di Gianfranco Marelli
Gian Piero de Bellis (a cura di), Libertaria. Una antologia scomoda. Vol. I, D editore, Roma 2021, pp. 584, euro 23,90
Per la collana “Eschaton” diretta da Raffaele Alberto Ventura, l’editrice romana D editore ha pubblicato il primo dei cinque volumi dell’antologia Libertaria, con l’obiettivo di rinverdire il pensiero libertario – da qui il nome dato all’antologia, sulla scia del Libertaire di Dèjacque e Faure, entrambi presenti nella raccolta dei documenti qui proposti – ponendo a confronto i testi classici dell’anarchismo scritti da Malatesta, Bakunin, Goldman, Kropotkin, Berneri, Nettlau e tanti altri, con autori moderni e contemporanei del vasto arcipelago libertario quali Paul Goodman, Amedeo Bertolo, David Graeber, Bob Black.
Il progetto, curato da Gian Piero de Bellis, si propone in tempi brevi [il secondo volume è già in stampa] di tradurre oltre trecento documenti suddivisi in più di ventidue temi, fra i più coevi e i più disparati. Infatti, come si evince dal piano dell’opera1 c’è di che far tremare le vene e i polsi, soprattutto per l’eterocliti degli argomenti individuati, sebbene il filo conduttore che li lega, «quello della libertà dell’essere umano, la libertà di sperimentare vari stili di vita e aderire dappertutto a una o più comunità autonome, sulla base di scelte libere e volontarie» abbia la pretesa – secondo De Bellis – di porre in primo piano ciò che accomuna, non ciò che separa, l’anelito di difendere e rivendicare la libertà del singolo come «presupposto, necessario e indispensabile, per la nascita di molteplici e variegate comunità volontarie, al posto degli attuali stati cosiddetti nazionali, che uniformano le persone e centralizzano le decisioni, imposti a tutti coloro che vivono in un dato territorio».
Proprio la strenua difesa della libertà del singolo, strettamente connessa alla più aperta tolleranza nei confronti di tutte le espressioni ed esperienze in grado di praticare forme di organizzazione in cui i singoli associati scelgono liberamente le regole, i vincoli e gli obiettivi che li uniscono – nella libertà, ovviamente, di scindere l’accordo se questo non rispetta i patti comuni, o se il singolo non vi si riconosce più in essi – sembra essere la bussola che guida la presente antologia, al punto da mostrarsi «scomoda», soprattutto a « taluni cosiddetti anarchici, o presunti tali, visti – secondo il curatore di Libertaria – come i sostenitori di un’ideologia inventata (anarchismo) invece di essere gli sperimentatori di una pratica di libertà (anarchia)». Per tacere dei detrattori dell’anarchia, da sempre impegnati nel considerarla un’utopia, cui guardare con tenerezza e compassione, se non temere più della peste, in quanto caos, disordine, violenza.
Sennonché, più della scomodità ci sembra invece la comodità l’aspetto caratterizzante il primo volume di un’antologia che raccoglie 57 testi – scritti fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XXI – attraverso i quali gli autori descrivono la loro anarchia e il loro essere anarchici/anarchiche a partire dalle proprie conoscenze, esperienze e considerazioni riguardo al loro propendere per una visione individualista, mutualista, collettivista, comunista dell’anarchia. Ma c’è di più. Nel curare e tradurre i testi antologizzati, Gian Piero de Bellis riassume all’inizio di ogni capitolo lo spirito che ha animato quest’opera ciclopica, sottolineando l’intento ecumenico di presentare l’anarchia come una pratica di libertà individuale che sperimenta la possibilità di trovare piena corrispondenza nelle scelte compiute con altri individui che volontariamente decidono di riunirsi ed organizzarsi al fine di attuare la forma di società più consona alle loro aspettative e ai loro desideri. In tal modo, prediligendo un’anarchia senza “additivi” per evitare che fraintendimenti e contrapposizioni ideologiche possano ostacolare tale ideale pratico «attraverso passaggi prestabiliti e per mezzo di un partito di militanti ben inquadrati», il curatore dell’antologia indirizza le lettrici e i lettori a volgere uno sguardo meravigliato verso i poliedrici esempi libertari già presenti e agenti in ambiti sociali e organizzativi in cui il metodo anarchico supplisce e sostituisce la visione gerarchica, burocratica e autoritaria degli attuali Stati, oggi più che mai incapaci di garantire non soltanto la felicità, ma addirittura la sicurezza per i suoi “sudditi”.
