responsabilità, non nega la storia passata. Permette semplicemente a un Paese di ricominciare a vivere; e indubbiamente anche agli storici di cominciare a trasformare il dolore lancinante in conoscenza.
Nel caso degli anni di piombo, alla fine degli anni Novanta si era intravista una possibilità ipotetica quasi realizzata dall’Italia stessa, perché bisognava dichiarare chiuso il capitolo – ancora una volta non per dimenticare, ma per permettere al Paese di liberarsi di un periodo ormai conclusosi, e di lasciare agli storici il compito di farne storia.
Questa possibilità, che prendeva la forma di un’amnistia politica, non è stata colta: era legata a un progetto di riforma costituzionale che alla fine non è mai stato dato alla luce.
La guerra è finita
Oggi gli ex brigatisti italiani arrivati agli inizi degli anni Ottanta in Francia hanno quarant’anni in più. Hanno ormai di gran lunga raggiunto l’età della pensione. Sono stati giornalisti, restauratori, medici, grafici, documentaristi, psicologi. Hanno avuto dei figli, e dei nipoti. Non hanno smesso di ripetere che la guerra era finita; che erano ormai da molto tempo estranei al loro passato, senza però mai rinnegare la loro responsabilità. Volevano il bene, la giustizia, l’uguaglianza, la condivisione, la solidarietà. Hanno avuto la tragedia, ne ammettono la propria responsabilità, ma hanno detto addio alle armi ormai da quattro decenni, e tutte le loro vite a partire da allora ne sono state la prova.
É a queste donne e uomini, che quarant’anni più tardi, si va a chiedere il conto. Non solo di ordine morale – ognuno di loro ha avuto tempo a sufficienza per riflettere – ma in nome di una giustizia che decreta che perdonare significa dimenticare, che l’amnistia è tuttora un tradimento, che la riconciliazione vale meno delle ferite che si riaprono. Riaprire le ferite: far sì che la storia non passi.
Riaffermare la dottrina di Mitterrand oggi non significa assolutamente dare all’Italia una lezione in materia di giustizia. Significa solo ricordarsi che la politica si fa anche e soprattutto nel presente; che si deve porre l’obiettivo di creare le condizioni per un futuro comune; e che la concezione della giustizia come strumento di vendetta, soprattutto se quarant’anni dopo, non corrisponde a quello che noi consideriamo come uno strumento consapevole della democrazia.
Prime persone firmatarie: Arié Alimi, avvocato; Etienne Balibar, filosofo; Luc Boltanski, sociologo, direttore di studi emeriti di scienze sociali; Jean-Louis Brochen, avvocato; Fabien Calvo, professore alla facoltà di medicina Paris-Diderot ; Marina Cavazzana, professoressa di ematologia all’università Paris-Descartes ; Romain Descendre, professore di italianistica e storia del pensiero politico, ENS Lyon ; Jean-Louis Fournel, professore di scienze politiche università Paris-VIII ; Claude Gautier, professore di scienze politiche, ENS Lyon ; Pierre Girard, professore di italianistica università Lyon-III ; Nicolas Guilhot, storico, professore all’istituto universitario europeo; Bertrand Guillarme, professore di filosofia politica e sociale università Paris-VIII ; Bernard E. Harcourt, professore di diritto e scienze politiche, EHESS/università Columbia ; Georges Kiejman, avvocato, ex ministro; Pascale Laborier, professore di scienze politiche, università Paris-Nanterre ; Sandra Laugier, professore di filosofia università Paris-I Panthéon-Sorbonne ; Dominique Maraninchi, professore emerito di oncologia, Aix-Marseille Université ; Frédérique Matonti, professore di scienze politiche, università Paris-I Panthéon-Sorbonne ; Jean Musitelli, ex consigliere diplomatico e portavoce di François Mitterrand ; Judith Revel, professore di filosofia, università Paris-Nanterre ; Xavier Tabet, professore di italianistica, università Paris-VIII ; Michelle Zancarini-Fournel, professore emerito di storia contemporanea, università Lyon-I ; Jean-Claude Zancarini, professore emerito di italianistica, ENS Lyon.