di Marco Bersani, Attac Italia
Speriamo che il Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, fra una conta delle trivelle autorizzate prima di addormentarsi e un sogno sulla fusione nucleare durante il sonno, trovi al risveglio il tempo – e la volontà politica – di occuparsi del Trattato sulla Carta dell’Energia (ECT-Energy Charter Treaty), che rischia di pregiudicare qualsiasi tentativo di trasformazione della produzione energetica in direzione del superamento dell’energia fossile.
Di cosa si tratta?
É un accordo internazionale sugli investimenti, sottoscritto nel 1994 ed entrato in vigore nel 1998, che stabilisce le regole transfrontaliere di mercato nel settore dell’energia.
Nato alla fine della guerra fredda con l’idea di inglobare la produzione energetica dell’ex Unione Sovietica e dei paesi dell’est nel mercato europeo, il trattato prevede strumenti giuridici vincolanti, arbitrati internazionali per dirimere le controversie, sentenze e sanzioni.
É un trattato quasi sconosciuto (alla faccia della democrazia), del quale l’Italia si è accorta nel 2013, quando, in seguito a proteste popolari continuative, il governo italiano decise di ritirare la concessione per la piattaforma petrolifera Ombrina Mare sulle coste abruzzesi alla multinazionale inglese Rockhopper.
In seguito a questa decisione, la compagnia petrolifera sporse denuncia contro l’Italia chiedendo pesanti risarcimenti per le perdite sugli investimenti (23 milioni) e per i mancati profitti futuri (102 milioni). La denuncia fu presentata per violazione dell’Energy Charter Treaty, che l’Italia aveva sottoscritto, insieme a 50 altri Paesi dell’Europa e dell’Asia centrale fino al Giappone.
L’esempio italiano è ovviamente in buona compagnia, tanto che sono 136 le cause legali avviate dalle multinazionali contro i governi e depositate presso i tribunali arbitrali a L’Aia, Stoccolma e Washington. Cause coperte da assoluta segretezza fino all’arrivo della procedura in tribunale.
Come si può intuire, si tratta di una vera trappola climatica che può impedire a qualsiasi governo di intraprendere scelte di trasformazione ecologica della produzione di energia, per evitare il rischio di essere chiamato a risponderne nei tribunali arbitrali e di dover risarcire con cifre esorbitanti le multinazionali del fossile.
Per avere un’idea dei soldi che ballano, basti ricordare che gli attuali investimenti in produzioni energetiche da energie fossili muovono quasi 350 miliardi di euro,
L’apparente buona notizia è che nel 2016 l’Italia è uscita dal trattato.
Tutto risolto, dunque? No, perché il trattato, all’articolo 47, prevede che, anche in caso di recesso, i paesi sottoscrittori si impegnino a rispettarlo per ulteriori 20 anni per tutti gli investimenti energetici fatti entro la data di interruzione.
Questo significa che per tutti gli investimenti effettuati dalle multinazionali del fossile in Italia fino al 2016, le clausole dell’Energy Charter Treaty resteranno in vigore fino al 2036!
Nel novembre 2021 si terrà a Glasgow in Scozia la 26esima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 26) e potrebbe essere il luogo adatto per chiedere l’abolizione senza se e senza ma di un trattato doppiamente vergognoso perché, da una parte, impedisce di fare scelte necessarie per contrastare i cambiamenti climatici e tutelare la vita e l’ambiente, dall’altra espropria le istituzioni pubbliche, permettendo alle multinazionali di governare territori e popolazioni secondo i propri interessi.
Sono già centinaia le realtà ecologiste, climatiche, sociali, giovanili, sindacali e di consumatori che in tutta Europa chiedono una drastica inversione di rotta.
Che ne dice Ministro Cingolani?