Proponiamo un contributo di Hagai El-Ad, direttore della ONG per i diritti umani B’Tselem, originalmente pubblicato dal Washington Post. Traduzione di Irene Rizzi.
La maggior parte degli israeliani ebrei passa il proprio tempo fingendo che Gaza con i suoi 2 milioni di palestinesi sia scomparsa dalla faccia della Terra. I civili sotto assedio, l’acqua inquinata, il permesso d’uscita negato anche solo per l’assistenza medica di base – questi sono tra gli infiniti modi in cui nella Striscia di Gaza i palestinesi sono quotidianamente umiliati da Israele – sono completamente invisibili alla metà ebraica della popolazione che vive tra il Giordano e il Mar Mediterraneo. Invisibili, finché una volta ogni qualche anno le sirene e i razzi fungono da terribile risveglio.
Allo stesso modo, Israele preferirebbe che rimanessero invisibili anche gli sfratti forzati delle famiglie palestinesi a Sheikh Jarrah, un quartiere occupato di Gerusalemme Est nella parte della Cisgiordania che Israele ha annesso formalmente. Tale desiderio si riflette nella lingua ufficiale: il Ministro degli Esteri di Israele si riferisce a questo graduale processo di pulizia etnica del quartiere palestinese e di rimpiazzo con famiglie ebree, sancito dallo stato, come una “disputa su beni immobiliari tra partiti privati”.
La “disputa” si basa su una legislazione razzista (le leggi del 1950 e del 1970 passate sotto i governi laburisti di “sinistra”) che permette agli ebrei, ma non ai palestinesi, di rivendicare il diritto di proprietà precedente al 1948. Gli attivisti palestinesi questo mese hanno fatto in modo che tali abusi non vengano ignorati.
Un altro fatto che tende ad essere invisibile: le case palestinesi vengono demolite perché sono costruite senza permessi, in un sistema che prova a impedire ai palestinesi di ottenerli. Oppure: i palestinesi vengono uccisi dall’impunità delle forze di sicurezza israeliane – in un sistema che mira alla loro de-responsabilizzazione. Oppure il fatto che le organizzazioni colonizzatrici si muovono nelle città “miste” all’interno dei confini di Israele – le stesse città da cui i palestinesi sono statə cacciatə 73 anni fa e a cui non è permesso tornare – in un sistema progettato per giudaizzare ulteriormente questa terra.
Questi sono solo alcuni esempi della realtà in Israele e nei territori palestinesi. L’apartheid è il principio organizzativo che collega tutte queste forme di colonizzazione e trasferimento, non rappresentanza e oppressione, dominio e supremazia. I palestinesi possono essere cittadinə di serie b, “residenti permanenti”, soggetti occupati o rifugiati. I dettagli variano, ma il modello rimane lo stesso: tutti i/le palestinesi che vivono sotto il controllo di Israele sono considerati inferiori di status e con meno diritti dagli ebrei che vivono nella stessa area.
La mia organizzazione, il gruppo per i diritti umani B’Tselem, alla sua fondazione nel 1989, ha limitato il suo mandato alla Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est) e a Gaza. Visto che le intenzioni di lungo termine di Israele – mantenere il controllo privando milioni di palestinesi di diritti e cittadinanza – sono diventate chiare, non crediamo più che gli abusi in questi luoghi possano essere separati dalla politica generale di discriminazione razziale applicata in tutta l’area sotto il controllo di Israele. Abbiamo spiegato la nostra posizione per un cambiamento di prospettiva in un documento intitolato “This is Apartheid” a gennaio; allo stesso modo la Human Rights Watch ha emanato un’esaustiva sentenza ad aprile affermando che gli ufficiali israeliani stanno commettendo il crimine di apartheid.
Per decenni, Israele è riuscito a isolarsi dal suo presunto progetto di occupazione separatista e temporaneo. Molti palestinesi l’hanno vista lunga e hanno chiamato questo regime di prevalenza etnica con il suo vero nome. La diagnosi di apartheid è corretta non solo perchè l’occupazione è intrinseca ad Israele (chi esattamente dirige il regime militare nei territori occupati?), ma anche perché le politiche di dominio e supremazia di un gruppo (gli ebrei) sull’altro (i palestinesi) sono l’essenza della realtà che sta prendendo forma dal fiume al mare.
In questo contesto, gli episodi di violenza – specialmente quelli abbastanza orribili da entrare nelle notizie globali, come quelle di questo mese – non sono uno sbaglio ma una caratteristica di questo sistema. La violenza di Stato è uno strumento permanente per l’espropriazione e il controllo, la riprogettazione demografica e la “deterrenza”. La quantità specifica di violenza applicata è in continua evoluzione, la paura non è mai assente.
E quindi, ripetutamente, quando uno o più di questi frammenti emerge, c’è sorpresa, le persone si schierano contro la violenza e ci si impegna ristabilire quello che in modo fuorviante viene chiamato lo “status quo”. Ma ciò non significa che la violenza è davvero finita. Significa solo che ancora una volta la violenza di Israele sui palestinesi è stata resa invisibile – che ancora una volta la tensione si è fatta assente (per alcuni) e l’ingiustizia onnipresente (per altri).
La falsità secondo cui Israele è uno stato “ebreo e democratico” è comunemente accettata. Di fatto Israele non lo è: è un’entità binazionale, intrinsecamente antidemocratica e governata da un regime di apartheid. La divisione dei palestinesi può servire a offuscare la verità, ma come può una realtà di parità demografica – circa 7 milioni di ebrei, circa 7 milioni di palestinesi – essere considerata solo “ebrea”? E quando la maggior parte dei palestinesi è privata dei propri diritti, come può lo stato essere considerato “democratico”?
Per decenni, la politica estera degli Stati Uniti ha consentito, sottoscritto e protetto questo regime con conseguenze significative. Non solo attraverso aiuti diretti a Israele, ma anche tramite ripetuti veti degli Stati Uniti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la perpetuazione di un apparente “processo di pace” infinito e illusorio – invece di dare la priorità alla protezione e alla istituzionalizzazione dei diritti umani che vengono violati ogni singolo giorno . L’impunità israeliana è accompagnata da una grande etichetta “Made in the USA”, perchè è Washington il luogo in cui viene prodotta.
L’attenzione dei media è destinata ad andare avanti. In assenza di cambiamenti strutturali, gli sforzi per rendere nuovamente invisibile questa ingiustizia riprenderanno con vigore – fino a quando non succederà nuovamente. Ovviamente, molti israeliani vorrebbero tornare a uno stato di cecità volontaria. Ma i frammenti dell’immagine complessiva si stanno unendo ed è sempre più difficile falsificare la realtà.
** Pic Credit: Palestinians inspect a destroyed street after an Israeli strike in Gaza City, 13 May 2021. (Mohammed Saber/EPA-EFE/REX/Shutterstock)