di Simona Bombieri (Comitato acqua pubblica Torino)
Ricorderò sempre quei mesi di campagna referendaria, colmi di allegria, entusiasmo ed emozionata attesa del risultato.
Sappiamo com’è andata: una vittoria schiacciante dei SI; 26 milioni di persone che si recano alle urne raggiungendo, superando, stracciando il quorum; una rivitalizzazione del dibattito sui Beni Comuni. A tutto ciò è seguito nell’ordine:
- la lettera di Draghi in qualità di Governatore della Banca d’Italia all’allora Presidente del Consiglio Berlusconi in cui, tra le varie riforme “strutturali”, indicava come necessaria “una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali”.
- Il Governo Berlusconi che obbediente tenta di ripristinare gli articoli abrogati, dopo appena un mese dalla consultazione referendaria (tentativo sventato dalla Consulta con sentenza 199/2012);
- la delega – da parte del Governo Monti – della determinazione della tariffa ad AEEGSI (oggi Arera), autorità finanziata dai gestori che è riuscita a creare un sistema micidiale di moltiplicazione degli oneri per gli utenti, e di burocrazia atta a sfiancare i piccoli gestori pubblici; e che soprattutto è riuscita a reintrodurre in tariffa la remunerazione del capitale investito abrogata nel 2011.
- il decreto Madia, nuovo tentativo di imporre la privatizzazione, di nuovo sventato.
Fermo qui l’elenco degli attacchi volti a disinnescare i referendum per l’acqua pubblica: sarebbe troppo lungo visto che ogni Governo dal 2011 ad oggi ci ha messo del suo.
In particolare, il PD si è intestato il compito di affossare ogni tentativo di portare avanti la discussione della legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, depositata in Parlamento nel 2007.
Il testo, ammuffisce ora in commissione ambiente alla Camera. I deputati hanno presentato decine di emendamenti che lo snaturano: sembra che così come è stata trasversale la composizione sociale dei cittadini che hanno votato SI ai referendum, sia trasversale – anche se molto meno numerosa – la compagine di chi in Parlamento difende gli interessi privati. Infatti, se andiamo a guardare gli emendamenti, vediamo che portano le firme più diverse, dal PD alla Lega, passando per FDI fino ad arrivare ai 5 stelle – questi ultimi non si sa se per volontà di ostacolare o per inconsapevolezza (in effetti, sono passati dal “lego la mia presidenza alla legge sull’acqua pubblica” di Fico alla privatizzazione dell’Eipli – quindi direi che la quinta stella non era poi così ben radicata).
La volontà popolare si è espressa in modo chiaro e inequivocabile, e continua ad essere rinnovata: ogni volta che qualche comitato dell’acqua in giro per l’Italia inizia una raccolta firme contro un tentativo di privatizzazione, non è mai un problema raggiungere il numero necessario: eppure continua ad essere ignorata.
Un’intera classe politica sta facendo la guerra ai propri cittadini, svilendo la democrazia diretta. Se a ciò uniamo il fatto che manca rappresentanza politica per una consistente parte della popolazione, è chiaro che siamo di fronte ad una grave crisi democratica; e purtroppo tutti noi siamo indietro nell’individuare quali possano essere gli strumenti di partecipazione che possano affiancare e rivitalizzare questa morente democrazia rappresentativa.
In questi 10 anni il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ha approfondito la propria analisi critica e ha sviluppato proposte, nell’assoluto disinteresse della politica e dei media, ma direi anche di parte del sindacato e degli altri movimenti.
E’ entrato nel merito dei meccanismi tariffari per dimostrare come una tariffa calata sulle esigenze del mercato e degli azionisti sia incompatibile col risparmio idrico, la difesa dell’ambiente, e non favorisca la capacità industriale delle aziende, ma la loro finanziarizzazione.
Ha analizzato i bilanci delle aziende idriche mostrando come la logica delle società commerciali sia quella – insostenibile – dell’estrazione di valore dal processo produttivo.
Ha iniziato a ragionare su una proposta, ancora in bozza, di gestione partecipativa delle aziende idriche da parte di cittadini e lavoratori selezionati tramite sorteggio, perché solo gli strumenti di partecipazione danno concretezza alle parole “beni comuni” e consentono all’azienda pubblica di difendersi dall’occupazione di gruppi di potere.
Queste analisi sono la base sulla quale il movimento ha costruito le varie campagne che hanno permesso di limitare i danni degli attacchi ai referendum. Eppure il decennale non sarà una meritata celebrazione, perché nel frattempo torna l’urgenza di mobilitarsi. Siamo infatti di fronte a due fatti epocali:
- la quotazione in borsa dell’acqua, avvenuta a Dicembre 2020;
- il nuovo piano di privatizzazioni contenuto nel PNRR.
Sul primo punto, sarebbe interessante sfidare i vari Soloni che in questi anni ci hanno ammorbato con i loro “quello che si liberalizza (che suona meglio di “privatizza”) è la gestione, non l’acqua!”. Avranno qualcosa da dire ora che si mette sul mercato l’acqua come merce?
Sul secondo, ci sarebbero molte cose da dire su quanto partorito dal “governo dei migliori”. Il Parlamento non ha potuto incidere su scelte che impatteranno sul nostro futuro negli anni a venire. Le cosiddette “note tecniche” – rigorosamente in inglese perché non sia mai che si favorisca il dibattito pubblico su argomenti di tale portata – riscrivono da capo parte del PNRR (aggirando allegramente tutto il lavoro fatto in precedenza dalle Commissioni parlamentari), delineando una riforma del settore idrico che da una parte non stanzia risorse sufficienti per la ristrutturazione delle reti sempre tanto invocata dai liberisti quando si danno quel tocco di ambientalismo glamour e, dall’altra, punta a un obbligo di privatizzazione a partire dai gestori del sud Italia. La trasformazione, avvenuta nel corso di decenni, delle aziende di servizi in società per azioni è funzionale a questi obiettivi.
Questo per quanto riguarda l’acqua: ma anche per scuola e sanità arriveranno tempi durissimi.
Nel 2007 Naomi Klein pubblicava “Shock economy: l’ascesa del capitalismo dei disastri”. Parla anche di noi, ora che lo shock della pandemia viene usato per colpire il diritto all’acqua, approfittando della nostra paura e della forzata distanza. Il decennale del referendum vuol essere il momento in cui ci riprendiamo dallo shock e mettiamo in campo una mobilitazione che dica NO alle nuove privatizzazioni e affermi con forza le nostre alternative.
La pandemia ha lasciato il segno su tutti noi, rendendo più difficile attivarci; ma il decennale può essere il momento dal forte simbolismo che ci riaggrega. Se non sapremo cogliere l’occasione del decennale e raggiungere davvero quella convergenza di cui tanto si parla ma che tanto difficilmente si applica, se non sapremo alzare lo sguardo dal nostro ombelico riconoscendo le lotte reciproche, conoscendole sul serio, rischiamo davvero di fare un gigantesco passo indietro nella tutela di diritti.
Siamo pronti a raccogliere la sfida?
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 47 di luglio-agosto 2021: “20 anni di lotta e di speranza“