Tre giorni di “paro nacional”. Una protesta, iniziata il 28 aprile all’annuncio della nuova riforma tributaria, che è montata col passare dei giorni e, di pari passo, una repressione spietata che ha prodotto un bilancio drammatico: non ci sono al momento dati ufficiali ma potrebbero essere addirittura 35 le persone uccise dalla violenza degli squadroni speciali della ESMAD (il reparto anti sommossa) mentre non si contano i centinaia di feriti, di arrestati, le violenze efferate e ingiustificate nei confronti dei manifestanti pacifici e anche le notizie su alcuni manifestanti “desaparecidos” e su una violenza sessuale subita da una giovane a Cali.
Le iniziative di protesta sono state lanciate dalle organizzazioni del lavoro contro le nuove misure economiche promosse dal governo neoliberista del presidente Duque. All’appello hanno subito risposto le organizzazioni indigene, studentesche, i collettivi femministi e i movimenti sociali che in pochi giorni hanno costruito la più grande manifestazione di piazza dal settembre 2020 quando l’uccisione di un avvocato aveva provocato un “estallido” di protesta durato qualche giorno contro la violenza e gli abusi della polizia.
La “reforma tributaria” è stata subito osteggiata dai settori più deboli della popolazione, già colpiti duramente dalla crisi economica prodotta dall’ultimo anno di pandemia. A scatenare il malcontento soprattutto l’intenzione del governo di Duque di aumentare l’IVA e le accise sul carburante, decisione che provocherebbe un aumento generalizzato di tutti i prodotti e i beni di consumo, andando a colpire soprattutto le fasce più deboli della popolazione. Viceversa, nella riforma non vengono colpite le grandi imprese, il settore militare (che anzi ottiene un nuovo ingente investimento statale) e la Chiesa.
Le prime manifestazioni sono partite il 28 aprile: prima a Bogotá e poi si sono diffuse in tutto il territorio nazionale, a macchia d’olio. Secondo la Central Unitaria de Trabajadores, nel solo 28 aprile sono scesi in piazza oltre 5 milioni di persone in oltre 600 municipi. La risposta dello stato non si è fatta attendere e, come al solito, è stata molto dura: il bollettino dell’organizzazione di difesa dei diritti umani Defender la Libertad parla di 20 persone ferite, 24 arrestate e 49 denunce oltre a innumerevoli casi di abusi e violenza immotivata.
La reazione dello Stato non ha fatto altro che rafforzare la popolazione e convincerla a scendere in strada con ancora più motivazione, non solo contro la già citata riforma ma anche contro le violenze della polizia che in larga parte ha represso manifestazioni pacifiche. Ad aggiungere benzina sul fuoco le dichiarazioni del presidente Duque che, nonostante le proteste e le voci di dissenso contro la sua riforma, ha dichiarato che proseguirà nel suo intento di fare approvare il disegno di legge e che sugli “atti vandalici si abbatterà tutto il peso dello Stato”.
Ancora una volta sono scese in strada milioni di persone e ancora una volta sulle pacifiche manifestazioni si è abbattuta tutta la violenza della polizia. Tuttavia, sulla repressione del 29 aprile al momento non ci sono dati certi: il portale Colombia Informa ha intervistato diverse piattaforme di difesa dei diritti umani le quali hanno dichiarato che «oggi le forze di polizia sono state totalmente intransigenti nel dare numeri e nomi delle persone detenute».
Ma la giornata più tragica è stata quella di venerdì quando si sono verificati pesantissimi scontri in particolare a Bogotá e soprattutto a Cali. Dopo i primi due giorni di protesta, il Ministro della Difesa Diego Molano ha inviato ulteriori 1000 agenti per reprimere le manifestazioni. E gli effetti sono stati devastanti: in rete circolano numerosi video di denuncia con la polizia che spara ad altezza uomo e alle spalle ai manifestanti in fuga; e poi, piogge di lacrimogeni, abusi e violenze indiscriminate degne delle più crudeli dittature.
Il bollettino è drammatico e parziale: le diverse organizzazioni che si occupano di difendere la popolazione e di raccogliere i dati infatti sono state vittime loro stesse degli attacchi indiscriminati delle forze armate. Secondo il già citato Defender la Libertad, la repressione della polizia nei tre giorni di “paro nacional” ha fatto registrare in tutto il paese, almeno 105 persone ferite, di cui sei con lesioni oculari e 26 difensori dei diritti umani aggrediti fisicamente dalla polizia; i morti accertati sarebbero stati quattro, più altri sette in riportati nella “guerra di Cali”; infine, 286 le persone arrestate, nella maggior parte dei casi con procedimenti arbitrari. Temblores, altra organizzazione di difesa dei diritti umani parla di 14 persone uccise, 655 detenzioni arbitrarie e 68 vittime di aggressioni violente da parte della polizia.
“Il peso dello Stato” non ha però evitato che in tutto paese venisse celebrato il 1° maggio. Di nuovo, le città colombiane si sono riempite di colori, di musica, di grida di festa e di lotta. Al momento di redigere questo articolo non si sono ancora verificati incidenti importanti ma, visti i precedenti dei giorni scorsi è molto probabile che con il passare delle ore, ritorneranno in scena gli squadroni della morte della ESMAD, con il loro bagaglio di violenza e abusi a reprimere qualsiasi forma di dissenso e protesta.
È difficile prevedere come evolveranno gli eventi nei prossimi giorni: questo “paro nacional” ha visto mobilitarsi come non mai la popolazione contro il nemico comune. La speranza è che, come dice Zibechi, questa insorgenza non rimanga un “estallido” di qualche giorno, ma che si trasformi in una vera e propria rivolta, destinata a durare nel tempo e produrre dei risultati concreti, la marcia indietro di Duque sull’iniqua riforma tributaria.