di Alexik
Ricordare Genova è un esercizio complicato.
Personalmente non sono mai riuscita a farlo con serenità, senza sentir crescere una stretta allo stomaco, né a derivarne degli elementi costruttivi.
E’ un bene, quindi, potermi ritrovare fra le mani un testo che mi consente di andare al di là della mia visione parziale.
Nessuna ricostruzione individuale può infatti riuscire da sola a cogliere le complessità e le implicazioni dei giorni del G8, l’insieme delle soggettività che si sono espresse o che si sono formate sulla base di quella esperienza.
Del resto, “la memoria è un ingranaggio collettivo”.
Un ingranaggio che Zona rossa, ultimo numero di Zapruder, prova a rimettere in moto.
Frutto del confronto fra la redazione di Zapruder e SupportoLegale, la stesura di Zona Rossa ha nella dimensione collettiva la sua stessa origine. Si rivolge a Genova attraverso uno sguardo plurale, riunendo le visuali di generazioni diverse e diversi metodi di linguaggio.
Comprende le voci di chi a Genova non c’era, per motivi generazionali, e che ne ha elaborato la storia dai racconti.
Comprende la voce di chi, pur avendo la massima autorevolezza per parlarne, in tutti questi anni ha usato la parola con parsimonia, responsabilità e coscienza, in mezzo ad ondate di retoriche e di ricostruzioni fasulle o infamanti.
La voce di chi si è rimboccat* le maniche per sostenere compagn* incriminat* per devastazione e saccheggio, mentre altri si esercitavano nei distinguo fra buoni e cattivi, offrendo la sponda alla criminalizzazione mediatica e giudiziaria di una parte del movimento.
Comprende, finalmente, la voce di quell* che hanno pagato per tutti, con più di 10 anni di galera a testa1, e che con serenità ripetono: “in ogni caso, nessun rimorso“.
Uno di loro, Luca, dopo che per anni sono stati spesi da chiunque sul G8 di Genova fiumi di parole, pensa di “non poter aggiungere qualcosa che non sia già stato detto, visto e rivisto“.
E suggerisce una traccia: “più interessante può essere sapere cosa è successo dopo“.
Proprio su questo si concentra Zona Rossa: sul prima, sul dopo e sull’altrove, e soprattutto sugli elementi da cui trarre utilità per il presente.
“Il ricordo di Genova può essere un futuro anteriore, una memoria che ci aiuta a guardare avanti invece che indietro, utile a capire meglio la transizione verso quel qualcosa di indefinito che stiamo vivendo“.
E così impariamo come, nel dopo Genova, un gruppo di compagn* proveniente da Indymedia ha forgiato strumenti metodologici e di contenuto (oltre che competenze tecniche assolutamente non comuni) utili ad affrontare anche il tempo presente.
“SupportoLegale nasce dal presupposto di non chiedere mai agli altri cosa avessero fatto nel 2001, né a che area appartenessero. Si è creato un gruppo di persone che aveva come unica finalità riuscire a supportare e dare man forte a chi stava seguendo i processi…
Noi ci siamo battuti su delle parole d’ordine abbastanza brevi, ma su cui siamo stati irremovibili: sul No alla divisione fra buoni e cattivi, sulla legittimità di tutte le forme di dissenso che erano state espresse a Genova, sulla legittimità di tutti i pensieri che sono stati espressi a Genova…
A noi piacerebbe che uscisse questa parte della storia. Proprio perché tanti, ancor oggi, non hanno imparato la lezione, non la vogliono imparare. Vogliono togliere legittimità a dei pezzi di storia, a dei pezzi di senso, a dei pezzi di conflitto.
Noi la pensiamo tutti in modo completamente diverso … tutte le modalità di rappresentazione del conflitto, almeno rispetto a questo pezzo di storia che abbiamo fatto tutti quanti insieme sono legittimi. Vanno rispettati e vanno difesi. E sentiamo di essere tutti dalla stessa parte della barricata“.