Ma proprio questo intento ecumenico di presentare il metodo libertario come una pratica tutt’altro che utopista, bensì afferente al fallimento dello Stato nel gestire centralmente e territorialmente bisogni sociali che nascono da un mondo globalizzato e senza confini, contribuisce a dare dell’anarchia l’idea che sia un rimedio indolore in grado di raddrizzare le storture burocratiche degli apparati statali se lasciato libero di esprimersi nei modi e nei contesti più variegati, così da far prevalere la molteplice varietà della proposta organizzativa anarchica rispetto alla omogeneità monopolistica imposta con violenza tramite il controllo del territorio pubblico da parte dell’autorità statale. Aspetto, questo, che non tiene però in dovuta considerazione la violenza con la quale gli Stati affermano il proprio predominio sul territorio, soprattutto se dovessero perderne il controllo da parte di associazioni e comunità non più convinte e disposte a seguirne i diktat. Di ciò ne sono ben consapevoli gli autori presenti in questo primo volume di “Libertaria|”, al punto da offrire una lettura dell’anarchia affatto idilliaca e conciliante – oseremmo dire di comodo – con gli attuali regimi di governo; infatti, gli scritti qui presentati, pur nelle loro molteplici e differenti sfumature, non solo denunciano l’oppressione e la violenza degli Stati, compresi gli Stati post rivoluzione vittoriosa, ma ripetutamente sottolineano la necessità ineluttabile di doversi difendere dalla violenza statale che, da buon guardiano a tutela della proprietà e degli interessi della classe dominante, vecchia o nuova che sia, per nulla sarà disposta ad ammettere le proprie deficienze e i propri errori al punto da uscire di scena senza colpo ferire.
Così da Kropotkin a Bakunin, da Nettlau a Malatesta, da Goldman a Rocker, da Reclus a Landauer – passando per la Circolare di Sonvilier del 1871 contro l’involuzione autoritaria dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, da allora sotto la direzione del Consiglio Generale di Londra controllato da Karl Marx [non a caso è il primo documento che dà inizio alla presente antologia] – si ha la netta impressione che la selezione operata dal curatore abbia sottaciuto questo importante snodo teorico (vale a dire l’uso della forza per non essere sopraffatti dalla violenza dell’avversario), preferendo sottolineare le esperienze e le pratiche libertarie dalla chiara impronta pragmatista al fine di affermare l’idea anarchia come attività conciliatrice, in grado di prefigurare già da ora il necessario superamento di un quadro politico statuale non più al passo coi tempi, poiché messo in crisi dal progresso tecnologico di un sistema economico, produttivo, finanziario che da tempo ha abolito ogni confine territoriale, operando su scala globale e organizzando i suoi utenti-consumatori affinché si rappresentino appartenenti e solidali a consorzi privati “social”, la cui influenza mediatica è capace di pilotare le scelte degli individui e, di conseguenza, influenzare la politica stessa degli Stati.
Del resto, proprio questa visione conciliatrice, armoniosa e radicalmente tollerante dell’idea anarchica, in grado di stemperare sino a risolvere le tensioni e i conflitti presenti in un mondo multiculturale, dove la globalizzazione del sistema capitalistico produttivo ha praticamente superato i confini nazionali degli Stati, ha fatto da guida al precedente e fortunato studio di de Bellis sulla “Panarchia”, sfociato nel 2017 con la pubblicazione di un’apposita antologia – sempre edita dalla giovane casa editrice romana – in cui sono raccolte le più svariate interpretazioni storiche date a questo concetto, a partire dall’articolo scritto nel 1860 dal biologo belga Paul-Émile de Puydt, il quale per primo teorizzò la Panarchia come un “movimento per i diritti civili” impegnato a spezzare l’intolleranza politica che assegna automaticamente una nazionalità, una religione o un’appartenenza a qualsiasi istituzione (Stato, Chiesa, Corporazione) senza la scelta e l’assenso preventivo della persona. Non per nulla nell’introduzione a Libertaria, il curatore richiama la precedente pubblicazione con il chiaro proposito di rimarcare lo stesso impianto teorico che anima le due antologie, ossia l’idea che «il modo migliore per far convivere, in maniera armoniosa, su uno stesso territorio, persone di diverso orientamento culturale e politico, è far sì che ognuna sia libera di formare o scegliere la comunità di cui vuole far parte, attenendosi alle sue regole e forme organizzative, senza intromettersi od ostacolare i modi di vita dei membri delle altre comunità autonome. Un po’ come si aderisce a una Chiesa, a una religione o come, negli ultimi decenni, si sceglie una tra le tante compagnie telefoniche, la cui sede amministrativa non è o non deve necessariamente essere situata nel paese in cui vive l’utente» [p.13].
