Uno sputnik costruito in garage… è entrato in orbita. È l’immagine più adatta per definire questa rivista, che battezza il suo numero 2, quello del 2021.
Per spiegare la metafora bisogna considerare alcuni elementi. Sia il #1 sia questo #2 de «I Quaderni di Arda» contengono gli atti di convegni tenutisi all’Università di Trento (rispettivamente nel 2017 e nel 2020), promossi dall’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, con l’aggiunta di alcuni contributi extra. Tanto gli interventi dei relatori quanto quelli aggiunti ex post nascono da un melting pot di studiosi professionisti (la maggior parte italiani e alcuni stranieri) e studiosi dilettanti (alcuni membri del Gruppo di Studi dell’AIST altri no), cioè dall’incontro tra studio accademico e passione “da fan”. Il risultato è una grande varietà d’approcci.
Accanto a studi filologici, stilistici, storico-letterari, si trovano articoli sui punti di contatto tra Tolkien e la narrativa fantascientifica e horror, sulle traduzioni delle sue storie attraverso le arti grafiche e la musica, sugli sviluppi transmediali del racconto tolkieniano o sulle mappe come supporto fondamentale alla “sub-creazione” di mondo. Si va dalla filologia germanica, alle recensioni di saggi e cataloghi, all’indagine sulla fan fiction, abbattendo qualunque barriera architettonica che possa porsi in mezzo, eccetto quella della serietà d’approccio.
La linea editoriale di fondo è una declinazione, adeguata al contesto, della stessa attitudine che già ispira tutta l’attività dell’AIST, improntata alla cultura convergente e alla cultura partecipativa, per come le ha teorizzate Henry Jenkins. Concetti e pratiche che disarticolano la narrazione conservatrice e autoconsolatoria “cultura alta vs cultura bassa”, “critica vs fandom”, “snob vs pop”, buona per alimentare la nevrosi dei cultori della materia (quale che sia).
E tuttavia è chiaro che rendere gli ambiti specialistici permeabili alla critica partecipata dei fan e valorizzare l’angolazione del fandom per l’indagine e la conoscenza della narrativa – vedi il laboratorio di analisi del testo tenuto da Wu Ming 4 proprio all’Università di Trento, che si risolve di fatto nel fare scrivere agli studenti racconti di fan fiction tolkieniana o a questa ispirati – non va scambiato per un azzeramento dei criteri d’indagine stessi. Proprio come fare «popular history» non può significare pretendere di fare storia senza adottare gli strumenti della ricerca storica, allo stesso modo fare «popular criticism» non equivale a trasformare la passione per un oggetto narrativo in un principio d’autorità autosufficiente, uguale e contrario allo specialismo accademico. Il punto, se mai, è uscire dalle reciproche zone di comfort e mettersi in gioco in campo aperto, affrontando le difficoltà che questo comporta. Per parafrasare l’elfo Gildor Inglorion: chiudersi nelle proprie contee/nicchie – siano quelle accademiche o quelle del fandom, ciascuna con i suoi gelosi gatekeepers – non cambia il fatto che tutt’intorno c’è un mondo intero e che questo non può essere lasciato fuori per sempre.
Questo #2 monografico dei «Quaderni di Arda» è anche una dimostrazione metodologica. Dopo due anni di polemiche intorno alla nuova traduzione del Signore degli Anelli («intorno» nel senso che l’anno preceduta, accompagnata e seguita), la rivista inserisce il dibattito in un contesto ben più ampio e complesso. Facendo parlare i traduttori italiani di Tolkien, due traduttrici straniere, filologi e studiosi di letteratura, e raffrontando le varie traduzioni e ritraduzioni in diverse lingue europee, si definisce un vero e proprio “caso di studio” per chiunque sia interessato alla pratica e alla teoria della traduzione (anche a prescindere da Tolkien) e alla diversa ricezione di un’opera letteraria nei vari contesti linguistici.
Nell’esperienza dei Quaderni di Arda, accademici, traduttori, giornalisti, critici letterari, studiosi dilettanti e semplici appassionati, sono coinvolti in un progetto che conta già due numeri in versione online e cartacea (con alcune differenze mantenute tra l’una e l’altra nelle sezioni Off ed Extra), che rappresentano di per sé due raccolte di saggi tra le più originali ed eterogenee prodotte in contesto italiano sull’autore in questione.
Se per l’organizzazione dei convegni a fare la parte del leone è soprattutto l’Università di Trento nel suo dipartimento di Lettere e Filosofia (benché gli accademici coinvolti facciano capo ad almeno sei atenei diversi), per quanto riguarda la rivista promossa dall’AIST si può dire che è realizzata davvero con pochi mezzi e zero finanziamenti. A fronte di un board che conta alcuni dei più importanti studiosi tolkieniani al mondo, il collettivo redazionale è attualmente composto da sei persone, tra redattori e redattrici, quasi tutte alla loro prima esperienza di questo tipo, alle quali si aggiungono un webmaster e un impaginatore per Eterea Edizioni, la piccola casa editrice che pubblica la rivista.
Rispetto alla rotta, infine, si può dire che il viaggio parte da Tolkien, ma per andare oltre. Non per niente la sottotestata è: «rivista di studi tolkieniani e mondi fantastici». Si tratta di indagare la narrativa fantastica, di genere, e non solo, nelle sue varie forme, fino alle più recenti, ovvero di tracciare mappe concettuali attraverso la letteratura e attraverso le epoche, usando Tolkien come crocevia. Crocevia di generi e di percorsi che partono dai poemi medievali, passando per il medievalismo ottocentesco inglese e il confronto con il modernismo del Novecento (o anche con il cosiddetto post-modernismo), per arrivare ai “figli e figliastri” di Tolkien nel panorama narrativo attuale.
Un numero monografico all’anno, senza fretta. Curato al meglio delle possibilità. Testi liberamente accessibili on line, elegante volume cartonato per i supporter, i collezionisti e le biblioteche di dipartimento.
E che i Valar ce la mandino buona.
Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)