Una coesione nata dalla capacità di attribuire priorità politica all’obiettivo comune, e che non verrà fatta propria dal movimento No Global, uscito dall’esperienza di Genova più diviso che mai, ma diverrà invece punto di forza in Val di Susa, probabilmente proprio a partire dalla riflessione su Genova.
È questo un ulteriore elemento di pregio di Zona Rossa: la ricostruzione di come abbia influito l’esperienza di Genova sulla formazione delle soggettività dei movimenti di oggi, che ci mostra che questa storia non si è conclusa solo nel sangue, nella sconfitta, nelle posizioni dissociatorie, e nella lenta agonia dei social forum.
Per esempio la presenza a Genova 2001 di un nutrito spezzone del giovane movimento No TAV ha favorito “l’identificazione fra quello che la Valle stava iniziando a vivere e le ragioni della protesta contro il G8“.
Emergono dalle interviste ai No TAV da un lato il rafforzamento della coscienza della portata globale dei contenuti della propria lotta, dall’altro le conseguenze sul territorio, con nuovi comitati locali che nascono in Valle a partire dalla determinazione maturata proprio nei giorni del G8.
Il 23 luglio 2011 il corteo per il decennale di Genova è aperto dallo spezzone della Val di Susa, che ha guadagnato sul campo il diritto alla “testa del corteo” nei giorni dello sgombero della Libera Repubblica della Maddalena e dell’assedio al cantiere di Chiomonte2.
Lo slogan dei valsusini “siamo tutti Black Bloc” sancisce il rifiuto della divisione fra buoni e cattivi, nel luogo esatto in cui tale divisione aveva creato al movimento di 10 anni prima effetti disgreganti.
E non si tratta solo di uno slogan, perché proprio nell’assedio di Chiomonte il movimento ha accolto e riconosciuto metodi di lotta e soggettività differenti, e su questa base si è creata coesione e rispetto.
Genova diviene dunque generatrice di coscienza anche in negativo, una lezione sugli aspetti da non emulare se non si vuol ripercorrere lo stesso declino del “movimento dei movimenti”.
Uno di questi aspetti è la desolidarizzazione successiva alle incriminazioni per devastazione e saccheggio.
Dice SupportoLegale: “Molte delle persone finite sotto processo sono state completamente abbandonate dai loro gruppi, dalle loro organizzazioni, dai loro collettivi. Sono state lasciate completamente sole e sono sole oggi. Ci siamo stati solamente noi“.
L’esatto opposto di un principio cardine della lotta in Val di Susa, dove “si parte e si torna insieme“.
Zona Rossa identifica in Genova un crinale di crisi che va al di là del declino del movimento No Global, investendo le stesse sorti e pratiche della sinistra radicale maturate nel corso del ‘900.
E’ una cesura nelle modalità delle mobilitazioni, perché “improvvisamente la piazza esonda qualsiasi volontà di controllo, spinta tanto da pratiche di conflitto che rifiutano la mediazione dei portavoce del movimento, quanto dalla repressione degli apparati dello Stato… Segno di una liberazione dalle volontà di controllo (e di mediazione) delle strutture organizzate ? Oppure traccia di una crisi di una idea di organizzazione a cui fa fatica a sostituirsene un’altra ?”
Genova segna anche la crisi delle pratiche di simulazione del conflitto:
“Chi pensava che aver evocato troppo il conflitto avesse portato alla catastrofe organizzativa e chi, invece, condannava la rinuncia a organizzarsi in conseguenza di quella “dichiarazione di guerra” giocata su un piano simbolico, a cui però lo Stato prevedibilemnte credette davvero. Comunque ci si ponga, a Genova si è capito che la rappresentazione simbolica del conflitto è gestibile fino a un secondo prima dell’esplosione del conflitto vero e proprio, poi è solo pericolosa”.
Va in pezzi, infine, la bizzarra idea di una democratizzazione delle forze dell’ordine, conseguente ai processi di smilitarizzazione e sindacalizzazione iniziati una ventina di anni prima. Idea fallace, visti i risultati, e che non teneva conto di come i poteri di polizia fossero stati particolarmente sviluppati secondo logiche di guerra proprio nei due decenni precedenti. (Continua)