Con questo spirito conciliante con il mondo e alla ricerca di poter conciliare fra di loro le diverse anime che popolano il pensiero libertario, Gian Piero de Bellis ha così deciso di intraprendere una variegata presentazione delle teorie anarchiche, andando a scavare nell’immenso giacimento di scritti prodotti da centinaia di pensatori e protagonisti della storia dell’anarchia, al fine di rimarcare la stretta parentela con la definizione più ampia e inclusiva del termine Panarchia, individuando «nella libera sperimentazione di comunità volontarie a base non territoriale rappresenta la soluzione migliore (più umana e più funzionale) per la vita in società. Soprattutto in società variamente articolate, estremamente complesse e tecnologicamente avanzate». In tal modo, ridotta l’anarchia a una libera sperimentazione di modi diversi di vivere più congeniali a ciascun individuo, inevitabilmente ogni contestazione radicale e violenta nei confronti del sistema capitalista è stemperata, fino al punto da sussumere la tolleranza verso chiunque – anche riguardo a chi non brama né libertà, né autonomia, in quanto ritiene più sicuro e tranquillo essere accudito, guidato, dominato – come il pilastro che, ponendo fine al monopolio territoriale degli Stati «perché negativo, diseconomico e disfunzionale in tutti i campi», condurrà l’intera umanità a combattere l’ulteriore e ultimo ostacolo che impedisce a ciascun individuo di sperimentare l’organizzazione a-territoriale che più gli si confà, scegliendo volontariamente la forma istituzionale più prossima alle sue idee e ai suoi valori nel rispetto delle idee e dei valori altrui.
Utopia o necessità insita nel processo evolutivo dell’umanità che, esausta delle continue tensioni fra stati nazionali e fra culture e religioni differenti, ha saputo trasformare la violenza aggressiva in energia difensiva da optare a favore di una tolleranza radicale di tutti verso tutti? Sì, perché l’ANARCHIA 2.0 – in altre parole, la Panarchia – non è che l’evoluzione armoniosa di un’idea esagerata di libertà che, oltre a distruggere confini statali e barriere confessionali, rompe qualsiasi steccato ideologico che finora ha impedito alla visione liberista del lassez faire lasser passer in economia di essere applicata anche in politica, attribuendo alla libertà del singolo la scelta di quale forma istituzionale preferire e partecipare, assieme ad altri, al suo funzionamento in base ai principi di merito, funzionalità, concorrenza.
La questione, in ultima analisi, concerne il valutare se questa evoluzione dell’umanità nella prospettiva pananarchica possa trasformarsi in un’opportunità per l’emancipazione sociale e il suo diverso sviluppo economico non più finalizzato al profitto proprietario attraverso lo sfruttamento dell’ambiente, o se, al contrario, debba segnalare una realtà che già si è concretizzata a seguito del progressivo predominio a-territoriale dei robber baron di Internet [Amazon, Apple, Facebook, Google, Microsoft] sugli Stati nazionali. Si tratta di una questione scomoda che “Libertaria” ha posto all’attenzione delle lettrici e dei lettori, nella speranza che siano sempre più giovani interessati a occuparsene. Dopotutto, se vuoi essere sempre giovane – ci ricorda Voltarine De Cleyre, tra le tante anarchiche presenti nell’antologia – «diventa un anarchico e vivi una esistenza fatta di fiducia e di speranza, anche quando sei carico di anni».