L’approvazione da parte dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) della cosiddetta vaccinazione eterologa, ovvero del richiamo con un vaccino a mRNA per gli under 60 vaccinati in prima dose con AstraZeneca-Vaxzevria, si basa sue due ricerche scientifiche non attendibili: una perché ancora in fase di preprint, ovvero non sottoposta a revisione paritaria e quindi priva di valore scientifico, l’altra perché effettuata su volontari appartenenti a diversi campioni di età. Le prove sono contenute direttamente nel documento con il quale l’Aifa stessa ha annunciato l’approvazione del mix di vaccini.
Nel documento intitolato “Parere sulle modalità di utilizzo della schedula vaccinale mista in soggetti al di sotto dei 60 anni di età che hanno ricevuto una prima dose di vaccino Vaxzevria”, l’Aifa scrive che l’approvazione si basa su «2 studi clinici pubblicati nelle ultime settimane condotti rispettivamente in Spagna (CombiVacS Study) e in Inghilterra (Shaw RH et al. Lancet 2021) e, che mostrano buoni risultati in termini di risposta anticorpale (CombiVacS) e sicurezza (in termini di accettabilità degli effetti collaterali)». Il documento ammette che la pratica del mix vaccinale è caratterizzata «da una maggiore frequenza in termini di effetti collaterali locali e sistemici di grado lieve/moderato» ma specifica che il mix vaccinale «è apparso nel complesso accettabile e gestibile». Infine specifica le tempistiche nelle quali il richiamo con il vaccino ad mRNA vada somministrato a chi ha ricevuto la prima dose con AstraZeneca: «Sulla base dello studio CombiVacS si ritiene, infine, che la seconda somministrazione con vaccino a mRNA possa avvenire a distanza di 8-12 settimane dalla somministrazione di Vaxzevria».
Stando a quanto affermato dall’Aifa, l’approvazione del mix vaccinale si basa quindi su due studi, mentre la pianificazione delle tempistiche sul richiamo si basa esclusivamente sullo studio CombiVacS. La ricerca è pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet, ma consultandola si scopre immediatamente un particolare, omesso dall’Aifa: si tratta di uno studio non ancora sottoposto a revisione paritaria, cioè al processo di controllo e verifica dei dati da parte di altri scienziati con competenze in materia necessario al fine di confermarne o smentirne i risultati. Per capire l’importanza del passaggio in questione, basta leggere l’avviso che compare sopra alla ricerca stessa: «I preprint sono documenti di ricerca in fase iniziale che non sono stati sottoposti a revisione paritaria. I risultati non dovrebbero essere utilizzati per il processo decisionale clinico o di salute pubblica e non dovrebbero essere presentati a un pubblico laico senza evidenziare che sono preliminari e non sono stati sottoposti a revisione paritaria».
Insomma la stessa rivista che lo ha pubblicato specifica che si tratta di una ricerca in fase iniziale, che non dovrebbe essere diffusa al pubblico senza sottolineare che i risultati sono preliminari (specifica che nel documento Aifa è omessa) e soprattutto che «i risultati non dovrebbero essere utilizzati per il processo decisionale clinico o di salute pubblica», ovvero proprio il fine per il quale l’Aifa li ha utilizzati, basandosi esclusivamente su questo studio per stabilire che il richiamo vada fatto a 8-12 settimane di distanza.
Ma non è tutto. Si potrebbe cercare di rassicurarsi pensando che, se è vero che le tempistiche previste per il richiamo si basano su uno studio allo stato attuale privo di valore scientifico certo, almeno l’approvazione della pratica del mix vaccinale in sé si basi per metà su un altro studio (Shaw RH et al. Lancet 2021) che ha superato la revisione paritaria e quindi può essere considerato affidabile e sicuro. Ma non è così. O meglio: la revisione paritaria l’ha effettivamente superata, ma leggendo il testo della ricerca si apprende come i ricercatori specifichino che tutti i volontari che si sono sottoposti al mix vaccinale per la ricerca sono «di età pari o superiore a 50 anni». Ma in Italia il mix vaccinale è stato approvato per tutti gli under-60, e quindi sarà somministrato in buona parte a persone più giovani.
Quindi, ricapitolando, l’Agenzia italiana del farmaco ha stabilito che 900 mila cittadini italiani sotto i 60 anni di età riceveranno una seconda dose di vaccino Pfizer o Moderna, dopo aver ricevuto la prima dose con il siero AstraZeneca. Per ammissione dell’Aifa stessa, la decisione si è basata su due soli studi scientifici: uno di questi è in fase di preprint e per stessa ammissione della rivista scientifica che lo ha pubblicato «non dovrebbe essere utilizzato nel processo decisionale clinico o di salute pubblica», mentre l’altro è stato effettuato solo su persone con più di 50 anni, mentre in Italia il mix vaccinale sarà effettuato in gran parte su persone che hanno un’età inferiore.
[di Andrea Legni]
Fonte: L’Indipendente online